“Ustica, 40 anni dopo, la verità oltre il segreto“: il web meeting, promosso dalla Fondazione Farefuturo e dall’intergruppo parlamentare “la verità oltre il segreto“, ha indicato l’unica strada per consentire l’accertamento della verità sulla strage di Ustica del 1980. “Desecretare e divulgare tutti i documenti ancora sottoposti a segreto negli archivi di Camera e Senato e negli archivi delle agenzie di sicurezza”, ha affermato Adolfo Urso, vicepresidente del Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica. “il Copasir su mia proposta ha infatti deliberato alla unanimità di sollecitare la Presidenza del Consiglio a desecretare ogni atto riferito all’assassinio di Aldo Moro (1978) e alle stragi del 1980 e quindi Ustica e Bologna. Abbiamo letto i documenti conservati negli archivi dei Servizi e siamo giunti alla conclusione che devono essere consegnati alle Procure che indagano e resi accessibili a giornalisti, storici e a quanti lo richiedano per accertare la verità. Mi auguro che il premier Conte accolga questa richiesta e che lo stesso facciaNo i Presidenti di Canera e Senato In merito a quanto di loro competenza, perché lo dobbiamo alle vittime di quelle Stragi e a tutti gli italiani che hanno bisogno di conoscere cosa è realmente accaduto, per costruire finalmente una storia condivisa”.
Nel meeting sono emerse notizie di grande rilievo. Per questo vi invitiamo a vedere l’intero video riproposto nel link e pubblicato da Radio radicale.
Al meeting sono intervenuti, oltre Urso, anche Federico Mollicone, fondatore dell’integruppo parlamentare “la verità oltre il segreto”, Carlo Giovanardi, Gianni Marilotti, Maria Antonietta Calabrò, Valerio Cutonilli, Giuliana Cavazza, Francesco Farinelli, Franco Bonazzi.
L’economia del mare dimenticata dal governo
L’economia del mare rappresenta oltre il due per cento del PIL ma è la “grande dimenticata” del governo nel cosiddetto “decreto rilancio”. Tutti d’accordo nella denuncia i partecipanti al webmeeting organizzato dalla Fondazione Farefuturo in occasione della presentazione online del Rapporto sullo sviluppo della “Blue economy” nel Mediterraneo che riproduce gli atti del meeting organizzato dalla Fondazione a Bari in occasione della Fiera del Levante dello scorso anno, insieme con la Regione, Delloite legal e Polis Avvocati.
Al meeting che si è svolto sulla piattaforma zoom hanno partecipato i principali protagonisti della “blie economy” italiana che si sono ritrovati sulla necessità di istituire un Ministero del mare, come propone il disegno di legge presentato al Senato dal presidemte della Fondazione Adolfo Urso, responsabile del Dipartimento Impresa di Fratelli d’Italia, il quale ha introdotto i lavori denunciando proprio “la insipienza del governo in materia, pur essendo il settore di grande rilevanza del made in Italy ed uno dei più colpiti dalla crisi che ha paralizzato la navigazione e che in alcuni campi, come in quello crocieristico, si ripercuoterà per tanti mesi ancora”.
“Chiediamo di riprendere almeno le crociere in Italia”, ha sollecitato l’avv. Corazza, rappresentante di Costa Crociere. “Sollecitiamo maggiore attenziome dal governo”, ha ribadito Mario Mattioli, presidente della Federazione del Mare e presidente di Confitarma. Con lui anche Cesare D’Amico, ceo della grande famiglia armatoriale D’Amico, e Luca Sisto, direttore di Confitarma. Sulla stessa linea Alessandro Ferrari, direttore di Assiterminal e gli altri operatori marittimi intervenuti.
