L’agricoltura del Sud risorge con l’innovazione

L’agricoltura in Italia ed in particolar modo nel meridione è stata da sempre elemento essenziale in chiave di sviluppo del territorio. Senza voler andare troppo indietro nel tempo, basti pensare che agli albori del XIX secolo, la maggior parte degli italiani viveva di agricoltura. Il sud era foriero di produzioni di eccellenza quali vino, olio e agrumi.

Il settore agricolo è da sempre stato soggetto a fortissime variazioni sia in termini di produzioni che di valore, e ciò ha comportato un graduale e costante impoverimento della classe contadina, che si è vista sempre maggiormente deteriorare il potere di acquisto, in favore della rendita fondiaria.

La storia ha da sempre insegnato che barriere protezionistiche rigide comportano quasi sempre l’impoverimento delle classi meno agiate, e in tale ambito i ricorsi storici sono piuttosto frequenti, si veda ad esempio ciò che comportò la svolta protezionistica di fine ‘800 a tutela dei prezzi del grano, che in realtà non fece altro che far partire molte azioni ritorsive da parte della Francia (allora il principale importatore di grano italiano).

Il XX secolo ha visto invece enormi cambiamenti sia nei sistemi produttivi (andando da produzioni estensive a produzioni intensive) sia nei mercati di sbocco (il mondo diventa lo scenario competitivo su cui operare).

L’agricoltura del sud Italia oggi sta attraversando una delle più grosse crisi mai registrate. Tale crisi ha portata talmente ampia da abbracciare diversi ambiti quali la comparsa di nuovi batteri (vedi Xylella), la comparsa di nuovi player sullo scenario competitivo, cambiamenti climatici che stanno stravolgendo la realtà per come la si conosceva, e a ciò si aggiunga l’intervento dell’uomo volto a violentare la terra, che prima era fonte di vita e oggi diventa sempre più fonte di morte.

È da questa profonda crisi che emerge la necessità e l’urgenza di intervenire provando a cogliere opportunità che non si palesano se non fortemente cercate. La nostra agricoltura è in fase di importanti scelte strategiche sia sotto il profilo dell’occupazione sia sotto quello della cura di interi ecosistemi a  salvaguardia del Territorio

L’economia agricola si è sempre scontrata con difficoltà enormi a reperire fondi (anche a causa di amministrazioni non particolarmente collaborative), non è riuscita mai a dotarsi di una classe manageriale capace di trainare le aziende del comparto verso nuovi orizzonti, perché poco propensa ai cambiamenti.

Eppure una via è stata tracciata già da qualche anno, e il tutto è convogliato in ciò che oggi viene definita come Agricoltura 4.0, che non è altro che l’integrazione tra ciò che sono le strategie tradizionali con le nuove tecnologie.

Il digitale di fatto già è ormai approdato nella filiera agroalimentare e ogni giorno escono novità capaci di cambiare radicalmente i paradigmi a cui il comparto agricolo faceva riferimento. I dati sono sempre più l’elemento da cui partire, ad esempio per poter conoscere le caratteristiche fisiche e biochimiche del suolo, così da impostare un tipo di coltura che maggiormente si confà a al terreno.

Agricoltura 4.0 significa anche tutela del territorio, dovuto per esempio all’utilizzo di tecnologie capaci di poter calcolare in maniera precisa qual è il fabbisogno idrico di una determinata coltura così da evitare gli sprechi (e pensate quanto questa tecnologia sia utile le regioni come la Sicilia in cui ogni estate si registra siccità ed emergenza idrica).

I prodotti agricoli italiani, così come tutti i prodotti del comparto agroalimentare, affrontano quotidianamente nello scenario globale l’annoso problema dell’italian sounding, che sempre più viene utilizzato in maniera impropria e fraudolenta per caratterizzare come un prodotto Made in Italy ciò che italiano non è (si pensi al parmesan invece del parmigiano reggiano). La tecnologia ci viene incontro anche in questo, con il sistema di Blockchain, che garantisce il consumatore finale certificando ogni singolo passaggio, dal campo al confezionamento garantendo ciò che arriva sulla propria tavola.

Tutte queste innovazioni non fanno altro che ridurre notevolmente il margine di errore, e consentono la realizzazione di una filiera sempre più corta capace di produrre alimenti di assoluta qualità, garantendo altresì una migliore sostenibilità ambientale.

Per poter attuare definitivamente questo cambio di prospettiva sarà fondamentale il ricambio generazionale (e i primi dati sono incoraggianti), con nuove leve capaci di affrontare le sfide che costantemente si pongono. Una misura interessante volta a sostenere il ricambio generazionale è il “primo insediamento” di ISMEA che fornisce contributi ai giovani under 40 che vogliano creare, strutturare e sviluppare nuove aziende agricole secondo i dettami dell’Agricoltura 4.0.

A suffragare tale esigenza, già esistono dei success cases di tre aziende del sud Italia vincitrici nel 2018 allo SMAU come migliori innovazioni.

Due delle tre aziende vincitrici sono campane (Berolà Distilleria Agricola e Azienda agricola vivaistica Pozzuto) e una è siciliana (Maruzza Cupane).

Azienda agricola vivaistica Pozzuto della provincia di Benevento si è specializzata in alberi micorizzati per la produzione di tartufi: su dieci ettari complessivi coltivati a tartufaie, grazie alle quali in un moderno laboratorio sterile seleziona le varietà di miceti eduli. Ed una serra completamente automatizzata, dotata di sensori, da dove escono gli alberi pronti per dare vita a nuove tartufaie “particolarmente indicate per la ricomposizione di versanti percorsi dal fuoco, ma anche per la riconversione di seminativi“;

Berolà Distilleria Agricola di Portico di Caserta, nata come spin-off universitario della Federico II di Napoli, ha coltivato tre ettari di frutteto con antiche varietà, come la “mela limoncella”, acquisite anche presso aziende amiche ed una distilleria, e hanno creato un prodotto che coniuga la scarsità della materia prima all’unicità nell’esperienza offerta. Tale prodotto punta ovviamente ad una clientela premium come i ristoranti stellati.

Infine, c’è Maruzza Cupane, della provincia di Messina, che mediante attua la coltivazione di 4 ettari di terreni sciolti ad avocado e mango 100% biologici. Tale coltura produce ulteriori vantaggi grazie alle innovative tecniche di drenaggio che consentono una migliore resa di altri 6 ettari di agrumeto. In tal caso i prodotti vengono venduti anche grazie a nuove tecniche di e-commerce.

Tutto ciò è dunque possibile laddove il mondo imprenditoriale agricolo incontra la ricerca, e sviluppa idee volte innanzitutto alla cura della madre terra, la quale ricompensa sempre chi la tratta bene con prodotti di qualità ineguagliabile. Le istituzioni devono intervenire in maniera sempre più decisa in difesa delle eccellenze italiane, senza arrovellarsi in inutili campanilismi che rendono solo un servizio ai competitor internazionali (si veda la contesa circa la registrazione del marchio “mozzarella” tra la puglia e la campania). Altro ruolo che devono ricoprire le istituzioni è quello di una sempre maggiore formazione delle nuove leve imprenditoriali, che dovranno avere i mezzi per affrontare tutte le sfide che si porranno. Gli operatori che lavorano nel mondo agricolo e nell’agroalimentare hanno bisogno di risposte e di soluzioni da parte della classe politica per questo settore. Pochi punti basterebbero per rilanciare questo settore e crearne un volano di crescita economica: censendo tutti i terreni incolti; sburocratizzando il settore depositando agli uffici comunale preposti la sola dichiarazione di inizio attività e l’ubicazione del terreno agricolo; no tax per 10 anni e detrazioni per l’acquisto di utensili necessari alla attività; detrazioni fiscali e una totale abolizione dell’Iva e di altre imposte; rilanciando la montagna e programmando piani di forestazione urbana e la creazione di orti cittadini e di piani agricoli cittadini.  Il settore primario è oggi più che mai essenziale per lo sviluppo tecnologico, nella innovazione della Nazione e per il Made in Italy nel Mondo.

