Liste d’attesa, tra numeri e realtà

Il tema delle liste di attesa è centrale nel dibattito sulla sanità italiana. Partiamo da cosa abbiamo a disposizione. La Legge di Bilancio 2024 ha introdotto l’aumento delle tariffe orarie per medici e infermieri per le prestazioni aggiuntive. Il Rifinanziamento dei piani operativi, consentendo alle Regioni di utilizzare fino allo 0,4% del finanziamento nazionale per il fabbisogno sanitario standard. Incremento del tetto di spesa per acquisti di prestazioni sanitarie da privati accreditati, con un aumento progressivo fino al 4% a partire dal 2026, mantenendo l’equilibrio economico e finanziario del Ssr.

Abbiamo poi il supporto del Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA) che mira a migliorare l’efficienza e l’appropriatezza nella sanità, coinvolgendo tutti gli attori del percorso di salute. Per monitorare le azioni del piano, è stato istituito l’Osservatorio Nazionale sulle Liste di Attesa, che supporta le Regioni nell’attuazione delle disposizioni, analizza criticità e fornisce indicazioni per garantire uniformità nell’assistenza e rispondere ai bisogni dei cittadini. Durante la pandemia, c’è stata una significativa diminuzione delle visite di controllo, come riportato dall’Agenas.

Tra il 2019 e il 2022, sono passate da 54,14 a 45,57 ogni 100 abitanti. Tuttavia, la quota di prestazioni di controllo erogate dal SSN rimane alta, con il 54,3% delle visite specialistiche effettuate nel 2022. È cruciale notare nonostante gli sforzi per gestire le liste di attesa, in molti casi sembra che queste non esistano affatto. Quanto tempo effettivamente intercorre tra la prescrizione medica e l’erogazione del servizio? Sebbene vi siano codici di priorità per fissare tempi massimi di attesa, mancano dati affidabili sull’effettivo rispetto di tali tempi e un controllo efficace per intervenire dove necessario. Le Regioni prendono in considerazione il numero di giorni che trascorrono dalla chiamata del paziente al call center (Cup) per prenotare alla data dell’appuntamento.

Se però rispondono che in quel momento non c’è posto e invitano a ritelefonare dopo una settimana o due, la data che farà fede è quella della seconda chiamata, nella quale l’operatore fisserà effettivamente l’appuntamento. Della prima richiesta non resta traccia, anche se in realtà l’attesa è iniziata da allora. Ecco come i tempi di prenotazione risultano più brevi. Quanto passa da quando il cittadino ha in mano la ricetta del medico a quando telefona al Cup per prendere l’appuntamento. Dati Agenas dicono che solo il 18% la fa il giorno stesso o il giorno dopo, se deve fare l’esame in 72 ore; il 41% se deve farlo in 10 giorni; il 51% se deve farlo entro 60. Prima bisogna avere un esame o una visita, più tardi si chiama.

È ragionevole pensare che la telefonata al Cup la si faccio subito, ma solo al 18% viene dato l’appuntamento, e infatti ne rimane traccia. A tutti gli altri viene detto di richiamare perché non c’è posto. Se ne deduce che di quell’82% una parte non farà la visita nei tempi previsti, e un’altra parte si rivolgerà alla Sanità a pagamento. Altro problema è che i dati comunicati dalle Regioni si riferiscono solo alle telefonate fatte al call center che, nella realtà, spesso intercetta solo una parte delle richieste (non quelle, per esempio, fatte agli sportelli). In questo scenario, i cittadini restano in attesa, spesso senza soluzioni immediate, se non il attraverso il pagamento di prestazioni private, ed anche in quel caso spesso tocca aspettare.

La medicina territoriale pensare a una rifondazione

Il vero “vulnus” della Sanità pubblica è rappresentato dalla gestione della Medicina Territoriale; concausa, tra l’altro, dell’anomala voce “Spesa” del Bilancio regionale.

E’ giunto, quindi, il momento di procedere concretamente alla riorganizzazione, o meglio alla rifondazione della medicina territoriale.

Tema su cui tutti i Servizi Sanitari Regionali si sono cimentati da anni per il potenziamento dell’Assistenza territoriale, le cosiddette cure primarie, individuando e sperimentando modelli organizzativi e strumenti di intervento finalizzati sia a rendere, il Territorio, nuovo hub delle cure erogate, sia all’elezione del proprio domicilio come principale luogo di cura.

