La Ue, il MES e il Patto di Stabilità

Negli ultimi due anni, con l’obiettivo macroeconomico di sostenere i Paesi Europei colpiti dalla pandemia da Covid-19, è stato sospeso l’applicazione del patto di stabilità che prevede di mantenere un deficit sotto il 3% del Pil e che il debito pubblico non deve superare il 60% del Prodotto interno lordo.

La commissione Ue ha avviato un dibattito pubblico per la revisione della governance economica europea. Entro il primo quadrimestre del 2022 la commissione fornirà un’indicazione tenendo conto della situazione economica globale, della specifica situazione di ciascun Stato membro e di quanto emerso nel dibattito pubblico. Quindi l’esecutivo Ue fornirà un suo orientamento sulle modifiche al Patto di Stabilità, con l’obiettivo di ottenere un largo consenso entro il 2023. Nell’ambito della governance economica europea rientra anche la modifica del Meccanismo europeo di stabilità.

Nelle comunicazioni sul dibattito per la revisione del patto di stabilità l’UE si è focalizzata su tre sfide principali: Una riduzione graduale, sostenibile, e che non ostacoli la crescita, del debito pubblico, la necessità di un forte sostegno agli investimenti pubblici per assicurare una crescita sostenibile e inclusiva e l’importanza di un forte coordinamento politico, anche tra Ue e Paesi membri.

Per gli Stati membri sarà essenziale ridurre i debiti pubblici elevati per affrontare le future crisi, ma va fatto in modo intelligente, graduale e sostenibile e senza ostacolare la transizione green e la crescita.

La crisi ha anche reso più visibili alcune sfide: deficit e debito più elevati, divergenze e disuguaglianze più ampie tra i Paesi membri e la necessità di maggiori investimenti e le regole di governance che vanno formulate ascoltando le opinioni, le idee, e costruire consenso, titolarità per un’efficace sorveglianza economica. In questo modo, possiamo rendere le nostre società ed economie più sostenibili, eque e competitive.

Una delle idee più discusse è quelle dalla golden rule che permetterebbe una riduzione graduale del debito che si coniughi con un maggior sostegno agli investimenti.

La riduzione del debito pubblico già è stata un problema prima del Covid, oggi il forte sostegno pubblico anti-ciclico fa stimare che circa il 19% del Pil, tra il 2020 e il 2022, sarà stato necessario per sostenere i lavoratori del settore sanitario e l’occupazione. Dobbiamo chiederci come le nostre regole possano garantire una riduzione graduale del rapporto debito/Pil, in maniera compatibile ad una crescita sostenibile.

In questo dibattito uno dei temi più interessanti riguarda la posizione ordoliberalista della Germania nei confronti degli squilibri dell’Eurozona, che dovrebbero trovare compensazione nella attualizzazione delle politiche di bilancio degli Stati membri. Invero, l’irresponsabilità fiscale degli altri Stati membri dell’Eurozona è, secondo la Germania, la causa principale della crisi generale dell’euro emersa nel 2011 e tuttora in corso. Per salvaguardare la stabilità finanziaria della moneta, i governi Tedeschi in questi anni hanno dovuto accettare dei compromessi, soprattutto rispetto ad uno dei due principi cardine dell’ordoliberalismo, ovvero il principio di responsabilità, comportante l’opposizione a qualsiasi forma di trasferimenti fiscali all’interno dell’UE . In un’ottica diversa da quella tedesca, già dal 2012, la BCE aveva cominciato a perseguire attivamente una politica volta alla stabilità finanziaria dell’euro con l’impiego della misura non convenzionale delle OMT, Outright Monetary Transactions (operazioni di acquisto illimitato di titoli di Stato dei Paesi indebitati) osteggiate, tuttavia, dal Presidente della Bundesbank. Orbene, in una politica di contemperamento tra le diverse posizioni di politica economico-finanziaria, la Germania, ha accettato la citata misura non convenzionale prevista dalle OMT, ma di contro ha imposto le sue rigide politiche ordoliberali di austerity, basate su regole e penalità, i cui effetti si sono concretizzati nel Fiscal Compact del 2012 e nell’introduzione in Costituzione della legge del pareggio di bilancio, che obbliga gli Stati a ridurre annualmente di un ventesimo il debito che eccede la soglia del 60% del PIL. Pertanto, le rigide politiche ordoliberali, comportanti l’attualizzazione a livello costituzionale del principio di responsabilità, ovvero della regola del pareggio di bilancio, hanno controbilanciato l’utilizzo di strumenti non convenzionali di mantenimento degli equilibri di bilancio.

In quest’ottica il MES che, a partire dal maggio 2010, si è sviluppato in connessione con le tensioni sui mercati finanziari e la crisi dei debiti sovrani, esemplifica la naturale continuazione dei programmi di intervento temporaneo (EFSF e EFSM ) e di aiuto prestati finora ai paesi necessitanti dell’eurozona, e la sua costituzione permette, pertanto, di disporre di uno strumento di intervento permanente (firewall) da utilizzare, in caso di necessità, per preservare la stabilità finanziaria dell’area euro.

Va rilevato che la sottoscrizione dei Trattati del Fiscal Compact prima e del MES poi, rappresentino un autovincolo al conseguimento di determinati obiettivi in termini di controllo delle finanze pubbliche, che possono, tuttavia, trovare dei limiti costituzionali.

Desta particolare preoccupazione la circostanza per cui il nostro elevatissimo debito pubblico possa costringere, in caso di necessità, l’Italia alla richiesta al MES di un sostegno alla stabilità, la cui concessione può essere condizionata all’imposizione della «ristrutturazione» del debito sovrano tale da intimorire gli investitori internazionali e dissuaderli dall’acquisto dei Btp statali.

Preoccupa, nello specifico, la possibilità di prevedere la «ristrutturazione» del debito pubblico non solo e non tanto come una delle «rigorose condizioni» che possono essere previste dal protocollo di intesa, quanto, piuttosto, che la ristrutturazione diventi una precondizione automatica per richiedere la concessione del sostegno alla stabilità, che, se non accompagnata dall’attuazione della politica del pacchetto (Unione Bancaria), certamente potrebbe indebolire ancor di più lo Stato che già si trovi in una situazione finanziaria compromessa, laddove, i soggetti che detengono i titoli degli stati in difficoltà, potrebbero ostacolare una ristrutturazione ordinata del debito sovrano. Del resto il Parlamento, a seguito dell’esame, svoltosi l’11 dicembre 2019, degli atti preordinati alla adozione del MES, trasmessi alle Camere dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha adottato una risoluzione, votata a maggioranza, preordinata, tra l’altro, proprio ad escludere espressamente «qualsiasi meccanismo che implichi una ristrutturazione automatica del debito pubblico».

Pertanto, può opportunamente concludersi che il Trattato contenga la previsione dell’esercizio di una tale «latitudine» di poteri ad opera degli organi del MES che, richiederebbe, al contempo, la necessaria e progressiva realizzazione dell’Unione economia e monetaria al fine di accrescere, tramite la realizzazione della «politica del pacchetto», la responsabilità politica e giuridica del meccanismo europeo di stabilità nell’esecuzione dei suoi importanti compiti di gestione delle crisi nella zona euro.

Nell’attesa che l’Eurogruppo presenti nuove proposte al Consiglio, la linea di demarcazione rimane quella originaria che vede contrapposti i Paesi mediterranei, aperti a regole flessibili e mutualizzazione dei rischi ed il Fronte del Nord, che, a tutto quanto detto, nettamente oppone il suo diniego. L’auspicio è allora quello per cui l’emergenza covid diventi l’occasione di riscoprire un’identità europea che, in tema di fiscal rules, sia emancipata dal concetto di austerità e più vicina alle logiche della collaborazione e della solidarietà tra paesi membri.

 

*Giuseppe Della Gatta, bancario, dottore commercialista

 

 

 

 

 

 

L’Europa ci riprova. Contro la biodiversità del nostro sistema bancario

Ancora una volta l’Europa ci riprova e ci ripete che, per superare la crisi che si trascinava fin dal 2011-2012 e che si è aggravata con la pandemia, la ricetta e quindi la cura necessaria per superarla, soprattutto nell’ambito del settore bancario, sarebbe quella di favorire le aggregazioni tra istituti di credito per aumentarne le dimensioni.
In pratica, nonostante la cattiva esperienza del “too big to fail”, si va dicendo ancora che “grande è bello”, perché l’efficienza dipenderebbe appunto dalle dimensioni: le grandi avrebbero più possibilità e chances di superare questa crisi cosi drammatica rispetto alle banche medio-piccole, prevalentemente Banche Popolari e Casse di Risparmio ed, ancor, di più alle piccole Banche di Credito Cooperativo.
Recentemente lo ha detto e ripetuto il nostro Andrea Enria, Presidente del Consiglio di Vigilanza della BCE, che dovrebbe invece tutelare meglio e di più la specificità del sistema economico italiano. E’ lo sollecitò anche Visco, il Governatore della Banca d’Italia. Lo ripetono poi in Europa le varie autorità monetarie e di vigilaza.
Vogliamo sperare che questo atteggiamento pregiudizialmente contrario alla cosiddetta biodiversità del nostro sistema bancario sia dovuto dalle difficoltà delle autorità comunitarie di esercitare un efficace sorveglianza sulla miriade di “less significant institutions” (LSI) e, quindi, dalle malaugurate prospettive di doverne anche gestire le possibili crisi dovute alla pandemia.
Ci sì attesta perciò su tali posizioni difensive che inducono e/o sollecitano le aggregazioni.
In pratica quella che potrebbe essere giustificata – a posteriori – come una politica necessaria per eventuali risanamenti di situazioni di difficoltà e di pericolose insolvenze, che si dovessero verificare, si sta presentando invece come politiche preventive che distorcono artificiosamente il mercato e sopratutto negano le esperienze positive che, non solo nel nostro Paese, si stanno facendo anche in corso di crisi pandemica.
Posto, infatti, che una operatività di orizzonte internazionale richiede adeguate dimensioni e che quindi il “sistema Italia” abbia necessità di alcune grandi banche di dimensioni analoghe a quelle di altri Paesi europei, riesce difficile capire perché il sistema produttivo sia articolato naturalmente in imprese piccole, medie e grandi, mentre il sistema finanziario e bancario debba invece necessariamente articolarsi solo in banche di grandi dimensioni.
In realtà – si dice – il vantaggio dell’azienda di credito di grandi o grandissime dimensioni risiederebbe essenzialmente nelle economie di scala. È questa “un’opinione”, se non “un pregiudizio”, su cui dottrina ed analisi esprimono dubbi.
È fuori di dubbio, infatti, che una dimensione non elefantiaca, più “a misura d’uomo”, consenta una aderenza più efficace al territorio, una migliore compenetrazione e quasi un’identificazione tra banca ed economia locale, un monitoraggio più consapevole delle singole situazioni imprenditoriali inserite nel contesto locale.
Né è automatico e scontato che la minore dimensione della banca comporti inevitabilmente un ritardo culturale ed una lentezza d’innovazione tecnologica e finanziaria.
Così come esistono piccole e medie industrie portatrici di tecnologie avanzatissime, così nel sistema finanziario la dimensione ridotta è perfettamente compatibile con la cultura finanziaria più avanzata e con l’orientamento all’innovazione continua. L’esperienza dimostra anzi che l’innovazione è quasi sempre opera di piccoli “pensatoi” e solo in un secondo tempo essa viene metabolizzata dai grandi gruppi.
In conclusione: quello delle dimensioni più grandi e dei necessari accorpamenti è spesso un falso problema, dietro il quale si cela la volontà espansionistica dei vertici e la sete di potere di grandi gruppi finanziari.
Il sistema creditizio italiano, in definitiva, ha ancora bisogno di crescere, ma in qualità più che in dimensione.

