La scuola non è un parcheggio

La scuola non è un parcheggio sociale. Ciò nonostante si paventa la riapertura in orari tali da garantire alle madri lavoratrici di avere un luogo dove poter “parcheggiare” i figli.
Dalle 8.00 alle 14.00 o nel caso del tempo prolungato fino alle 16.30 o magari sino alle 19 per i progetti extracurriculari di danza, teatro, pallavolo.
La verità nota a tutti e che con gli spazi a disposizione della scuola pubblica non ci sono le condizioni di sicurezza per un rientro in sicurezza.
E certo non basta lasciarsi andare a rassicuranti proclami privi di fondamento.
L’ideale sarebbe garantire un rientro in totale sicurezza, investendo i denari pubblici in beni permanenti: in beni immobili, per essere più chiari nel mattone.
Per garantire la sicurezza c’è bisogno di spazi dove poter agevolmente collocare gli alunni ed i loro banchi, senza dimenticare la questione dei servizi igienici che andrebbero anche essi moltiplicati per evitare sovraffolamenti.
Qualcuno è mai stato nel bagno di una scuola? Ha idea della situazione attuale? Sa che, già in condizioni normali, i bagni di cui dispongono le scuole sono inferiori al fabbisogno degli alunni?. Sa dei disagi che vivono i ragazzi disabili?
E cosa dire delle classi nelle quali si è addossati gli uni altri?.
La memoria storica, con le soluzioni adottate da Roosvelt nel periodo della grande crisi, avrebbe dovuto supportare le scelte di un Governo palesemente inadeguato.
Investire in opere pubbliche, ecco cosa occorreva fare.
Con tutta una serie di risvolti, oltre che la tutela della salute e la sicurezza.
Ricorrere ad investimenti avrebbe significato rimettere in moto l’economia per esempio, ma anche assicurare dei beni che sarebbero rimasti al servizio della scuola.
Insomma una occasione propizia andata sprecata quando invece poteva essere l’occasione per ripensare ad una riforma epocale della scuola che puntasse alla qualità dell’insegnamento/apprendimento che certo non può passare attraverso le classi pollaio alle quali siamo abituati.
Un ministro con un poco di sale in zucca e contezza dello stato in cui versa la scuola italiana avrebbe potuto cogliere la palla al balzo e, lasciando da parte le soluzioni tampone, proporre una riforma strutturale della scuola col numero standard di massimo 15 alunni per classe.
Una soluzione coraggiosa che, a fronte di un massiccio investimento in termini di assunzioni e di opere pubbliche, restituirebbe alla scuola il suo ruolo centrale di ascensore sociale ed agenzia educativa.
Questa soluzione fin troppo ovvia sfugge al MIUR e all’Onorevole Ministro Azzolina, presa da mille conferenze stampe nelle quali parla di massicci investimenti in digital devices.
In realtà siamo di fronte al famigerato “tanto rumore per nulla”.
Certo i digital devices sono stati acquistati dalle scuole e distribuiti alle famiglie che ne hanno fatto richiesta, ma ci si è domandati chi, nel 2020, non avesse un tablet o un computer? Certamente le famiglie meno abbienti, dove le difficoltà economiche si aggiungono a condizioni di arretratezza culturale e sociale. Ed allora siamo al gatto che si morde la coda.
Che senso ha dare questi dispositivi e pensare che in questo modo la scuola possa continuare a svolgere il suo ruolo di agenzia educativa?
Il digital device, distribuito in comodato d’uso gratuito dalle scuole, non è una bacchetta magica. Non azzera i disagi economici, sociali e culturali.
E’ solo ed esclusivamente una soluzione tampone che ha consentito di continuare a mantenere un ideale legame umano tra studenti e docenti in un momento di assoluta emergenza.
I docenti, quelli ovviamente più scrupolosi, a dispetto di chi scioccamente pensa che si siano goduti tre mesi di ferie anticipate, hanno lavorato tanto e altrettanto si sono industriati per non lasciare indietro nessuno, specialmente gli ultimi. Non inganniamoci però: miracoli non se ne possono fare ed uno schermo, anche quello di ultima generazione, non può sostituire quella indicibile ed indescrivibile alchimia che si crea nella quotidianità del rapporto umano e professionale vissuto in classe.
Una cosa è certa dare i digital devices agli studenti in condizione di disagio non è differente dal dare una canna da pesca a chi non ha braccia e mani per usarla.
Mi domando…..quando il nostro ministro, oggettivamente il peggiore degli ultimi anni, va in conferenza stampa a dichiarare che la DAD (didattica a distanza) è stata un successo anche grazie ai milioni di euro investiti dal MIUR per l’acquisto di dispositivi digitali, ci fa o ci è? Mi domando….il ministro ha mai partecipato ad una video lezione che, anche se svolta sulla migliore delle piattaforme acquistate dalla scuola, si svolge in modo a dir poco rocambolesco tra le mille difficoltà di connessione con audio e video intermittente?
Molto meglio insomma sarebbe stato fare altri tipi di investimento.
Ed avremmo avuto anche il tempo, a partire dal mese di giugno, a circa due mesi dalla tanto paventata ripresa delle attività didattiche, di poter dire in quante e quali strutture si sarebbe tornati a fare scuola.
Nulla di tutto questo, purtroppo, con la confusione che regna sovrana. Con linee guida che dicono tutto e non dicono nulla, generiche e caotiche al tempo stesso, che hanno finito per scontentare tutti: dirigenti, docenti e sindacati.
Pensate ai timori, fondati, dei presidi, che diverranno i veri protagonisti dei prossimi mesi.