I diversi modelli organizzativi sperimentati hanno individuato nella integrazione multi professionale e interdisciplinare, nella valorizzazione delle professioni sanitarie e nell’utilizzo dell’ICT (Information Communication Technology), gli strumenti potenti per l’analisi dei contesti e per i successivi interventi di medicina di iniziativa e di prossimità.

La medicina territoriale si costituisce di numerose e complementari figure professionali quali il Medico di Medicina Generale, il Pediatra di Libera Scelta, lo Specialista Ambulatoriale, il medico di Continuità Assistenziale,  il personale sanitario, i dipendenti delle strutture pubbliche, le strutture ambulatoriali sanitarie private accreditate e private pure.

A queste aggiungerei anche le farmacie che, come “istintiva” risposta alla pandemia COVID, hanno visto un’accelerazione dei processi innovativi di supporto ai cittadini consentendo, di fatto, una medicina di prossimità vicina al paziente, posto adesso al centro e non “in mezzo” ad un groviglio di procedure burocratiche spesso ridondanti.

Non si può affidare al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) la riorganizzazione “patient-tailored” dell’assistenza territoriale puntando l’attenzione alle strutture edilizie e alla tecnologia, senza renderle anche “Conditio sine qua non” per la realizzazione di un’efficiente medicina territoriale.

La sola ristrutturazione fisica sul territorio, con luoghi di riferimento all’interno dei quali gli utenti potranno rivolgersi per una presa in carico “integrata”, difficilmente potrà svilupparsi senza che si definiscano bene ruoli e funzioni, relazioni e competenze finanziarie dei professionisti coinvolti.

Ma tale auspicato sviluppo organizzativo non potrà non tener conto delle differenti realtà territoriali nelle loro peculiarità oro-geografiche che richiedono una distribuzione della Medicina Generale (MMG) e della Pediatria di Libera Scelta (PLS) più vicina all’assistito e maggiormente rispondente ai suoi bisogni di salute, alla gestione delle multi cronicità, all’aumento delle fragilità, alla pianificazione e programmazione dell’assistenza domiciliare.

Il nuovo contesto epidemiologico esige che i MMG debbano operare in aggregazioni professionali avendo a disposizione sedi comuni di lavoro e garantire ai cittadini l’effettiva continuità delle cure, l’efficacia degli interventi e la facile individuazione di luoghi ove rivolgersi a un medico e ottenere le risposte ai bisogni 7g/7 e h24.

Ogni medico deve essere affiancato da un collaboratore appositamente formato: l’assistente di studio, per ascoltare e accogliere i cittadini nei percorsi socio-assistenziali.

I Medici di Famiglia devono garantire una sorta di LEAMG (livelli essenziali di assistenza della medicina generale) che definiscono un’offerta uniforme di prestazioni su tutto il territorio:

  • Vaccinazioni (contro influenza, SARS-CoV2, pneumococco, Herpes Zoster, tetano, papilloma virus)
  • Diagnostica ambulatoriale di I livello (esecuzione di tamponi, analisi di laboratorio per la diagnosi delle principali patologie croniche: creatinina , Hb glicata, indici di flogosi, emocromo…)
  • Diagnostica strumentale di I livello (spirometria, ecg, esami ecografici) anche tramite telemedicina
  • Presa in carico del paziente cronico, rivalutando PDTA (percorsi diagnostico terapeutici assistenziali) con i centri ospedalieri
  • Assistenza primaria per tutti gli assistiti dei medici associati
  • Collegamento in rete, mediante cooperazione applicativa tra i software gestionali dei MMG e PLS oltre ai sistemi informativi del Servizio Sanitario Regionale e Nazionale e il Fascicolo Sanitario Elettronico
  • Partecipazione alle campagne di screening: consegna delle provette per il sangue occulto fecale, esecuzione test rapido per HCV, invito ad eseguire mammografia, pap test, altro…

I Medici di Famiglia devono continuare a garantire l’organizzazione del loro lavoro proprio della Medicina on demand e della Medicina di Prossimità, adottando al contempo un atteggiamento proattivo della medicina di iniziativa, richiamando periodicamente a visita i propri assistiti, per la prevenzione e per la gestione delle patologie croniche al fine di prevenire la comparsa e ritardarne l’evoluzione.