La esigenze della filiera della pesca sono state evidenziata da Lugi Giannini, presidente di federpesca, che ha reclamato un ruolo positivo e non solo punitivo della Unione Europea, così come Mario Basurto in rappresentante di Confimi Industria. Nicola Boscolo Pecchie ha evidenziaro la esigenze della formazione e Paolo Quercia la grande importanza del Mediterraneo nella politica italiana. Di grande rilevo anche l’intervento dell’ambasciatore Daniele Bosio, che ha inquadrato la questione della legislazione sulle acque e sulle risorse marittime, cosi come del presidente di Fincantieri, Gianpiero Massolo, che ha ricordato come la cantieristica sia un gioiello della industria italiana, che traina il made in Italy con i suoi otto cantieri nazionali.
L’assessore al Turismo della Liguria Berrino ha assicurato che la Regione intende dare subito supporto alla economia del mare che rappresenta un volano di sviluppo da far ripartire già in questa stagione.
Le conclusioni le ha tratte il governatore della Siclia Nello Musumeci che ha invitato la Fondazione a realizzare il prossimo meeting a Palermo per predisporre insieme agli attori della economia marittima, cosi importante per la Sicilia, un progetto per fare dell’Isola l’hub del Mediterraneo per la “blue economy” anche al fine di intercettare il traffico marittimo che pur passando dal Canale di Suez poi finisce per arricchire i grandi porti del Nord Europa.
Serve una strategia che solo un Ministero del mare può restituire all’Italia.
Così si ferma il settore auto
Sono qui a rappresentare la filiera dell’industria automobilistica partendo dalla casa auto fino all’ultimo dei componentisti che produce anche un “semplice” bullone.
Non nascondo che è forte la responsabilità che sento in questo momento, tuttavia, sono qui anche e soprattutto in veste di imprenditore in quanto come diceva il senatore opero nel settore dell’automotive con una mia azienda. Il settore ha un peso economico e sociale in Italia proporzionale a quello che riveste in Europa. Solo in Italia sono cinque mila e settecento aziende per cento miliardi di fatturato l’anno.
Cento miliardi di PIL viene prodotto da noi. Occupiamo duecentosessantamila addetti circa nella filiera, cosiddetta, accorciata cioè dal bullone all’automobile. Tuttavia se dall’automobile allunghiamo la filiera fino a chi fa manutenzione, ai rivenditori di ricambi arriviamo a un milione duecento mila addetti soltanto in Italia che, rappresentano, la cosiddetta filiera allungata Siamo storicamente il primo investitore in Ricerca e Sviluppo Italiano con un miliardo e settecento milioni complessivamente ed allo stesso tempo lo siamo in Europa. Come filiera siamo uno dei maggiori contribuenti in Italia con settantaquaranta miliardi di tasse pagate ogni anno ed, stesso tempo lo siamo in Europa con quattrocentotredici miliardi di tasse pari a circa un quinto del PIL italiano di tassazione che tutte le imprese europee versano.
Come dicevo prima siamo una filiera e come filiera operiamo in modo organico, collegati gli uni con gli altri a monte ed a valle delle case auto che sono il fulcro da cui parte ed intorno a cui ruota la filiera stessa, nella sua totalità come un grande ecosistema. Le case auto hanno circa il trenta per cento di valore aggiunto su quello che comprano che va a pagare la loro ricerca sviluppo ed il “montaggio” dei componenti acquistati. Sostanzialmente la gran parte di ciò che vedete in un’automobile non è prodotto internamente dalle case automobilistiche ma avviene realizzato dai componentisti che, fanno parte la filiera.
Le normative europee relative al settore automobilistico si muovono su tre direttrici: La prima è legata alle missioni delle fabbriche il così detto E.T.S. Emission Trading System, come filiera è un qualcosa che ci fa piacere che venga attuato a livello europeo e la gran parte delle fabbriche dove si producono auto e componentistica sono già e più che compliant con essa.
La seconda direttrice della normativa si occupa di sicurezza attiva e passiva degli autoveicoli la cosiddetta General Safety Regulation anche qui è un ottimo stimolo a spingerci ad alzare l’asticella dell’innovazione tecnologica al servizio della sicurezza attiva e passiva.
