Mes, una minaccia, non una opportunità

Mes, perché rappresenta una minaccia e non una opportunità.

Il Meccanismo europeo di stabilità attivo da luglio 2012 è un organismo sovranazionale, al pari del FMI, con una capacità di oltre 700 miliardi di euro.

Il MES è regolato dalla legislazione internazionale e ha sede in Lussemburgo. Il fondo emette prestiti per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e acquista titoli sul mercato primario. Le condizioni per accedere agli aiuti possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche dei paesi che ne richiedono l’intervento. Grazie anche alla mediazione a livello continentale, l’approvazione del MES è slittata di qualche mese, dando qualche settimana in più alla maggioranza di trovare un punto d’incontro da portare poi in Europa. Per la maggior parte degli italiani, però, resta in sospeso una domanda:

Quanto inciderà l’approvazione del mes sul bilancio dello Stato Italiano e perché i suoi effetti saranno devastanti?

Ha provato a dare una risposta un documento emesso da bankitalia attraverso il quale si cerca di rispondere ad alcuni quesiti posti in essere dall’opinione pubblica, dalla politica e dalla società civile.

Prima di tutto, la Banca d’Italia spiega che il MES serve tanto all’Italia quanto a tutti gli altri stati membri dell’Unione Europea. Il suo compito è quello di attenuare i rischi connessi “con eventuali crisi di un paese dell’area Euro”. Come accaduto, ad esempio, un decennio fa con la crisi del debito sovrano greco. “La presenza del MES – si legge nella faq di Bankitalia – riduce la probabilità di un default sovrano, almeno per i paesi le cui difficoltà sono temporanee e possono essere risolte con prestiti o linee di credito. Con la riforma, che consente al MES di fungere da backstop del Fondo di risoluzione unico, il meccanismo contribuirebbe anche a contenere i rischi di contagio connessi con eventuali crisi bancarie di rilievo sistemico”.

Inoltre, secondo Bankitalia non ci sarebbe una ristrutturazione automatica del debito né sarebbe necessario “accedere” ai risparmi privati dei cittadini per sostenere il pagamento del debito nei confronti di credito nazionali ed esteri. Fondamentale, però, comprendere per bene il funzionamento delle tanto chiacchierate clausole CACS.

“Se un Paese decidesse di procedere alla ristrutturazione del proprio debito – si legge nel documento Bankitalia -, sarebbe sufficiente un’unica deliberazione dei possessori dei titoli pubblici al fine di modificare i termini e le condizioni di tutte le obbligazioni (single limb CACs), anziché richiedere una doppia deliberazione (una per ciascuna emissione e una per l’insieme dei titoli). Lo scopo di questa modifica è di rendere più ordinata un’eventuale ristrutturazione del debito, riducendo i costi connessi con l’incertezza sulle modalità e sui tempi della sua realizzazione, che danneggiano sia il paese debitore sia i suoi creditori”.

Al documento di bankitalia si contrappone l’appello lanciato da 32 economisti contrari all’esm. Nel documento si osserva che:

Le condizioni per i prestiti, se la riforma dovesse essere confermata nella forma attuale, sarebbero le seguenti: 1) non essere in procedura d’infrazione; 2) vantare un deficit inferiore al 3 per cento da almeno due anni; 3) avere un rapporto deficit/Pil sotto il 60%.

I parametri scelti sono tali da escludere a priori che l’Italia possa soddisfarli; ci si riferisce invece tra l’altro a un saldo di bilancio strutturale pari o superiore al valore minimo di riferimento. Il metodo di calcolo del saldo strutturale è da tempo contestato dal nostro paese, ed è oggetto di una campagna promossa da economisti di vari paesi che ne ha dimostrato l’assoluta inaffidabilità.