*Riccardo Pedrizzi, presidente Comitato scientifico nazionale – UCID

Nuove regole sul credito per evitare il default

In questo articolo vorrei riprendere un lavoro già affrontato qualche mese fa su Charta Minuta relativo alle nuove norme EBA, Autorità Bancaria Europea, sulla definizione di soggetto inadempiente e di default della clientela privata, PMI e imprese. I nuovi criteri di valutazione sono disciplinati nell’art. 178 del Regolamento (UE) n. 575/2013 (CRR) sulla disciplina prudenziale applicabile agli intermediari finanziari. Tale definizione è stata integrata da ulteriori regole emanate in sede europea: le Linee Guida EBA sull’applicazione della definizione di Default (EBA/GL/2016/07) e il Regolamento Delegato (UE) n. 171/2018 della Commissione europea del 19 ottobre 2017, che individua la soglia di rilevanza delle obbligazioni creditizie in arretrato.

Il nuovo strumento di definizione del concetto di inadempienza ha come obiettivo quello di ridurre i crediti deteriorati ma rischia di avere un impatto disastroso sull’economia del nostro paese già segnata fortemente dalla crisi pandemica. Proprio in questi giorni il Presidente di FDI, On. Giorgia Meloni, chiederà al presidente del consiglio Mario Draghi di sollecitare le Istituzioni Europee, che ben conosce, di posticipare l’introduzione di tali regole prudenziali al fine di evitare una contrazione ancora più sostanziale dell’attività delle imprese italiane.

In sintesi, il Regolamento prevede la segnalazione nelle Centrali Rischi di tutte le esposizioni debitorie dopo 90 giorni di sconfinamento: per i privati ogni qualvolta ci sia uno sconfinamento sul conto di regolamento superiore ad euro 100 e all’1% del totale delle esposizioni; per le imprese quando lo sconfinamento sia superiore ad euro 500 e all’1% del totale delle esposizioni. Le segnalazioni riguarderanno tutti i finanziamenti in essere. La normativa composto le seguenti conseguenze sulle partite di pagamento collegate al rapporto di conto:

  • gli addebiti automatici non saranno più consentiti, se i clienti non avranno sufficienti disponibilità liquide sul c/c.
  • famiglie titolari di un conto rimasto senza provvista rischiano un’improvvisa interruzione ai pagamenti di utenze, stipendi, versamenti tributari, eventuali contributi previdenziali, rate di mutui e finanziamenti.
  • le nuove regole impongono di bloccare le rimesse interbancarie dirette (Rid). Il cliente diventa moroso nei confronti del titolare della Rid, un’informazione con rilevanti conseguenze sul profilo reputazionale del cliente.

Cambiano anche le regole di comunicazione degli indicatori di costo per i clienti sia in fase pre contrattuale che post contrattuale. La nuova normativa sulla trasparenza sostituisce l’ISC con il nuovo indicatore ICC (indicatore di costi complessivi). Il calcolo del nuovo indicatore include nuove spese in passato non considerate, come ad esempio quelle relative all’emissione delle carte di debito e credito.

Cambiano anche le commissioni applicate agli affidamenti e agli sconfinamenti. Già da tempo viene utilizzata, in sostituzione della commissione di massimo scoperto, la messa a disposizione fondi (MDF), applicabile alle aperture di credito regolate in conto corrente, e la commissione di istruttoria veloce (CIV), applicabile agli sconfinamenti. La MDF è commisurata alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento. L’ammontare della commissione è liberamente determinato nel contratto ma non può eccedere lo 0,5%, per trimestre, della somma affidata. La caratteristica dell’onnicomprensività comporta che non possano essere previsti ulteriori oneri in relazione alla messa a disposizione dei fondi e all’utilizzo dei medesimi.

L’entrata in vigore delle nuove regole EBA porterà ad una revisione sia nel rapporto con la cliente in una fase nella quale si prospetta per gli istituti di credito un nuovo periodo di forti aggregazioni e fusioni con forti incidenze sul sistema organizzativo e commerciale.

Dal punto di vista della clientela, al fine di poter introdurre soluzioni che possano impattare di meno sulla gestione dei rischi al fine di evitare segnalazioni di morosità, molti soggetti privati dispongono da tempo di “scoperti di conto” collegati ai rapporti di corrispondenza ordinari soprattutto su quei contratti che prevendono l’accredito di stipendi, pensioni e altre forme di compensi periodici. In tali condizioni è possibile utilizzare la differenza fra saldo contabile e saldo disponibile per coprire spese al momento non supportate dal primo.

Lo sconfinamento viene allora calcolato oltre il livello del saldo disponibile, il cui superamento riguarda un prestito e non più un deposito. Le banche possono certamente prevedere di ampliare il perimetro dei destinatari di questa soluzione, con ammontare anche limitato, per risolvere situazioni contingenti legate ad utenze e rate, evitando l’insorgere di problemi, tra l’altro, con notevoli costi amministrativi, sostituiti invece da interessi attivi.

In termini di gestione del rapporti sarebbe opportuno comunicare periodicamente alla clientela il saldo del conto corrente. Oggi la gestione delle informazioni è ovviamente migliore ed immediata attraverso l’utilizzo di App e altri canali evoluti.

Un’altra soluzione da sviluppare concerne la distinzione fra conti correnti e conti di deposito quale strumento per gestire in anticipo il possibile manifestarsi di saldi negativi. Si potrebbe valutare, nel caso dei rapporti bancari, quanto già in essere nella applicazione della normativa prevista per MIFID e IDD in termini di responsabilità dell’intermediario nei confronti del cliente, in qualità di contraente forte del rapporto per indurre il cliente a gestire con tempi e quantità idonei il passaggio tra i due conti, in anticipo rispetto alla soglia.

Un’altra soluzione più sofisticata può coinvolgere i fondi comuni monetari, sviluppandone la funzione di riserva, in tempi ormai prolungati nei quali il rendimento è sostanzialmente nullo.

Queste soluzioni comportano una modifica della struttura organizzativa degli Istituti di Credito e, di non poco conto, la differenza delle soluzioni da adottare sulla clientela evoluta rispetto a quella meno esperta e aperta a soluzioni digitali.

E’ evidente, comunque, che queste misure solutive si vanno a scontrare con la natura giuridica del conto corrente di corrispondenza che assegna una specifica responsabilità al suo utilizzatore, in quanto esso è il “contratto con il quale la banca si obbliga ad eseguire gli ordini ricevuti dal cliente” con la possibilità di utilizzare a vista le somme disponibili, senza limitazioni di tempo. Ciò impedisce di prevedere l’utilizzo di quantità non disponibili ad eccezione di eventuali fidi in essere.

Altro elemento da considerare sul quale potrebbe impattare la nuova disciplina di default è la politica gestionale delle banche verso l’utilizzo di nuove forme di pagamento attraverso canali evoluti.

Le carte di credito e di debito verrebbero coinvolte nel nuovo processo di gestione dei rischi di insolvenza. La normativa potrebbe privilegiare lo sviluppo delle prime rispetto alle seconde perché, avendo pagamenti programmati negli addebiti il cliente potrebbe gestire meglio il saldo disponibile rispetto alle carte di debito che generano un impatto immediato sul saldo del conto di regolamento.

Per concludere, appare indispensabile in questo momento storico di post pandemia un rinvio nell’attuazione concreta del nuovo strumento di gestione delle inadempienze e, in futuro, una comunicazione efficace e consapevole delle banche verso la clientela privata, PMI e impresa. Utilizzare delle logiche di flessibilità nella valutazione di classificazione a default cercando di verificare la storicità dei clienti, la sperimentazione dei rapporti e la gestione efficace nel tempo degli affidamenti concessi.

*Giuseppe Della Gatta, esperto di Diritto dell’economia

 

Sbloccate il ddl 788! Appello di chi è a rischio usura

Egregio Senatore, le scrivo in merito al suo disegno di legge 788 sperando nella sua celere approvazione perché credo corrisponda alle mie necessità e a quelle di tanti altri piccoli imprenditori come me.
Sono stato un piccolo imprenditore (attualmente professionista regime dei minimi con ISEE familiare negli ultimi 6 anni tra i 9.000 e i 15.000 euro) travolto dalla crisi del 2008 in poi (visto che in oltre 10 anni non si sono visti cambiamenti migliorativi per quanto riguarda la stragrande maggioranza delle piccole aziende).
Sono del ‘63 ho aperto P. IVA nel 1984 come fotografo, ho tanta esperienza, voglia di fare, e molti progetti pronti da realizzare, non sono uno che anela alla pensione…
Come tanti, all’inizio della crisi del 2008 che aveva pesantemente colpito anche la nostra piccola azienda (24 dipendenti), invece di licenziare subito tutti i dipendenti e chiudere la baracca (come hanno fatto in tanti), con il mio socio abbiamo deciso di provare a farcela, non lasciare a piedi i nostri collaboratori e approvvigionare l’azienda di ulteriori risorse finanziarie con impegni personali.
Per farla breve, il prolungamento e peggioramento delle condizioni economiche generali e il deterioramento del mercato, hanno fatto si che chiudessero tante aziende e che le poche commesse rimaste sulla piazza fossero a bassissima marginalità e ad altissimo rischio di insolvenza dei clienti, mentre i costi per il personale, le utenze e tutto il resto aumentavano invece che contenersi…
Tenga presente che i nostri debiti derivavano in maggior parte dalle tasse e contributi “dichiarati” e sottolineo “dichiarati” (non EVASI o ELUSI) che per cause di crisi di mercato e clienti insolventi non siamo riusciti a coprire interamente.
Piano piano si é spento tutto e siamo rimasti io e il mio socio con tutti i carichi assunti personalmente da sostenere.
Inutile dire che per alcuni di essi ci era stato chiesto dalle Banche creditrici di mettere sul piatto “Garanzie solide”, ergo: le nostre abitazioni personali!
Ad oggi dopo innumerevoli sacrifici e anni spesi nel cercare di tamponare la situazione finanziaria per non farla crollare, dopo le tante richieste (inattese) di riduzione del carico e/o di richiesta a saldo e stralcio (tutte rifiutate), mi trovo con le ultime due posizioni (2 mutui di cui 1 ipotecario e l’altro chirografario garatito anche da mia moglie) che sono stati CEDUTI (a gennaio 2020) ad una società finanziaria come Crediti Deteriorati.
Come ben sà la Banca ha venduto a terzi (sicuramente ad una percentuale molto bassa) i miei debiti, di nascosto, senza avvisarmi e senza darmi la possibilità di usufruire della prelazione su questa opportunità.
In questi giorni la Società con sede a Firenze, gestore del Fondo di Investimento, possiede il mio debito e mi intima di restituire tutto l’ammontare, per intero e senza sconti, pena l’escussione delle garanzie (ergo la mia prima e unica casa dove abito con moglie e 3 figlie) con messa all’asta della mia casa costruita con tanti sacrifici da mio padre (operaio muratore) negli anni ’60.
Inutile dire che, in caso accettassi, la società effettuerebbe un guadagno a dir poco spropositato (rispetto a quanto pagato) ben oltre al tasso di strozzinaggio, e tutto nel rispetto delle malfatte leggi italiane in materia!
Possibile che la prelazione in Italia valga per tutte le situazioni private e commerciali e non per queste situazioni finanziarie?
Possibile che un contadino affittuario di terre che coltiva, un affittuario di case popolari, un comune inquilino di appartamento o stabile commerciale o fabbrica in affitto, possano avere la prelazione in caso il proprietario venda il locale e, a un cittadino come me, al quale la Banca (“ammalata” con i crediti deteriorati in pancia svende il mutuo di nascosto), non sia dato alcun diritto al di fuori che pagare tutto al nuovo creditore senza avere alcun diritto?
Mi sono informato e vengo a sapere che Lei ha presentato un DDL (giacente in attesa di approvazione) che si interessa proprio delle situazioni come la mia, che potrebbe darmi l’opportunità di risolvere questa situazione e poter ricominciare a darmi un opportunità di reinserimento nel tessuto produttivo di questo paese, creando valore, ricominciando a contribuire al PIL di questo malmesso Paese… per Dargli e darmi una nuova possibilità!
Vorrei sapere se ho possibilità legale di oppormi a questa richiesta e se il suo DDL (una volta approvato) potrà darmi un’opportunità di revisione della situazione.
Voglio pagare i miei debiti, sto cercando di renderlo possibile e compatibile con le mie reali possibilità economiche, ma non posso far morire di fame la mia famiglia e compromettere ancor di più il futuro delle mie figlie!

La crisi del credito affossa il Sud

Ultimamente si torna a parlare di fusioni e acquisizioni bancarie, di alleanze e accordi. Dopo un periodo assai difficile legato ai crediti insoluti, il sistema italiano fa parlar di se con l’iniziativa partita dal gruppo Intesa San Paolo con l’offerta pubblica di scambio alla lombarda Ubi Banca, un istituto di medie dimensioni ubicato in una delle zone più ricche e dinamiche d’Italia.

La riduzione dei margini di intermediazione, la digitalizzazione, l’intervento massiccio della tecnologia nel mercato del credito, il costo zero dell’approvvigionamento presso la bce, che ultimamente ha iniettato enormi quantitativi di liquidità nel sistema del credito, ha ridotto fortemente il margine operativo degli istituti favorendo, contestualmente, fusioni e chiusura di sportelli di rete desertificando i territori, in particolar modo quelli del sud.

Questa tendenza sta procurando forti ricadute occupazionali ponendo in pre-pensionamento forza lavoro più anziana, meno motivata, meno propensa al cambiamento, più legata al vecchio modo di far banca per assumere giovani più incentivati al raggiungimenti di risultati commerciali.
In questo scenario si inserisce il rapporto idiosincratico tra banca e impresa, rapporto divenuto più conflittuale sia dal lato della domanda che dell’offerta.

Le difficoltà delle imprese incidono negativamente sulle banche, a causa delle perdite generate dal mancato rimborso dei prestiti, che pesano sul conto economico e lo stato patrimoniale. Il credit crunch attuale è l’effetto sia di fattori inerenti alla domanda sia di un irrigidimento dei criteri di offerta dovuto al nuovo scenario regolamentare. In tale situazione le imprese divengono più esposte agli shock dal lato dell’offerta di credito, poiché risentono di una liquidità fortemente deteriorata, trovando al contempo sempre più complicato ottenere prestiti. L’unica via praticabile per uscire dall’impasse sembra essere quella di restituire centralità all’aspetto relazionale, soprattutto nelle regioni meridionali, dove esso è stato in parte compromesso dal processo di consolidamento e dal conseguente aumento delle distanze funzionali.
Nel rapporto banca-impresa, e nel sistema del credito in generale, la geografia e le distanze svolgono infatti un ruolo di primissimo piano. La maggiore lontananza tra i centri strategici delle banche e il territorio rischia di accentuare i suoi effetti negativi in termini di minore coinvolgimento nelle vicende del tessuto economico, sociale e culturale locale, a danno soprattutto delle PMI, il cui merito di credito si basa essenzialmente su relazioni personali con il management locale e su informazioni difficilmente comunicabili.
Divengono dunque fondamentali le scelte organizzative e gestionali e il grado di autonomia concesso alle banche locali, il cui radicamento nel territorio risulta prezioso per la conservazione del patrimonio informativo locale. La crisi può essere, in tal senso, uno stimolo per rifondare su rinnovate basi il complicato rapporto tra sistema creditizio e tessuto produttivo, che deve evolvere in una visione di lungo periodo, in cui si persegua l’obiettivo di rafforzare la capacità competitiva delle banche, accompagnando al contempo le imprese nel percorso verso una struttura finanziaria più robusta ed equilibrata.

