Parigi“La Corse sous tension après la mort de Colonna”. La morte dell indipendentista corso sui media francesi è al centro delle analisi e delle polemiche. In piena campagna elettorale quella dell’assassinio in carcere di un uomo simbolo dei Corsi è una macchia sul governo e sulle istituzioni. Colonna è deceduto lunedì sera a Marsiglia dopo tre settimane di coma. Il 2 marzo scorso era stato aggredito nel carcere di massima sicurezza di Arles, dove scontava l’ergastolo, da un altro detenuto che lo ha strangolato procurandogli un arresto cardiaco. Viene tacciato di debolezza uno Stato che non riesce a garantire la vita anche a chi è in carcere.
Colonna, 69 anni, era in cella per l’assassino del prefetto Claude Erignac, gli sparò la sera del 6 febbraio 1998 nel centro di Ajaccio. Ma per i Corsi , Yvan, che si è sempre dichiarato innocente, era un prigioniero politico e un’icona.
“En Corse, l’heure est su recuelliment” titola Le Parisienne, è l’ora del raccoglimento. Il silenzio in attesa dei funerali ancora da fissare. Ma dopo i giorni del lutto e del rispetto la protesta potrebbe esplodere violenta nell’isola ferita.
Da anni ogni estate frequento la Corsica. È una forte identità che caratterizza quel popolo. E un profondo senso di orgoglio e di giustizia che colgo negli aspetti quotidiani.
Se vuoi cogliere l’anima profonda della Corsica non fermarti alla costa o ai ritrovi sul mare. Ci sono posti che ti fanno vivere lo spirito vero dell’isola, come “A Filetta” (La Felce). A pochi chilometri dal Canyon di Baracci, Inerpicato su una salita sterrata costellata di buche e avvallamenti a prova di trazione integrale. Scopri questo che non è proprio un ristorante, forse neppure una trattoria, è un luogo per stare insieme, tra Corsi. C’ entri con rispetto e respiri il fascino di un covo. Tavoli in legno ruvido all’aperto, il fuoco, il fumo col profumo di carne alla brace o forse di libertà. Davanti agli occhi i boschi e una valle incantevole; guardi e capisci che Dio esiste. Nel sottofondo i canti popolari in una lingua che ti sembra simile alle cadenze dei nostri dialetti. Canti che parlano di amore e tradimenti, di onore e di vendette. E parlano di giustizia, di patria, di libertà, e di Nazione Corsa.
Leo, il padrone della baracca (che ora di definisce chef), ti tratta con gentilezza e squisita cortesia forse anche perché sei italiano, non so se è così anche con i francesi.
Quando a sera tarda te ne vai, senti quella musica ribelle che diventa una ninna nanna dolce e aspra insieme:
“Pighianu ali’usciu/ So li gendarmi fora Cercanu a Babbitu/ Ma quist’è u n a trist’ura Babbitu è in campagna Duvè lu farà dimora./ Fa la ninna, e fa la nanna Figliulellu dilla mamma”.
Racconta di un bandito inseguito dai gendarmi che si rifugia nella sua casa. La moglie lo nasconde sotto una tela che ha tessuto. Con la tela fa un rotolo e lo stringe in petto come se cullasse un bambino. Quando i gendarmi entrano nella stanza lei intona la ninna nanna. Le guardie se ne vanno senza aver scoperto l’uomo nascosto.
Lungo la strada cartelli bilingue, in corso e in francese. Quasi dovunque è cancellata la scritta in francese.
A cento metri dalla cattedrale di Propriano vedi una scritta gigantesca che nessuno da anni cancella: “Arabi fora”.
Se ti fermi a fare il pieno al Chez Mimì, distributore Esso automatico di Propriano ti avvicini alla pompa e senti partire una musica di sottofondo. No, , non è possibile… è “Brigante se more”:
Amme pusate chitarre e tammure
Pecchè sta musica s’ha da cagnà
Simme brigant’ e facimme paura
E ca sch’uppetta vulimme cantà
E mo cantam’ ‘sta nova canzone
Tutta la gente se l’ha da ‘mparà
Nui simmo co re nuosto burbone
A terra è a nosta e nun s’ha da tuccàL’avevo già ascoltato questo canto, tradizionalista, voce del nostro profondo Sud.
Note che cantano l’identità.
Identità, come quella dei Corsi.*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare
Francia, divisi non si vince
Parigi, 23 marzo
C’è un sole splendido a Parigi nei primi giorni di primavera. C’è vita ai caffè di Montmartre, nelle strade del lusso e dello shopping, all’Avenue de Champs Élisèe come a Saint Germain des Prés. Il freddo si allontana e rivedi minigonne e shorts. Si allontana anche l’incubo del Covid o almeno viene rimosso e soppiantato dai lampi di guerra di Putin.
Parigi dimentica. Sembra anche dimenticare che tra due settimane, il 10 aprile, si voterà per eleggere il Presidente della Repubblica. Non c’è traccia di elezioni imminenti sui muri della città. I quotidiani dedicano poche pagine al dibattito politico. Macron non ha tempo per confronti sul programma impegnato com’è con la presidenza di turno francese del Consiglio Europeo e nel ruolo di prestigio che si è ritagliato nei negoziati per fermare la guerra. Formidabile tribuna di immagine senza contraddittorio per volare nei sondaggi quasi al 30% e assicurarsi il primo turno. Tant’acqua è passata sotto i ponti della Senna da quando i gilet gialli bloccavano la Francia tutti i sabati e il gradimento di Macron scendeva a picco. Oggi la sua rielezione al secondo turno viene data per certa dai media. A chi toccherà sfidarlo il 24 aprile? Trai 12 candidati all’ Eliseo la socialista Anna Hidalgo, sindaco di Parigi, e Valerie Pécresse, Repubblicani, il partito un tempo si Sarkozy, non vengono nei sondaggi accreditati per il ballottaggio. La rosa per il titolo di sfidante vede al primo posto Marine Le Pen sotto il 20% poco insidiata a sinistra da Jean Luc Mélenchon al 13% e alla destra estrema da Eric Zemmour al 12%.
Cavallo di battaglia di Zemmour, origine ebraica, è la lotta all’immigrazione, con toni più marcati della Le Pen. Zemmour viene definito come ideologo della destra radicale e apripista a Marion Marèchal giovanissima figlia di una sorella di Marine Le Pen. Quanto basta per far definire dinastica la destra francese.
Macron dunque sembra avviarsi alla riconferma. Poche speranze per la destra divisa tra quella moderata di Pécresse, quella radicale della Le Pen e quella più marcata di Zemmour. Divisi in Francia non si vince. Neppure in Italia.
*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare