GEOPOLITICA E COMMERCIO ESTERO

In occasione della presentazione del terzo Rapporto AWOS presentato giovedì 15 ottobre ore 12 presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato, pubblichiamo la prefazione del Senatore Adolfo Urso.

Le sanzioni internazionali, le restrizioni commerciali, le guerre doganali sono ormai divenute realtà emergenti nel commercio estero. Tutti i giorni nelle cronache degli affari internazionali si trovano sempre più esempi della loro crescente rilevanza, nel bene e nel male. Su base ormai quotidiana si minacciano sanzioni, si discutono nuovi regimi sanzionatori, si rinnovano quelli in corso, si bloccano conti correnti, si listano persone fisiche, imprese e navi; si impedisce l’export di certe tecnologie o si pongono dazi per motivi politici.

Non con la stessa frequenza con cui sono messe, ma le restrizioni economiche vengono anche tolte o ammorbidite; si delistano entità, si tolgono Paesi dai regimi sanzionatori, si fanno accordi internazionali che pongono le basi per la rimozione delle barriere. Il Sudan è da poco uscito dalle sanzioni internazionali, gli Emirati Arabi Uniti hanno tolto l’embargo ai prodotti israeliani mentre il presidente Trump sta corteggiando il presidente Nord Coreano per giungere ad un accordo che potrebbe sbloccare quello che è il regime sanzionatorio più esteso del mondo.

Non solo gli Usa, ma anche l’Unione Europea hanno ormai identificato le sanzioni, le numerose forme di export control e gli screening degli investimenti in entrata come uno degli strumenti indispensabili nelle relazioni internazionali di un mondo sempre più post-globale. Basta seguire le riunioni del Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione Europea che si tengono a Bruxelles per vedere ormai che le sanzioni sono divenute il principale, se non l’unico, strumento di politica estera e di sicurezza dell’UE.

Purtroppo non tutti i regimi sanzionatori e di controllo sono giusti o necessari. Lo è quello che colpisce il regime di Maduro in Venezuela. Altri, come quello verso la Russia, appaiono essere superati e non più in grado di raggiungere gli obiettivi originali. In mezzo a questi due estremi ve ne sono tanti altri. L’Unione Europea ha in vigore ben 37 regimi sanzionatori, grandi e piccoli. Poi vi sono quelli americani che a volte, come nel caso di Cuba ed in quello dell’Iran, possono colpire aziende europee anche extraterritorialmente.

La domanda fondamentale a questo punto diventa: cosa può fare un Paese come l’Italia per far si che l’interesse nazionale non venga danneggiato dai regimi sanzionatori e dalle altre restrizioni, vincoli e controlli agli scambi economici internazionali? Purtroppo i governi italiani non sempre sono riusciti a conciliare l’adesione ai regimi sanzionatori con la tutela degli interessi economici italiani e con la sicurezza economica del nostro Paese. Il risultato è che abbiamo spesso visto danneggiati i nostri esportatori ed abbiamo assistito ad indebolimento del nostro sistema produttivo su mercati internazionali. L’Iran e la Russia sono due casi esemplari, da questo punto di vista. Due mercati chiave per l’internazionalizzazione delle nostre imprese dove l’Italia ha perso quote di mercato proporzionalmente più ampie di quelle perdute da altri Stati europei o altri Paesi concorrenti. Per l’effetto delle sanzioni o l’Europa ha perduto quote di mercato importanti mentre i nostri avversari commerciali finivano per avvantaggiarsi delle limitazioni alle nostre esportazioni. La Cina, ad esempio, ma anche l’India o la Turchia sono Paesi che hanno beneficiato delle sanzioni varate dall’Occidente.

Per l’Italia esiste poi un altro problema da prendere in considerazione, ossia la struttura dell’impresa italiana, per lo più di minore dimensione di quella di altri paesi nostri concorrenti. Ciò comporta inevitabilmente maggiori difficoltà e costi nella gestione del rischio Paese, nel monitorare e nell’adattarsi alle norme sanzionatorie internazionali.

Il mondo delle sanzioni e delle restrizioni al commercio internazionale non rappresenta dunque solo una sfida per il rispetto delle norme internazionali, ma anche per la competitività globale dell’Italia.  I Paesi che sanno produrre sanzioni, sanno negoziare quali sono le merci e le imprese da includere e quelle da lasciare fuori; che sanno ricercare ed ottenere le giuste eccezioni nella costruzione dei regimi sanzionatori, possono ridurre il danno o addirittura sfruttare le restrizioni per aumentare le proprie quote di mercato.

Per fare questo lavoro, per nuotare anche contro la corrente di una crescente pressione sanzionatoria  servono aziende di grandi dimensioni produttive e finanziarie; ma soprattutto serve che lo Stato sia molto vicino alle imprese, soprattutto le medio-piccole, proteggendole dalle distorsioni che l’applicazione indiscriminata dei sistemi restrittivi del commercio estero può produrre.

In molti casi l’Italia appare purtroppo non aver tratto alcun giovamento ma danni economici dai principali regimi sanzionatori cui il nostro Paese ha aderito, spesso senza poter adeguatamente intervenire nei momenti in cui sono preparati e costruiti gli stessi regimi sanzionatori. Anche per questo, sarebbe necessario che l’Italia fosse più assertiva in seno all’Unione Europea in quelle fasi in cui sono costruiti gli impianti delle sanzioni, anche indirizzando l’Unione europea a valutare meglio le conseguenze economiche di una politica delle sanzioni prolungata nel tempo e a realizzare una politica più  stringente nel campo degli  accordi laterali preferenziali con particolare attenzione ai mercati per noi più promettenti. Le sanzioni hanno senso se sono dirette, condivise e applicate da tutti, di breve durata ed effettivamente efficaci. Quando si prolungano nel tempo, senza raggiungere gli obiettivi, diventano controproducenti per chi li applica e anche per le popolazioni che li subiscono.

Se le sanzioni sono un male necessario, dobbiamo però prendere atto che esistono sanzioni accettabili per il sistema produttivo, sanzioni neutre e sanzioni pessime. Ogni Paese fortemente legato al commercio internazionale deve dunque dotarsi di una politica delle sanzioni, che consente di pilotare gli esiti sanzionatori in maniera compatibile o meno sfavorevole possibile agli interessi economici e nazionali. Questa capacità di governo delle sanzioni è oggi divenuta una vera necessità per la sicurezza economica nazionale. Il progetto AWOS – A World of Sanctions e i rapporti annuali su geopolitica e commercio estero che questo think tank realizza rappresentano ormai da molti anni in Italia un importante punto di dibattito per lo studio e l’analisi delle sanzioni e dell’export control.

*Adolfo Urso, vicepresidente Copasir

 

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