RECOVERY AND RESILIENCE FUND

I tempi per il Resilience & Recovery Fund (RRF) sembrano allungarsi a ragione delle differenze politiche con Polonia ed Ungheria. È quindi appropriato non correre, ma attrezzarsi o con agenzia ad hoc (come suggerito da Giorgio La Malfa e, con diversità di accenti, da Alberto Quadrio Curzio) oppure (come nella recente proposta della Assonime, e nel paper di Marco Buti e Marcello Messori) oppure ponendo via Venti Settembre al centro dell’operazione, sotto il profilo tecnico.

L’idea delineate al vertice di maggioranza del 28 novembre di creare nella Presidenza del Consiglio una task force con sei manager e circa trecento addetti solleva serie perplessità. Qualsiasi specialista d’amministrazione nutrirebbe seri dubbi sulla capacità di selezionare, sei manager e trecento esperti, amalgamarli, dare loro orgoglio e sentimento di équipe – tutte caratteristiche per potere ben lavorare insieme. Per non parlare della logistica: trovare locali, attrezzature, e via discorrendo. E soprattutto della messa in atto di processi lavorativi, analitici e decisionali, Come evitare, infine, frizioni con le amministrazioni dello Stato (alcune con un forte spirito di corpo) che si sentirebbero inevitabilmente spodestate, e con le Regioni, per le materie loro affidate? I tentativi di creare strutture parallele finiscono sempre male. Inoltre, solleva seri dubbi sotto il profilo costituzionale – il Presidenze del Consiglio, e quindi i suoi uffici- hanno solo compiti coordinamento ai sensi dell’art.95 della Costituzione.

Inoltre, Palazzo Chigi (metaforicamente perché l’organico è ormai sparso in decine di edifici romani) è già affollato e sotto stress per avere avocato a sé numerosi compiti operativi, non di coordinamento. Oltre a quelli più noti – come i servizi segreti (di solito affidati al Ministro dell’Interno od ad un Sottosegretario ad hoc) -, vale la pena citare la struttura di missione Investitalia per le infrastrutture, quella per l’analisi dell’impatto della regolazione ed un Gabinetto su cui grava anche la nomina dei commissari per le opere pubbliche e per la sanità.

E’ soprattutto una proposta singolare, in quanto tranne la Francia (che ha in pratica dato nuova vita al Commissariato al Piano, le cui strutture erano comunque rimaste intatte in seno al Ministero dell’Economia e delle Finanze)) tutti gli altri Stati affidano l’operatività del Resilience and Recovery Fund ai rispettivi Ministeri dell’Economia e delle Finanze per il lavoro tecnico da condurre in cooperazioni con le altre amministrazioni centrali e regionali, ed al Ministro degli Affari Europei (quasi sempre senza portafoglio) il collegamento con le istituzioni europee. A livello politico interno, esistono comitati interministeriali per gli affari europei ed per la politica economica analoghi ai nostri Ciae e Cipe. In certi casi si dovrà rafforzare l’esistente con l’immissione di qualche esperto specialistico. Sarebbe opportuno, poi, utilizzare questa occasione per rivedere numerosi processi. Il disegno di legge di bilancio all’art.184 comma 14 già prevede un ruolo importante per il Ministero dell’Economia e delle Finanze- Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato; è sufficiente estenderne la portata in analogia con quanto avviene in quasi tutti gli Stati dell’Ue.

Come indicato al termine di questo appunto, ove si volesse adottare l’idea concordata al vertice di maggioranza del 28 novembre, i tempi – come indicato nella nota al temine di questo appunto- non sarebbero compatibili con il programma europeo per il Recovery and Resilience Fund.

A mio avviso, il Ministero dell’Economia e delle Finanza è l’unica struttura della pubblica amministrazione che ha la capability di gestire la valutazione e selezione degli interventi, nonché, in collaborazione con le amministrazioni competenti dello Stato e delle Regioni, monitorare la tempistica della loro attuazione.