Se dunque l’Italia dovesse ricorrere all’Esm, sarebbe sottoposta ai giudizi sul debito e potrebbe esserle richiesto di ristrutturarlo. In questo caso subirebbero perdite non solo i possessori privati dei nostri titoli di Stato, ma soprattutto i bilanci delle banche, facendo precipitare tutto il sistema creditizio in una grave crisi.

Si dice che non ci sono automatismi che prevedano la ristrutturazione, ed è vero; ma il solo fatto che ve ne sia la possibilità costituisce agli occhi dei mercati un fattore di rischio, a fronte del quale gli investitori chiederanno interessi più elevati. Il problema non è dunque quali probabilità ci siano che l’Italia sia costretta a ristrutturare il debito: il fatto che venga rafforzata la possibilità che ciò accada è di per sé sufficiente ad aumentare il rischio-paese. Così, uno strumento che dovrebbe aumentare la capacità di affrontare le crisi può trasformarsi nel motivo scatenante di una crisi.

Inoltre il Mes è stato istituito per fungere da prestatore di ultima istanza, un ruolo che in ogni Stato è svolto dalla banca centrale, mentre alla Bce è stato vietato. Quindi la funzione del Mes andrebbe a sovrapporsi alle funzioni che in parte sono già riconosciute alla bce.

I 32 economisti concludono che “il nostro parere l’Italia non dovrebbe sottoscrivere la riforma dell’Esm. L’obiezione che in questo modo il nostro paese si troverebbe politicamente isolato è singolare: l’Italia è già politicamente isolata, altrimenti non saremmo in questa situazione”.

I compromessi sono possibili e auspicabili, ma si raggiungono quando ciascuna delle parti tiene conto delle posizioni e delle necessità delle altre, cosa che finora non è avvenuta. L’Italia avanzi delle proposte alternative su tutto il pacchetto delle riforme, dimostrando che riduzione del rischio e crescita non sono due obiettivi antitetici.

Questa teoria è stata espressa anche da autorevoli economisti del centro sinistra come Galli e Ignazio Visco. Il primo si è espresso in questi termini:

«la ristrutturazione sarebbe una calamità immensa, con distruzione di risparmio, fallimento di banche, disoccupazione, impoverimento della popolazione. Una ristrutturazione sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in di massa applicato a milioni di risparmiatori innocenti».

«Azioni o parole che possano ingenerare nei mercati anche solo il timore di una ristrutturazione o di un default vanno considerati un pericolo per l’Italia e per gli italiani. Per questo motivo noi ci preoccupiamo delle proposte di revisione del trattato Mes»

Parole simili a quelle di Visco:

«I piccoli ed incerti benefici di una ristrutturazione del debito», avrebbe detto sabato 16 novembre, «devono essere bilanciati con il rischio enorme che il semplice annuncio di una sua ristrutturazione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, le quali potrebbero rilevarsi autoavveranti»

Possiamo concludere che la modifica del Mes non piace a nessuno. Pur partendo da punti di vista completamente diversi tra loro i contrari all’upgrade del Fondo salva-Stati sono uniti da un punto in comune: l’Europa rischia di insabbiarsi a causa dell’ennesimo strumento monetario creato dall’eurozona.

Concordo con la linea dei sovranisti che hanno una posizione collegabile alla loro visione del mondo; ritengo, in sostanza, che riformare il Mes eroderebbe ulteriore sovranità agli Stati nazionali relegando questi ultimi in secondo piano rispetto alle istituzioni dell’Unione Europea.

*Giuseppe Della Gatta, analista finanziario

Rinegoziare l’Unione Bancaria

La mia disamina muove sostanzialmente dal titolo. Quando abbiamo deciso di parlare di Banche, di Europa, ho fatto un ragionamento molto semplice, ho guardato a quando sostanzialmente questo tema è diventato un problema. Peraltro ne parleremo anche oggi pomeriggio con gli amici dell’Ucid a proposito del libro sull’educazione finanziaria che l’amico e collega Pedrizzi ha fatto e presentato in questi giorni.