Così come sarebbe un ottimo stimolo alzare l’asticella dell’innovazione la normativa sull’inquinamento, se essa fosse stata ragionevole e tecnologicamente neutrale. Purtroppo la normativa europea sull’inquinamento sembra tener presente un solo parametro inquinante, il CO2 che, significa anidride carbonica che è un gas. Pertanto come tutti i Gas entra direttamente nell’atmosfera e poi da lì si propaga e produce effetti anche molto lontano dal luogo in cui è stato prodotto. Un secondo fattore inquinante, che hanno le auto e qualunque mezzo di trasporto sono le polveri sottili polveri sottili che, possono arrivare dal tubo di scarico così come dal consumo di copertoni o dei freni.
Polveri che seppur sottili sono pesanti e tendono a rimanere localizzate dove sono state prodotte.
L’impostazione della normativa è volta a favorire o meglio obbligare i produttori a commercializzare auto diesel, benzina, a gas, ad idrogeno a favore dell’auto elettrica e/o ibrida plug in, sostanzialmente non permettendo uno sviluppo delle tecnologie attuali in un’ottica di riduzione dell’inquinamento.
Questo approccio non solo danneggia profondamente l’impresa italiana automobilistica italiana dal produttore alla filiera ma danneggia tutta l’impresa automobilistica europea compresa quella tedesca quindi in questo caso l’Europa è andata anche contro la Germania.
Sentivo parlare prima di Europa che ha fatto gli interessi della Germania, purtroppo in questo caso è andato anche contro la Germania e contro tutte gli altri stati europei produttori di automobili e nei quali sia presente la filiera automobilistica, il tutto a favore dell’Asia ed in particolar modo della Cina dove tradizionalmente la produzione di componenti elettronici e delle batterie sono più sviluppati.
Tutto questo sta avvenendo nonostante l’industria Automotive abbia ridotto del trentacinque per cento le emissioni dei veicoli negli ultimi 15 anni, un dato che non ha eguali nel mondo industriale.Inoltre non si è tenuto conto della composizione del parco circolante europeo ed italiano perchò, quando parliamo di inquinamento bisogna tener presente che esso è generato maggiormente da veicoli con un’età superiore ai 5 anni che in Italia sono oltre l’80%.
I target che si vogliono raggiungere e le modalità con le quali si vogliono raggiungere oltre ad essere tecnologicamente vincolanti a favore dell’auto elettrica sono a dir poco irragionevoli nelle tempistiche, infatti un primo e profondo step di riduzione di CO2 è già al 2021. Il 2021 per quello che riguarda il mondo dell’Automotive di significa l’altro ieri, perché quello dovrebbe entrare in produzione nel 2021 è stato progettato almeno cinque/sei anni prima in un quadro normativo ben diverso.
Oggi non siamo tecnologicamente pronti, se non con l’auto elettrica, a passare ad un inquinamento della media ponderata della gamma venduta di 95gr CO2/Km. Questo cosa significa in concreto? Significa che oggi anche le auto ibride a combustione quindi quelle che non vengono ricaricate la sera a casa non sarebbero compliant alla normativa europea, lo sarebbero solo le auto elettriche o le auto ibride plug-in cioè, quelle che si ricaricano la sera a casa.
Tutto ciò potrebbe aver senso se l’energia elettrica fosse prodotta da fonti non inquinanti, invece la produzione energetica è il settore che contribuisce al 33% della produzione globale di CO2.
Quindi noi andremo ad alimentare il quindici per cento la fetta rossa che vedete nel grafico della slide rappresentato dal trasporto su gomma utilizzando necessariamente energia prodotta da chi già produce il 33% del CO2 mondiale, pertanto andando ad incrementare questo numero.
Inoltre con degli attuali standard per far fronte a una domanda crescente di energia elettrica per ricaricare le batterie, in molti paesi dovrebbero essere riaperte le centrali a carbone, altamente inquinanti.