Al Ministero dell’Economia e delle Finanze, ai fini della valutazione e selezione degli interventi, si può prevedere un metodo in tre fasi: a) presentazione di un programma di riforme le cui spese vengano valutate con strumenti all’altezza di standard internazionali; b) scrematura dei progetti/singoli componenti di spesa (sia in conto capitale sia di parte corrente) per individuare quelli validi; c) scelta dei progetti/singoli componenti di spesa che ottimizzino gli obiettivi di politica economica. In tal modo, la politica si concentrerebbe sul livello “alto” della definizione degli obiettivi e dei parametri di valutazione e il lavoro di analisi verrebbe effettuato a livello tecnico, evitando un “suk” tra portatori di interessi. Se l’elenco dei progetti/singoli componenti di spesa non piacesse al Comitato interministeriale per gli affari europei, il livello politico dovrebbe modificare gli obiettivi (e parametri) e quello tecnico, utilizzando la strumentazione disponibile, fornirebbe una nuova proposta in linea con i nuovi obiettivi.

La prima fase potrebbe essere realizzata utilizzando Macgem-It, un modello econometrico multisettoriale sviluppato proprio all’interno del ministero dell’Economia e delle Finanze e pubblicato nel marzo 2020. Macgem-It consente di valutare gli effetti di programmi di spesa su variabili-obiettivo come Pil, occupazione, bilancia dei pagamenti e via discorrendo. E inserendo una funzione che specifichi l’importanza relativa che si dà ai vari obiettivi, delineare il mix o il pacchetto di spese che meglio consente di ottimizzare il loro raggiungimento.

È uno strumento che molti Paesi utilizzano per forgiare la loro politica economica e che in Italia è stato impiegato, in una versione molto semplificata, negli anni Ottanta e, poi, per l’analisi di alcuni grandi investimenti quali la transizione della televisione analogica al digitale terrestre e l’alta velocità tra Lione e Torino, nonché alcuni aspetti della politica tributaria. È entrato in graduale disuso soprattutto perché il suo asse portante – la “matrice di contabilità sociale” (Sam, per gli addetti ai lavori) – non veniva aggiornata dalla fine degli anni Novanta, quando l’Istat ha dato la priorità alle statistiche richieste dall’Ue. Si tenga presente che proprio per il Recovery fund in Francia è stato rimesso in funzione il Commissariato al Piano: è stato nominato un Alto Commissario che riferisce direttamente al Governo e il cui staff utilizzerà strumenti come Mcgem-It (i cui antenati sono comunque francesi, il Tableau économique di Quesnay).

Macgem-It è l’acronimo di “Multisector applied computable general equilibrium model for Italy” (modello multisettoriale computabile di equilibrio generale per l’Italia). È stato realizzato dal Dipartimento del Tesoro in collaborazione con il Dipartimento di economia e diritto dell’Università degli studi di Macerata. È stato ben tarato sulle caratteristiche del sistema economico italiano allo scopo di quantificare l’impatto disaggregato, diretto e indiretto, delle politiche di bilancio e degli scenari di riforma ipotizzati. Una prima versione è stata discussa due anni fa a un seminario tecnico a via XX Settembre, ora è un gradevole fascicoletto (pubblicato lo scorso marzo). È utile sapere che la Commissione europea ha invitato i modellisti italiani a tenere seminari di formazione per i colleghi di altri Stati dell’Ue. E’ quindi rispettato ed apprezzato alla Commissione europea.

La seconda fase è l’individuazione della platea di progetti singolarmente validi. A via Venti Settembre non mancano professionalità. Circa quaranta anni fa si sono fatte le prime esperienze di analisi costi-benefici applicate al Fondo investimenti e occupazione (Fio). Sono poi continuate all’allora Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione. Infine, una quindicina di anni fa si sono fatte sperimentazioni di valutazione in condizioni di incertezza utilizzando tecniche molto avanzate. Infine, un centinaio di funzionari e dirigenti del dicastero hanno seguiti corsi alla Scuola nazionale d’amministrazione. Le “risorse umane” – per usare il lessico corrente – ci sono, occorre organizzarle bene e fornire loro i parametri di valutazione. Due compiti che spettano al livello politico.

I parametri di valutazione esprimono: a) le preferenze di distribuzione dei costi e dei benefici per fasce di reddito/consumi o su base territoriale o sotto il profilo intergenerazionale; b) il valore sociale da attribuire a obiettivi di politica economica e sociale, quali l’occupazione, la coesione sociale e la sostenibilità ambientale; c) il valore da attribuire a beni e servizi non di mercato o solo parzialmente di mercato (istruzione, ambiente, salute); d) il computo economico di effetti esterni, interdipendenze, costi accantonati, trasferimenti finanziari all’interno della collettività, andamento generale o specifico dei prezzi di beni e servizi; e) il valore economico e sociale di beni e servizi in mercati regolamentati (spesso con tariffe e altre forme di prezzi amministrati).