*Umberto Amato, collaboratore Charta minuta

Regolarizzare seicentomila abusivi? È completamente inutile

Pensare di risolvere il problema dei lavoratori stagionali in agricoltura regolarizzando gli abusivi dimostra, ancora una volta, come in Italia si cerchi sempre di risolvere i problemi in superficie, senza andare alla radice, affrontando la vera ragione che ha creato il problema.
Intanto per regolarizzare ed impiegare queste persone sarebbe necessario un periodo di tempo di almeno sei mesi, il che vorrebbe dire trovarsi alla fine della stagione della raccolta delle uve, ossia quando la manodopera non serve più.
Il problema non verrebbe risolto e l’Italia avrebbe 600 mila lavoratori abusivi trasformati magicamente in regolari, passando sopra ad ogni etica morale del rispetto delle regole.
Proviamo ad affrontare la questione da un’altra prospettiva. Per esempio: sarebbe possibile – e in che modo – ridurre di almeno il 70% la richiesta di manodopera nel settore agricolo?
Sì, è possibile. La soluzione è a portata di mano e in questo modo avremmo risolto la maggior parte delle problematiche legate al mondo rurale.
È necessario sostenere e permettere alle aziende del settore delle macchine agricole di investire in innovazione, creando alcuni centri per lo sviluppo e l’omologazione delle macchine in Italia.
Noi – come imprenditori di macchine agricole esportate in tutto il mondo – abbiamo cercato di attivarci tramite l‘ENAMA, quale ente preposto ,che dovrebbe essere proprio l’ente che sviluppa queste attivita, ma per diversi motivi non si e ottenuto nulla.perche?
Perchè fondamentalmente nessuno capisce l’importanza e quindi non si fa nulla.
Dopodiché è stato tutto un passarsi di richieste, senza arrivare alla conclusione: il ministero dell’Agricoltura ci ha detto che non è di sua competenza, quello dell’Industria corre dietro alle grandi aziende che poi pagano le tasse in Olanda ,la nostra associazione FEDERUNACOMA che avrebbe dovuto avere un grande interesse forse non ha dedicato le energie necessarie,e quelli come noi – imprenditori solidi, competitivi e capaci,- che hanno una visione più ampia del futuro e del mercato, non possono fare altro che effettuare le loro ricerche ed i loro collaudi nei centri statali di altri Paesi: Germania, Francia, Danimarca e Spagna, con tutte le difficoltà ed i costi che ne derivano, senza contare che in questo modo non facciamo altro che regalare ai nostri concorrenti esteri le nostre preziose informazioni.
Ma io mi chiedo: ma come mai l’Italia non sostiene le sue aziende?
Uno dei pochi enti con il quale collaboravamo e tutt’ora collaboriamo è IMA MOTER il quale però è stato conglobato nel CNR con direzione a Napoli. Evviva l’Italia e le sue soluzioni pratiche.
Noi abbiamo la forza e le tecnologie adeguate per ammodernare e ristrutturare il parco delle attrezzature agricole grazie al quale è possibile, nel giro di poco tempo, ridurre il numero di addetti. Basta vedere ciò che è successo nella raccolta dei pomodori con le macchine o quello che potrebbe succedere con altri prodotti agricoli.
Senza dimenticare che ormai il futuro passa attraverso metodologie Green: ci sono macchine che, se sviluppate nei vigneti, potrebbero ridurre l’utilizzo dei diserbanti del 90% .
La mia ditta – la COSMO di Busca, in Piemonte – con i suoi mezzi ha introdotto un nuovo spandiconcime da frutteto, utilizzabile anche per la cultura arborea, che permette il risparmio dal 40% al 70% della quantità di concime che viene sparso per ettaro, limitando la fuoriuscita in prossimità della pianta, grazie ad un dispositivo elettronico.
Il risultato è una massiccia riduzione dei costi e anche di inquinamento delle falde nei terreni.
Chi ci ha aiutato a fare tutto ciò? Nessuno.
Quali costi abbiamo dedotto? Nessuno.
Come ben sapete se noi hai santi in paradiso oppure santi nelle università non sei considerato. E quelli che sono considerati, a parte spendere i soldi di tutti noi, cosa fanno? Nulla. 
Come possiamo fare ripartire l’Italia senza continuare a buttare via denaro pubblico? Forse questo è il primo step.
Se qualcuno è interessato mi faccia sapere. Io ci sono.