Motivo per cui la medicina territoriale, relativamente al progetto delle case di Comunità, non può tradursi in una mera rotazione dei MMG e PLS in un rapporto “funzionale”, come citato dal DM 77/22, ove mancherebbe il rapporto fiduciario medico-paziente, value chain strategico per intercettare la domanda di salute anche inespressa, cui seguirebbe una richiesta appropriata di prestazione socio-sanitaria.

Questo è il valore cui non si può e non si deve chiedere ai MMG e PLS di cedere definendo, invece, una figura cardine nella presa in carico assistenziale.

Il MMG/PLS, come già ricordato, ha necessità di essere alleggerito del suo carico burocratico per entrare, maggiormente e sistematicamente, nei domicili degli assistiti e avere contezza dei bisogni sociali e sanitari.

La Sanità Pubblica deve colmare aspetti critici emersi con prorompenza durante l’epidemia COVID quali:

  • Disomogeneità territoriali nell’erogazione dei servizi
  • Insufficiente integrazione tra strutture ad intensità di cure differenti
  • Collegamenti con i servizi sociali
  • Lunghi tempi di attesa per l’erogazione di prestazioni.

Ma concretamente, come riorganizzare la medicina di base?

Non è pensabile, oltre alla rotazione nelle CdC, anche obbligare il trasferimento dei MMG/PLS in edifici preposti, poiché il numero di assistiti definisce anche il loro compenso.

Eventualmente, occorrerebbe offrir loro la possibilità di trasferirsi in strutture dedicate, situate comunque non lontano dal proprio Studio, che abbiano i requisiti tecnici dell’edilizia sanitaria, con molteplici punti di accesso e la compresenza di specialisti, diagnostica strumentale e di laboratorio, farmacia, sportello sociale.

Offrire contemporaneamente ai MMG/PLS il sostegno finanziario per la locazione/acquisto dell’immobile adibito a studio medico, defiscalizzazione, al fine di conferirgli una connotazione tecnica e abbandonare quella “dimensione accogliente ma domestica” con spazi angusti e ormai inadeguati.

Nella Regione Lazio quando a un medico viene conferito il convenzionamento, il MMG/PLS riceve un sopralluogo da parte del Dipartimento di Prevenzione per ricevere l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitaria (L.R. n.4/2003), ma la maggior parte degli studi medici è allocata al piano terra dei condomini residenziali, con stanze anguste che non consentono di ospitare anche gli strumenti necessari quali elettrocardiografo, ecografo, spirometro, bagno all’interno della sala medico, spazi dedicati per effettuare tamponi, prelievi…

Inoltre, l’allocazione all’interno dei condomini ha sollevato più volte lamentele per continuo afflusso di pazienti, legate al rischio infettivo, osteggiando spesso l’effettuazione di test di laboratorio, lo stoccaggio di materiale utilizzato…

Di certo è che i MMG devono poter operare in aggregazioni professionali con il supporto di una rete informatica e avendo a disposizione sedi comuni (immobili di proprietà ASL, ENPAM, Fondazioni, Banche, Municipio) nell’ottica di perseguire la reale continuità delle cure, l’efficacia degli interventi e la visibilità dei luoghi dove i medici operano garantendo accoglienza, ascolto attivo, guida sui percorsi assistenziali, semplificazione burocratica e interpretazione della domanda socio sanitaria.

Ogni medico di medicina generale deve essere affiancato da un collaboratore formato ad hoc: l’Assistente di studio di medicina generale.

Ai MMG deve essere affidata l’esecuzione di esami diagnostici, anche quelli correlati con la prevenzione, controllo ed evoluzione delle patologie croniche, evitando lunghi tempi di attesa per le prestazioni dedicate a un’indagine di secondo livello.

Il MMG si erge, quindi, a motore di integrazione di risposte ai bisogni sia sanitari che sociali, garante di appropriatezza e qualità nell’assistenza.

I medici organizzati in aggregazioni funzionali territoriali (AFT):

  • Erogano al cittadino singolo la prossimità di cure (capillarità degli studi medici)
  • Rispondono alle necessità sollevate dagli assistiti (medicina on demand)
  • Rafforzano il rapporto di fiducia medico-paziente

Adottare un modello organizzativo in team ha la finalità di garantire ai pazienti un’assistenza continua, coordinata e integrata sia delle cure che dei professionisti.

Si forniranno, in tal modo, risposte più efficaci e ad hoc in un globale “approccio di primo livello” di presa in carico, con prestazioni caratterizzate da basso costo, facile esecuzione, semplice riproducibilità e non invasività.

Il modello così rappresentato, oltre ad essere un supporto di valore per il cittadino, rafforza il Servizio Sanitario Pubblico affidando al MMG, davvero, il ruolo di garante della Salute.

Un ruolo importante deve essere svolto anche dalla rete di Farmacie, luogo di approvvigionamento e riferimento degli assistiti.

La riorganizzazione della medicina generale deve trovare adeguato e costante finanziamento anche da un risparmio della Spesa conseguente a una più efficiente gestione dell’asse Ospedale-Territorio e dei percorsi di cronicità.

Un gran recupero di risorse deriverebbero, infatti, dall’appropriatezza e immediatezza delle cure (evitando di generare quei costi tangibili, richiesti nell’erogazione di prestazioni in un elevato setting assistenziale, dovuto al posticipo delle cure, e quei costi intangibili derivati dal peggioramento della qualità di vita del paziente e dei familiari, dalla riduzione dell’aspettativa di vita, dall’utilizzo inappropriato delle cure erogate in setting assistenziale ad alto costo).

Non concordo sulla validità dell’ipotizzato passaggio al contratto di dipendenza dei MMG e PLS, poiché la maggiore autonomia clinica, la maggiore responsabilità nelle scelte, la forte spinta all’innovazione, l’inclinazione naturale del libero professionista ritengo rappresentino la “conditio sine qua non“ per una Sanità più efficiente, dinamica e flessibile.

Forse andrebbe compiuta una riflessione riguardo a un eventuale riconoscimento della malattia, gravidanza, così come del periodo di ferie (disponibilità di medici sostituti).

Il PNRR prevede investimenti finalizzati a sostenere le reti di prossimità, le strutture, la telemedicina, ma l’istituzione di case di comunità rischia di essere l’ennesimo “brand” apposto ancora su quegli edifici, che sono stati sede di IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza, istituita con la legge Crispi del 1890), prima della riforma sanitaria del 1978 e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, poi sedi di ambulatori USL (unità sanitaria locale), poi ambulatori ASL (azienda sanitaria locale con la legge n. 502/92), successivamente case della Salute con la legge Balduzzi del 2014, per finire con il cartello di Case della Comunità, sempre sullo stesso immobile con unico punto di accesso.

La Sanità si contraddistingue per essere settore ad alta intensità di lavoro ed elevata qualificazione professionale.

Il personale sanitario, nelle molteplici e complementari funzioni e ruoli, è il fattore produttivo su cui puntare, valorizzandone le potenzialità; esso rappresenta il presupposto per un miglioramento degli esiti di salute e del benessere della popolazione.

Il MMG deve esserne il coordinatore.

Se la condizione socio sanitaria dell’assistito necessita di assistenza continua al proprio domicilio da parte di un caregiver/familiare o di un badante, questi devono ricevere la formazione specifica ed essere inserito nel team multi professionale come contributo di valore, in modo da consentire cure “patient-tailored”.

Occorre un ingente investimento nelle infrastrutture informatiche per supportare i sistemi informativi per l’accesso e la consultazione dei dati clinici.

Il nuovo modello organizzativo della rete assistenziale territoriale dovrà essere considerata anche per la valutazione dei professionisti coinvolti in base agli esiti di salute raggiunti, attraverso un set di indicatori.

Ma la nuova organizzazione deve comportare conseguenze anche sulla strutturazione del compenso dei MMG/PLS, legata agli obiettivi raggiunti, in una valutazione complessiva dell’utilizzo delle risorse (finanziarie, tecnologiche, farmaci, presidi, PDTA, ricoveri evitati, qualità di vita).

Le tecnologie che prevedono l’accesso ai dati clinici su piattaforme interconnesse, devono essere condivise da tutti gli operatori delle diverse categorie (MMG, PLS, Medici di Continuità Assistenziale (MCA), Medici di Emergenza Territoriale, assistenti sociali), disciplinandone con normative semplici l’uso, e da tutti gli erogatori di prestazioni pubblici e privati accreditati (RSA, Case di cura, Hospice).