In materia, la situazione è un po’ confusa e sarebbe necessario mettere rapidamente ordine. Parametri sono stati elaborati negli anni Ottanta del secolo scorso dall’allora Ministero del Bilancio sulla base di una metodologia econometrica aggregata, volta a stimare il rendimento marginale dell’investimento in opere pubbliche. Essi hanno fornito la base di una delibera del Cipe del 1984, emendata, per gli investimenti nel Mezzogiorno, da una direttiva della presidenza del Consiglio del 1986. Tanto la delibera Cipe, quanto la direttiva sono ormai obsolete. Nel 2007, un documento di lavoro dell’Uval (Unità di valutazione allora presso il Ministero dello Sviluppo economico) ha proposto un aggiornamento (peraltro mai ufficializzato), basato sostanzialmente sui lavori della Commissione europea e sulle direttive per le istruttorie di piani e progetti a valere sui fondi strutturali europei. Nel 2012, il Cnel ha presentato un documento di osservazione e proposte, alla luce dell’evoluzione metodologica e dell’esperienza delle principali istituzioni internazionali e dei maggiori Paesi europei, ma soprattutto in linea con obiettivi che danno la priorità alla sostenibilità ambientale e a una migliore distribuzione dei benefici della crescita tra varie categorie. Il documento fu inviato a Governo e Parlamento, ma non è mai stato recepito. In punta di diritto è ancora valida la delibera del Cipe del 1984. Un chiarimento è essenziale. Sarebbe logico e semplice adottare il documento Cnel, aggiornato e ritoccato come si ritiene.

Il terzo stadio è la scelta in funzione degli obiettivi. Si può tornare al nostro amico Macgem-It o applicare una procedura multicriteri. L’aspetto tecnico è semplice, sempre che gli obiettivi politici siano chiari e trasparenti a tutte le dramatis personae italiane e Ue coinvolte in questa operazione.

Nota sulla tempistica

Ho fatto una stima dei tempi per varare la task force. Gli uffici della Presidenza del Consiglio sono già sotto affanno perché mancano circa trecento decreti attuativi (una settantina all’ormai «storico» Decreto Rilancio) per dare corpo alle misure anti- Covid.

Ammesso che tramite un maxiemendamento, la task force venga istituita con la legge di bilancio, la norma richiederebbe almeno una dozzina di decreti attuativi per esplicitare linee di comando, organigramma, direttive per la comunicazione esterna ed interna, i principali processi operativi; perché siano redatti, firmati, vidimati e bollinati (ad esempio dalla Ragioneria Generale dello Stato e dalla Corte dei Conti), andando alla velocità di Speedy Gonzales ci vorranno quattro mesi: si celebrerà la «missione compiuta» il primo Maggio, Festa del Lavoro.

Ma è solo l’inizio. Per la selezione dei manager e degli esperti, si dovrà ricorrere a procedure di evidenza pubblica, per evitare che magistratura contabile e magistratura amministrativa od anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Ana), invalidino il tutto. Sarebbe, poi, una discriminazione incostituzionale non consentire ai dirigenti ed ai funzionari della pubblica amministrazione di partecipare alla selezione. Per accorciare i tempi si possono prevedere due binari (dopo avere descritto chiaramente ciascun incarico – attività che ha richiesto quattro mesi per la piccola struttura di missione «Investitalia») istituita presso la Presidenza del Consiglio sulla base della legge di bilancio 2019). Un binario per la pubblica amministrazione: un mese per redigere l’«interpello» e pubblicarlo, un mese per ricevere la domande, almeno tre mesi perché le commissioni di valutazione (da nominare) esaminino e la candidature e due mesi per decreti di nomina e relative registrazione. In breve, i primi «incaricati» prenderebbero servizio nel febbraio 2022

Non più rapido il percorso per rivolgersi al mercato privato. Ci vorrebbe una gara per selezionare società di ricerche di manager e di esperti, come venne fatto ai tempi del Governo Letta per le nomine nelle aziende a partecipazione pubblica (per incarichi nei consigli di amministrazione e simili). Allora la gara richiese quattro mesi: ora potrebbero essere portati a tre. Difficile accorciare i tempi del resto della procedura. I prima «incaricati» arriverebbero nel marzo 2022.

*Giuseppe Pennisi, economista