Sostenere Agricoltura e Pesca, made in Italy

Agricoltura e pesca sono settori primari della nostra economia e fattori fondamentali del made in Italy, della filiera alimentare come di quella turistica. Servono sostegni reali, non solo meccanismi infernali di indebitamento che stritolano le imprese e potrebbero anche spianare la strada ad ulteriori acquisizioni predatorie come quelle realizzate negli ultimi anni. Tutti gli attori del confronto, imprenditori e amministratori, di sono trovati d’accordo nel lanciare l’allarme, a fronte dei gravi ritardi del governo nella predisposizione delle misure atte a fronteggiare l’emergenza del coronavirus e nel chiedere una reazione di “sano patriottismo italiano”, nella definisiine di Ettore Prandini, presidente del Coldiretti ed uno dei protagonisti del web meeting di promosso dal sen. Adolfo Urso, responsabile imoresa e attività profittive di Fratelli d’Italia, che ha mesdo a confronti gli attori della produzione del Veneto con i rappresentanti nazionali delle associazioni di impresa, parlamentari, assessori e consiglieri regionali di Fratelli d’Italia. Si trattava del terzo appuntamento dopo quelli svolti con il sistema industriale e con la filiera del comparto turistico: tutti con grande partecipazione degli attori della produzione veneta e con significativo riscontro di stampa.
Con Prandini si sono trovati d’accordo anche le altre principali associazioni di categoria, rappresentate da Giordano Emo Capodilista, vicepresidente di ConfAgricoltura e Luigi Giannini, presidente di Federpesca, che ha evidenziato la centralità del settore pesca anche nel Veneto e reclamato che sia posto davvero al centro della attenzione pubblica, oltre alle tante sigle locali, una volta tanto unite nel reclamare la attenzione del governo e del Parlamento.
Le relazioni introduttive sono state svolte da Adolfo Urso e da Luca De Carlo, responsabile nazionale agricoltura di Fratelli d’Italia e coordinatore regionale del Veneto. Con loro sono anche intervenuti Elena Donazzan, assessore regionale del Veneto, Cristina Carretta, capogruppo Commissione agricoltura della Camera, Bertolomeo Amidei, vice responsabile nazionale del settore di FdI.
Nel meeting è apparso evidente che la sanatoria proposta dal governo non è affatto una soluzione, anzi crea un forte danno di immagine al made in Italy perché vuole far credere che gli agricoltori italiani agiscono in modo illegale. Sicuramente piu efficace la norma, sollecitata proprio da Fratelli d’Italia, di utilizzare i percettori di reddito di cittadinanza nei lavori stagionali e di realizzare “corridoi verdi” come quelli che hanno già predisposto altri Paesi UE con Ucraina e Romania da cui proviene il lavoro stagionale specializzato.
Tanti gli interventi in questo campo: Daniele Salvagno, presidente Coldiretti Veneto, Gianluca Bisol, imprenditore vitivinicolo, Antonio Salvan, presidente Mais Cultori di Cona e già presidente consorzio di bonifica di Venezia, Bianca Gricoli, Chiara Bortolaso, Andrea Biasotto, Gabriele Zampieri, segr regionale Unsic, mentre Diulio Paolino, imprenditore di macchine agrivole ha sollecitato maggiori investimenti in innovazione e ricerca, e Manfredi Minatelli ha offerto la piattaforma di Alibaba per trovare altri spazi di mercato. Tutti d’accordo nel reclamare il credito di imposta e la sospensione del pagamento dei tributi come misure di emergenza necessarie oltre a sollecitare che siano davvero utilizzate le risorse comunitarie ordinarie, spesso in ritardo di anni.
Nel settore pesca, significative le denunce di Marco Spinadin, responsabile Fedagripesca. Agea ed Ismea possono e devono fare di più, clamorosa l’assenza proprio in questo momenti del direttore generale della pesca al Ministero!
Oltre cento gli operatori che sono rimasti in collegamento durante le oltre due ore di web meeting, realizzato come gli altri, con la collaborazione della Fondazione Farefuturo e con la regia di uno staff di eccezione che ha visto in campo Marco Bracaglia, giovane imprenditore, con Tommado Tommasi ed Enoch Soranzo di Padova, Matteo Gelmetti e l’assessore Daniele Polato di Verona, Raffaele Speranzon di Padova.