Oggi la tematica bancaria è diventata la tematica oserei dire quotidiana e familiare. Oggi si parla di spread, rating, di rimborsi, di truffati, non è più un tema come lo era quando eravamo giovani noi, riservato ad una parte della comunità sociale, oggi direi che quasi tutti discutono di questi argomenti, ma perché? Perché negli ultimi 19 anni, dal duemila in poi, l’Europa è entrata con forza nella nostra vita. Ricordiamoci che il 2000 è l’anno di ingresso dell’euro, e dal duemila in avanti il nostro sistema sociale, economico, finanziario sconta i più gravi problemi. Questo è un dato di fatto. In questi 18 anni 44 miliardi se ne sono andati in fumo, in questi 18 anni un milione e duecentomila italiani sono rimasti coinvolti nei problemi della finanza. Ecco perché noi oggi ragioniamo di questi argomenti e guarda caso per la tematica bancaria e la tematica europea il periodo è lo stesso, dal 2000 in avanti, passando attraverso crisi, problemi di banche internazionali, e ora purtroppo negli ultimi anni anche nazionali. La prima cosa che potrebbe essere suggerita è quella di fare una critica al sistema bancario, alle banche.

Se c’è un problema ed il risparmiatore viene coinvolto, ovviamente per opinione pubblica e mediatica la banca è responsabile. Io qui invito però a fare una analisi più attenta, e quindi guardo soprattutto a quello che non ha fatto la politica italiana ed a quello che ha fatto purtroppo la politica europea sul sistema bancario europeo e nazionale. Ricordiamo che negli ultimi anni abbiamo familiarizzato con alcuni concetti, bail-in piuttosto di bail-out, dal 2016 l’Italia si è trovata a dover scaricare sui cittadini e sui risparmiatori le inefficienze del sistema, questo è il  bail-in per certi aspetti, e guarda caso entra in funzione nel 2016 in Europa, quando però i tedeschi avevano già capitalizzato a grandi mani tutte le loro banche con denari pubblici. Quindi qualcuno è entrato nelle nuove regole dopo essersi rafforzato, qualcun altro, non solo per ragioni di miopia politica, ma anche per ragioni di funzionamento del sistema non lo aveva fatto, e si è trovato dopo il 2016 coinvolto in regole ferree e stringenti che non permettevano al pubblico di intervenire efficacemente nella soluzione dei problemi.

Cito un altro argomento: i principi contabili. L’Italia si è trovata e si trova ad avere un sistema bancario quasi al 90% sottoposto ai principi contabili nazionali, mentre la forte Germania si trova con oltre il 40% del credito sottoposto ai principi contabili nazionali. Apparentemente si potrebbe dire che è una locuzione tecnica contabile di un ragioniere, ma non è così; parlare di principi contabili internazionali, piuttosto che di principi contabili nazionali, vuol dire ad esempio che quando un titolo a scadenza oscilla chi applica i principi contabili internazionali deve immediatamente svalutarlo se è momentaneamente svalutato, chi invece applica quelli nazionali, può, ritenendo di portarlo a scadenza, lasciarlo in bilancio a valore nominale.

Questo vuol dire che le nostre banche, che ripeto per il 90% rientrano nell’obbligo dei principi contabili internazionali (IASC), a differenza di una Cassa di Risparmio o Cassa Rurale tedesca devono svalutare il proprio attivo con  tutti i problemi che ne conseguono. Quindi un altro elemento per cui il nostro Paese si è fatto, permettetemi il termine, letteralmente -fregare- da queste regole. Quindi bail-in, principi contabili, ieri sul Sole 24 ore -Basilea tre-, delle cui conseguenze di fatto e se ne sarebbero ora accorti anche i francesi e gli austriaci, e quindi le nostre banche trovano difficoltà a finanziare ed erogare credito, anche se i soldi ci sono, a finanziare le piccole e medie imprese, guarda caso quello che è il tessuto economico del nostro Paese. Perché?

Perché quando una banca finanza una PMI quella banca deve fare degli accantonamenti maggiori rispetto a quando finanza la grande impresa. Dopo constatiamo però che i crediti deteriorati provengono perlopiù dalla grande invece che dalla piccola impresa. Questa è l’Europa con la quale ci confrontiamo, e che noi di Fratelli d’Italia vogliamo cambiare, proprio per impedirne la consunzione. Parliamo quindi della Sentenza europea sul caso Tercas che ha di fatto creato problemi ad una banca popolare solida quale era quella di Bari. Perché, perché la politica italiana, quella del Pd che ci ha al tempo governato, ha accettato passivamente le imposizioni della Commissione europea che impedivano di utilizzare il fondo interbancario per risolvere il problema di una banca, quando poi guarda caso a distanza di qualche anno, cioè poche settimane fa, interviene la sentenza europea e dice no, non è così vi siete sbagliati. Però intanto abbiamo trascinato nei problemi una banca popolare, abbiamo trascinato nei problemi le banche che si sono succedute nelle crisi, Etruria, Monte dei Paschi e questo grazie a chi ha accettato passivamente le istruzioni della Commissione europea quando invece avrebbe dovuto dire “me ne frego “e oggi il “me ne frego “ lo ha sancito il tribunale europeo. Ecco cosa significa essere sovranisti, cosa significa avere una dignità di Paese, cosa significa saper rispondere a delle imposizioni di una Europa che , come ho detto direttamente in audizione al Senato alla Commissaria UE Vestager, ha fatto figli e figliastri, perché quella Germania che ha potuto fare tutto, continua tutt’oggi ad usare denaro pubblico per salvare le banche, il caso di pochi giorni fa in Sassonia della Zeta Bank  che è stata alimentata con soldi pubblici, mentre noi in Italia veniamo impallinati o venivamo impallinati allorchè si creavano questi problemi, e si paventava l’intervento di soldi pubblici o addirittura di fondi privati quale erano quelli del  Fondo interbancario.

Ma vogliamo infine dimenticare in questi diciotto anni quello che, tra virgolette, è stato un esproprio delle nostre banche nazionali; ma sappiamo che Banca Intesa, BNL, Unicredit, Casse di Risparmio sono controllate da capitali stranieri per lo più francesi. Quello di cui mi meraviglio è che non c’è reciprocità, che quando noi andiamo al di là dei confini per fare altrettanto ci bloccano. Quando loro vengono in Italia per conquistare le nostre aziende lo fanno liberamente con una politica assente.

Qual è il vero problema? I circa 5 miliardi di risparmi italiano che esistono, sono di fatto controllati da banche italiane ma con capitale straniero. Allora cosa pensate, che colui che dirige una banca possa indirizzare il risparmio verso il mercato nazionale, o piuttosto verso il proprio, quello francese? Quindi in sostanza, semplificando, i nostri soldi, il nostro risparmio, che rende l’Italia unica o comunque tra i primi Stati del mondo viene spesso utilizzato in altre realtà, perché i capitali delle nostre banche, cioè coloro che guidano e governano le nostre banche non sono italiani. Allora se ci fosse reciprocità e i nostri capitali governassero le banche francesi e tedesche non ci sarebbe problema, ma siccome così non è, sarebbe ora che la politica si svegliasse. Questo è essere sovranisti, non è venir meno alla cultura liberale, è saper difendere su un piano paritario i nostri principi economici, le nostre aziende, le nostre imprese, la nostra cultura. Un ultimo aspetto. Cosa è accaduto in questi ultimi anni che ci aiuta a capire perché parliamo di Europa e banche. Sono state smantellate dal precedente Governo, senza fare polemica a tutti i costi ma il dato è questo, le banche di prossimità, le banche di territorio. Abbiamo distrutto le banche popolari e le Casse rurali, in modo diverso anche perché le Banche popolari si sono assottigliate allo zero, le Casse rurali almeno formalmente, provengo dal Trentino la patria del Credito cooperativo, ci sono, ma in realtà sono holding, spa. I direttori delle casse rurali territoriali, sotto voce perché non possono gridarlo, mi ringraziano per la battaglia fatta in Senato, senza risultato, perché anche il Governo giallo-verde ha sposato la causa obtorto collo del governo Renzi, che ha permesso che le Casse rurali diventassero di fatto delle holding, di fatto delle banche di credito nazionale.