Per questi ultimi, lo Stato/Regione deve prevedere forme di sostegno agli investimenti necessari, oltre alla formazione periodica del personale nell’ambito assistenziale, organizzativo e tecnologico.

La presa in carico dell’assistito e la sua gestione socio-sanitaria, con il supporto delle piattaforme condivise, consentirà la tracciabilità del percorso e delle prestazioni erogate ma dovrà comportare anche l’abbattimento dei numerosi adempimenti burocratici oggi a carico dei MMG/PLS.

Così, da un lato sarà possibile rilevare l’attività svolta dai “medici di Territorio” da parte degli uffici amministrativi per computare le relative competenze finanziarie spettanti mentre dall’altro si permetterà agli stessi medici di poter dedicare più tempo ai loro pazienti.

Tutto ciò prevede l’abbandono degli attuali e molteplici software gestionali in uso nella Medicina Generale in modo da omologare ed effettuare gli aggiornamenti real time ad opera del Governo Regionale/Stato.

In riferimento al DM 77/2022 presenta, a mio sommesso parere, alcune criticità che cercherò di sintetizzare qui di seguito.

  • Non vi è alcuna indicazione vincolante per i Distretti ma si fa riferimento a una dimensione, solo consigliata, di circa 100.000 abitanti.
  • Non vi è alcuna indicazione relativamente alle Cure Primarie, per le CdC si parla di equipe multi professionali composte da MMG, PLS, Specialisti Ambulatoriali, MCA, infermieri di comunità ed altre figure.
  • Non vi sono specifiche su come i MMG debbano svolgere la loro attività sia nelle CdC che nelle equipe multi professionali.
  • E’ dubbia l’utilità delle presenze dei MMG nelle CdC se, questi, sono presenti presso il proprio studio.
  • Le CdC configurano così una medicina di attesa e non sembrano anticipare una medicina di iniziativa, in cui il Distretto si rappresenta come baricentro per il monitoraggio dei processi e la presa in carico, attraverso l’istituzione della COT (centrale operativa territoriale, 1/100.000 abitanti o comunque a valenza distrettuale).
  • L’Infermiere di Comunità indicato come il riferimento per l’assistenza infermieristica non compare nell’allegato 2.
  • La UCA (Unità di Continuità Assistenziale) composta da 1 medico e 1 infermiere ogni 100.000 abitanti, mobile, dovrebbe svolgere la funzione di gestione e supporto della presa in carico di condizioni clinico-assistenziali di particolare complessità ma il personale dedicato appare insufficiente.

Alla base di tutto, però, dovrebbe esserci il presupposto di un piano di assunzione di personale proporzionato ai fabbisogni di Salute territoriali.

Il personale sanitario (medici e infermieri), in termini assoluti è aumentato del 10%, ma l’aumento della popolazione over 65 e il personale che giunge in quiescenza, ha acuito la crisi già rilevata in precedenza.

Inoltre, numerosi fattori quali: le condizioni di lavoro stressanti, le retribuzioni non soddisfacenti, la finora bassa considerazione verso i professionisti della medicina territoriale da parte delle istituzioni, compresi i vertici aziendali, di certo non invogliano i giovani medici a scegliere la medicina territoriale, e questo è un punto su cui riflettere.

La digitalizzazione dei processi avrà un maggior impatto proprio sul territorio, contribuirà concretamente alla real world evidence, dando nuovo impulso al miglioramento della qualità delle cure e alla valutazione integrata delle stesse.

L’impiego delle piattaforme digitali, aperte e interoperabili consentirà la transizione di sistemi di valutazione da un sistema prestazionale (basato, appunto, sui volumi di prestazioni) a un sistema valoriale, che dia una valutazione complessiva della presa in carico e dei servizi coinvolti, in cui però la qualità del dato è fondamentale.

Occorrerà affrontare la problematica della privacy e della garanzia della sicurezza dei dati, definire le condizioni di fruibilità, eventuali schermature in dipendenza della necessità di visionare il dato, la fruibilità ad operatori autorizzati e per fini definiti e utili alle decisioni cliniche.

Il Medico di famiglia, in definitiva, è il fulcro e al contempo la connessione tra servizi dell’Ospedale e servizi del Territorio: tra ambito sociale e sanitario.