*Giuseppe Della Gatta, analista finanziario

Rinegoziare l’Unione Bancaria

La mia disamina muove sostanzialmente dal titolo. Quando abbiamo deciso di parlare di Banche, di Europa, ho fatto un ragionamento molto semplice, ho guardato a quando sostanzialmente questo tema è diventato un problema. Peraltro ne parleremo anche oggi pomeriggio con gli amici dell’Ucid a proposito del libro sull’educazione finanziaria che l’amico e collega Pedrizzi ha fatto e presentato in questi giorni.

Oggi la tematica bancaria è diventata la tematica oserei dire quotidiana e familiare. Oggi si parla di spread, rating, di rimborsi, di truffati, non è più un tema come lo era quando eravamo giovani noi, riservato ad una parte della comunità sociale, oggi direi che quasi tutti discutono di questi argomenti, ma perché? Perché negli ultimi 19 anni, dal duemila in poi, l’Europa è entrata con forza nella nostra vita. Ricordiamoci che il 2000 è l’anno di ingresso dell’euro, e dal duemila in avanti il nostro sistema sociale, economico, finanziario sconta i più gravi problemi. Questo è un dato di fatto. In questi 18 anni 44 miliardi se ne sono andati in fumo, in questi 18 anni un milione e duecentomila italiani sono rimasti coinvolti nei problemi della finanza. Ecco perché noi oggi ragioniamo di questi argomenti e guarda caso per la tematica bancaria e la tematica europea il periodo è lo stesso, dal 2000 in avanti, passando attraverso crisi, problemi di banche internazionali, e ora purtroppo negli ultimi anni anche nazionali. La prima cosa che potrebbe essere suggerita è quella di fare una critica al sistema bancario, alle banche.

Se c’è un problema ed il risparmiatore viene coinvolto, ovviamente per opinione pubblica e mediatica la banca è responsabile. Io qui invito però a fare una analisi più attenta, e quindi guardo soprattutto a quello che non ha fatto la politica italiana ed a quello che ha fatto purtroppo la politica europea sul sistema bancario europeo e nazionale. Ricordiamo che negli ultimi anni abbiamo familiarizzato con alcuni concetti, bail-in piuttosto di bail-out, dal 2016 l’Italia si è trovata a dover scaricare sui cittadini e sui risparmiatori le inefficienze del sistema, questo è il  bail-in per certi aspetti, e guarda caso entra in funzione nel 2016 in Europa, quando però i tedeschi avevano già capitalizzato a grandi mani tutte le loro banche con denari pubblici. Quindi qualcuno è entrato nelle nuove regole dopo essersi rafforzato, qualcun altro, non solo per ragioni di miopia politica, ma anche per ragioni di funzionamento del sistema non lo aveva fatto, e si è trovato dopo il 2016 coinvolto in regole ferree e stringenti che non permettevano al pubblico di intervenire efficacemente nella soluzione dei problemi.

Cito un altro argomento: i principi contabili. L’Italia si è trovata e si trova ad avere un sistema bancario quasi al 90% sottoposto ai principi contabili nazionali, mentre la forte Germania si trova con oltre il 40% del credito sottoposto ai principi contabili nazionali. Apparentemente si potrebbe dire che è una locuzione tecnica contabile di un ragioniere, ma non è così; parlare di principi contabili internazionali, piuttosto che di principi contabili nazionali, vuol dire ad esempio che quando un titolo a scadenza oscilla chi applica i principi contabili internazionali deve immediatamente svalutarlo se è momentaneamente svalutato, chi invece applica quelli nazionali, può, ritenendo di portarlo a scadenza, lasciarlo in bilancio a valore nominale.

Questo vuol dire che le nostre banche, che ripeto per il 90% rientrano nell’obbligo dei principi contabili internazionali (IASC), a differenza di una Cassa di Risparmio o Cassa Rurale tedesca devono svalutare il proprio attivo con  tutti i problemi che ne conseguono. Quindi un altro elemento per cui il nostro Paese si è fatto, permettetemi il termine, letteralmente -fregare- da queste regole. Quindi bail-in, principi contabili, ieri sul Sole 24 ore -Basilea tre-, delle cui conseguenze di fatto e se ne sarebbero ora accorti anche i francesi e gli austriaci, e quindi le nostre banche trovano difficoltà a finanziare ed erogare credito, anche se i soldi ci sono, a finanziare le piccole e medie imprese, guarda caso quello che è il tessuto economico del nostro Paese. Perché?