Questo vuol dire che abbiamo perso la specificità, la territoriali della presenza del credito, questo erano le banche di territorio, quelle banche che conoscevano il nonno, il bisnonno, che valutavano non solo il rating, Basilea3, ma che valutavano le caratteristiche umane, sociali dell’impresa. Oggi quelle banche per lo più non ci sono. Questo è accaduto in questi anni, e quando mi ricollego alla mia introduzione, dico non prendiamocela tanto con le banche, prendiamocela soprattutto con quella politica europea e nazionale che ha portato le banche in queste condizioni.

Per concludere ed allacciarmi al titolo del meeting: quali sono le risposte che dobbiamo dare per avere delle prospettive? Vado per sintesi: 1) venga rinegoziata l’Unione bancaria europea. La vigilanza europea sul sistema bancario, che nasce nel 2014 quando doveva parallelamente vedere la crescita e la nascita delle assicurazioni europee sul credito, questo sistema di vigilanza europeo va rinegoziato, questa è la prima risposta cosicché non accadano più le problematiche avvenute in questi anni. 2) Cosa dobbiamo proporre? Una normativa speciale per le piccole banche, per quelle banche di territorio di cui parlavo prima, perché rinascano anche in Italia le banche di territorio e guarda caso nella mia regione abbiamo in Alto Adige la componente tedesca che ha fatto blocco contro quello che è successo al credito cooperativo nel resto del Paese, optando per un sistema di mutua garanzia invece che sulla strutturazione ad holding. Quindi una nuova normativa per le banche di territorio. 3) La divisione tra le banche di investimento e le banche commerciali; non è possibile infatti che quella banca che riceve il risparmio del pensionato o che dà il credito all’artigiano vada poi ad investire in derivati o in altre speculazioni.

Torniamo così a dare fiducia al nostro sistema bancario, a credere nelle nostre banche e darle la forza di tornare protagoniste, e in questo valutazione mi appello a BankItalia affinchè riscopra l’orgoglio delle proprie tradizioni, ritorni a fare quello che non ha fatto bene, in parte per colpa sua e in parte per i vincoli europei, torni ad essere la banca di riferimento del sistema bancario, e, visto che siamo in periodo di nomine, invito la politica ad una presa di coscienza, invito bankItalia a rivendicare la propria indipendenza, anche se indipendenza è un concetto ben diverso dall’autorefenzialità, quindi le nomine di Banca Italia vengano concordate con la politica, non siano i governatori ad imporli alla politica, perché l’amministrazione di Banca Italia è indipendente il giorno dopo l’elezione, ma il giorno prima va concordato con la politica e i Governi che reggono i Paesi. Quindi un invito al nostro sistema a riscattarsi, a Banca d’Italia a  tornare  ciò che era, al Governatore della Banca d’Italia a ricordarsi che l’indipendenza e l’autorefenzialità sono concetti ben diversi.

*Sen. Andrea de Bertoldi (Segretario Commissione Finanze e Tesoro, Capogruppo FdI Commissione Bicamerale Anagrafe Tributaria, Dottore Commercialista e Revisore Contabile)

Intervento svolto a braccio al meeting “L’Europa e le Banche. Quali prospettive per il credito alle imprese e alle famiglie. I casi NPL e immobili all’asta”