Perché quando una banca finanza una PMI quella banca deve fare degli accantonamenti maggiori rispetto a quando finanza la grande impresa. Dopo constatiamo però che i crediti deteriorati provengono perlopiù dalla grande invece che dalla piccola impresa. Questa è l’Europa con la quale ci confrontiamo, e che noi di Fratelli d’Italia vogliamo cambiare, proprio per impedirne la consunzione. Parliamo quindi della Sentenza europea sul caso Tercas che ha di fatto creato problemi ad una banca popolare solida quale era quella di Bari. Perché, perché la politica italiana, quella del Pd che ci ha al tempo governato, ha accettato passivamente le imposizioni della Commissione europea che impedivano di utilizzare il fondo interbancario per risolvere il problema di una banca, quando poi guarda caso a distanza di qualche anno, cioè poche settimane fa, interviene la sentenza europea e dice no, non è così vi siete sbagliati. Però intanto abbiamo trascinato nei problemi una banca popolare, abbiamo trascinato nei problemi le banche che si sono succedute nelle crisi, Etruria, Monte dei Paschi e questo grazie a chi ha accettato passivamente le istruzioni della Commissione europea quando invece avrebbe dovuto dire “me ne frego “e oggi il “me ne frego “ lo ha sancito il tribunale europeo. Ecco cosa significa essere sovranisti, cosa significa avere una dignità di Paese, cosa significa saper rispondere a delle imposizioni di una Europa che , come ho detto direttamente in audizione al Senato alla Commissaria UE Vestager, ha fatto figli e figliastri, perché quella Germania che ha potuto fare tutto, continua tutt’oggi ad usare denaro pubblico per salvare le banche, il caso di pochi giorni fa in Sassonia della Zeta Bank  che è stata alimentata con soldi pubblici, mentre noi in Italia veniamo impallinati o venivamo impallinati allorchè si creavano questi problemi, e si paventava l’intervento di soldi pubblici o addirittura di fondi privati quale erano quelli del  Fondo interbancario.

Ma vogliamo infine dimenticare in questi diciotto anni quello che, tra virgolette, è stato un esproprio delle nostre banche nazionali; ma sappiamo che Banca Intesa, BNL, Unicredit, Casse di Risparmio sono controllate da capitali stranieri per lo più francesi. Quello di cui mi meraviglio è che non c’è reciprocità, che quando noi andiamo al di là dei confini per fare altrettanto ci bloccano. Quando loro vengono in Italia per conquistare le nostre aziende lo fanno liberamente con una politica assente.

Qual è il vero problema? I circa 5 miliardi di risparmi italiano che esistono, sono di fatto controllati da banche italiane ma con capitale straniero. Allora cosa pensate, che colui che dirige una banca possa indirizzare il risparmio verso il mercato nazionale, o piuttosto verso il proprio, quello francese? Quindi in sostanza, semplificando, i nostri soldi, il nostro risparmio, che rende l’Italia unica o comunque tra i primi Stati del mondo viene spesso utilizzato in altre realtà, perché i capitali delle nostre banche, cioè coloro che guidano e governano le nostre banche non sono italiani. Allora se ci fosse reciprocità e i nostri capitali governassero le banche francesi e tedesche non ci sarebbe problema, ma siccome così non è, sarebbe ora che la politica si svegliasse. Questo è essere sovranisti, non è venir meno alla cultura liberale, è saper difendere su un piano paritario i nostri principi economici, le nostre aziende, le nostre imprese, la nostra cultura. Un ultimo aspetto. Cosa è accaduto in questi ultimi anni che ci aiuta a capire perché parliamo di Europa e banche. Sono state smantellate dal precedente Governo, senza fare polemica a tutti i costi ma il dato è questo, le banche di prossimità, le banche di territorio. Abbiamo distrutto le banche popolari e le Casse rurali, in modo diverso anche perché le Banche popolari si sono assottigliate allo zero, le Casse rurali almeno formalmente, provengo dal Trentino la patria del Credito cooperativo, ci sono, ma in realtà sono holding, spa. I direttori delle casse rurali territoriali, sotto voce perché non possono gridarlo, mi ringraziano per la battaglia fatta in Senato, senza risultato, perché anche il Governo giallo-verde ha sposato la causa obtorto collo del governo Renzi, che ha permesso che le Casse rurali diventassero di fatto delle holding, di fatto delle banche di credito nazionale.

Questo vuol dire che abbiamo perso la specificità, la territoriali della presenza del credito, questo erano le banche di territorio, quelle banche che conoscevano il nonno, il bisnonno, che valutavano non solo il rating, Basilea3, ma che valutavano le caratteristiche umane, sociali dell’impresa. Oggi quelle banche per lo più non ci sono. Questo è accaduto in questi anni, e quando mi ricollego alla mia introduzione, dico non prendiamocela tanto con le banche, prendiamocela soprattutto con quella politica europea e nazionale che ha portato le banche in queste condizioni.

Per concludere ed allacciarmi al titolo del meeting: quali sono le risposte che dobbiamo dare per avere delle prospettive? Vado per sintesi: 1) venga rinegoziata l’Unione bancaria europea. La vigilanza europea sul sistema bancario, che nasce nel 2014 quando doveva parallelamente vedere la crescita e la nascita delle assicurazioni europee sul credito, questo sistema di vigilanza europeo va rinegoziato, questa è la prima risposta cosicché non accadano più le problematiche avvenute in questi anni. 2) Cosa dobbiamo proporre? Una normativa speciale per le piccole banche, per quelle banche di territorio di cui parlavo prima, perché rinascano anche in Italia le banche di territorio e guarda caso nella mia regione abbiamo in Alto Adige la componente tedesca che ha fatto blocco contro quello che è successo al credito cooperativo nel resto del Paese, optando per un sistema di mutua garanzia invece che sulla strutturazione ad holding. Quindi una nuova normativa per le banche di territorio. 3) La divisione tra le banche di investimento e le banche commerciali; non è possibile infatti che quella banca che riceve il risparmio del pensionato o che dà il credito all’artigiano vada poi ad investire in derivati o in altre speculazioni.

Torniamo così a dare fiducia al nostro sistema bancario, a credere nelle nostre banche e darle la forza di tornare protagoniste, e in questo valutazione mi appello a BankItalia affinchè riscopra l’orgoglio delle proprie tradizioni, ritorni a fare quello che non ha fatto bene, in parte per colpa sua e in parte per i vincoli europei, torni ad essere la banca di riferimento del sistema bancario, e, visto che siamo in periodo di nomine, invito la politica ad una presa di coscienza, invito bankItalia a rivendicare la propria indipendenza, anche se indipendenza è un concetto ben diverso dall’autorefenzialità, quindi le nomine di Banca Italia vengano concordate con la politica, non siano i governatori ad imporli alla politica, perché l’amministrazione di Banca Italia è indipendente il giorno dopo l’elezione, ma il giorno prima va concordato con la politica e i Governi che reggono i Paesi. Quindi un invito al nostro sistema a riscattarsi, a Banca d’Italia a  tornare  ciò che era, al Governatore della Banca d’Italia a ricordarsi che l’indipendenza e l’autorefenzialità sono concetti ben diversi.

*Sen. Andrea de Bertoldi (Segretario Commissione Finanze e Tesoro, Capogruppo FdI Commissione Bicamerale Anagrafe Tributaria, Dottore Commercialista e Revisore Contabile)

Intervento svolto a braccio al meeting “L’Europa e le Banche. Quali prospettive per il credito alle imprese e alle famiglie. I casi NPL e immobili all’asta”

Truffati dalle banche, forse anche dal governo

Un altro slittamento per il varo del decreto sui rimborsi ai risparmiatori beffati dalle banche.

A quasi un anno dall’incontro tra il Premier Conte e una delegazione di risparmiatori, ancora la legge che dovrebbe permettere di rimborsarli è in alto mare.

Dalle solenni promesse in campagna elettorale di un risarcimento al 100%, in seguito alle quali si sono meritati i voti di molti depredati, il Governo si è realisticamente ridimensionato ad un 30 % per gli azionisti; ma, gli ultimi sviluppi della vicenda fanno temere il peggio per i risparmiatori.

La norma infatti potrebbe andare in contrasto con i regolamenti europei, ragione questa che potrebbe portare al congelamento di queste risorse e quindi ad un’empasse abbastanza serio.

Mentre infatti il Governo aveva sempre e ripetutamente espresso ottimismo riguardo le misure pensate per rimborsare i risparmiatori truffati, da Bruxelles arrivavano, nero su bianco, delle domande in merito alle modalità con le quali i risparmiatori sarebbero stati rimborsati. Domande che sapevano tanto di minaccia di infrazione. Secondo la normativa europea infatti l’accertamento di vendita fraudolenta dovrebbe essere condotto o da un Tribunale o da un arbitrato indipendente. La Legge di Bilancio 2019 però, ascoltando le richieste di alcune Associazioni di risparmiatori, non ha previsto nulla di tutto questo, aprendo invece alla possibilità di inoltrare una semplice richiesta al MEF da far analizzare poi da un’apposita commissione. Ciò in virtù delle violazione massive che, in effetti, si sono verificate in queste banche. L’utilizzo dell’arbitrato pone il risparmiatore in un detestabile paradosso; come se i passeggeri del Titanic dovessero dimostrare di fronte ad un giudice le prove del loro annegamento. In queste banche infatti la truffa non si è verificata solo allo sportello con mifid falsificati e vendita scorretta, ma anche a causa dell’inefficacia della supervisione svolta dalla Banca d’Italia e dalla Consob. Giudicare la meritevolezza o meno di un rimborso solo per la truffa allo sportello significa non considerare l’inadempienza degli organi di controllo ed escludere una buona fetta di risparmiatori.

Salvini e Di Maio, però, da un lato venivano a Vicenza all’Assemblea dei truffati, rassicurando sul fatto di non voler tener conto dei dicktat dall’europa e lasciandosi andare a proclami roboanti su un’imminente decreto che avrebbe permesso subito l’attuazione della norma sui rimborsi. Dall’altra però, gestivano con poca trasparenza le trattative con l’Unione europea, senza forse mettere in conto che un’eventuale infrazione, al di là dei loro proclami da campagna elettorale, avrebbe provocato il congelamento di quelle risorse e quindi, di fatto, bloccato i rimborsi.

Dall’Assemblea di Vicenza infatti sono passate diverse settimane, e del decreto attuativo ancora non c’è neppure l’ombra.

Con molte probabilità dunque si sta cercando di attuare il misselling caso per caso affidando alla Consap l’esame delle domande; con questa soluzione Tria spera di superare l’esame della Commissione.

Al di là delle dimostrazioni di forza, quindi, la verità rimane che senza l’ok della Commissione europea il decreto non esce.

Abbiamo quindi il fondato sospetto che i prevedibili sviluppi di questa situazione rendano improbabile qualsiasi erogazione nel 2019. Ed i risparmiatori, per l’ennesima volta, sono stati merce da cannone elettorale.

 

*Letizia Giorgianni, presidente Associazione vittime del salva-banche