Il che genererebbe il paradosso di alimentare un’auto non inquinante a livello di CO2 con l’energia prodotta in una centrale altamente inquinante.
Il tutto si traduce in un costo da medio dell’auto che andrebbe a trentacinque mila euro per un’utilitaria e per una berlina salirebbe oltre tra i settanta/novanta mila euro. La Smart per dare un’idea che di una macchina molto diffuso a Roma costa trenta mila euro nella versione elettrica. Soprattutto tutto ciò creerebbe un significativo problema infrastrutturale perchè noi oggi abbiamo ventuno mila pompe di benzina in Italia e solo cinquecento colonnine per la ricarica veloce delle auto elettriche e due mila colonnine per la ricarica lenta (otto/dieci ore).
Dovremmo arrivare al 2030 ad avere quattrocento mila colonnine per la ricarica lenta e veloce cioè venti volte quelle che sono le pompe di benzina di oggi.
Tutto questo solo in Italia significa nei prossimi tre anni creare novanta mila disoccupati. Non perché noi li vogliamo licenziare dalle nostre fabbriche ma, perché le case automobilistiche dovrebbero comprare il gruppo motore quindi la batteria ed il motore elettrico dalla Cina o comunque da Paesi asiatici perchè in Europa nessuno produce pacchi batteria su larga scala.
Personalmente, ritengo questo dato molto conservativo, perché il solo Gruppo Volkswagen in Germania a causa della transizione obbligata dal motore termico ad elettrico ha dichiarato un esubero di 30.000 dipendenti.
Rifacendomi a quando rappresentato dagli altri attori delle diverse filiere produttive che hanno partecipato all’incontro di oggi, anche nell’auto l’Italia ci ha messo del suo creando il cosiddetto sistema di “bonus/malus” recentemente approvato con la legge di bilancio. Bonus di duecento milioni stanziati in tre anni per chi compra auto elettriche o ibride plugin e malus che dovrebbe generare un introito stimato in 100 milioni attraverso una sovratassa sulle auto nuove.
È un’assurdità che in paese con un parco auto così vetusto ed altamente inquinante, come vedete dalla tabella di destra, dal 2005 al due 2015 le auto fino a cinque anni di vita sono scese dal 34% del 2005 al 20% del 2015 si metta un malus sull’acquisto di auto nuove e non sulle auto inquinanti presenti nel parco circolante. Il malus va a penalizzare fortemente il Gruppo FCA, primo costruttore italiano, che ha deciso di stoppare tutti gli investimenti in Italia presenti nel piano industriale che ammontano a €5miliardi.
Ricordiamoci che non c’è filiera se non c’è produttore! Inoltre una parte di questi cinque miliardi sarebbero serviti per produrre la cinquecento ibrida a Mirafiori.
Qualche politico, nei precedenti interventi ha detto che noi imprenditori cerchiamo le colpe nella politica e nell’Europa e nel mio o meglio nel nostro caso non cerchiamo colpe da nessuna parte ma non possiamo essere considerati un bersaglio da colpire.
Ci tengo a ricordare cosa facciamo noi per il Paese: siamo la filiera con il più alto valore di moltiplicatore aggiunto dell’economia un euro di valore aggiunto nella filiera automotive, secondo lo studio realizzato da Prometeia, crea €2,2 di valore addizionali nell’economia. Dieci posti di lavoro della filiera automotive per creano venti posti di lavoro addizionali nell’economia reale. Ricordo che occupiamo 1,2mln di addetti e permettetemi di dire siamo forse l’unica industria che, grazie alla sua unicità di filiera, è riuscita ad attirare investimenti esteri da un paese come la Germania. Il gruppo Volkswagen vestito settecento milioni in Italia. Il gruppo Volkswagen tra i vari brand che detiene, possiede la Bentley ma il SUV della Bentley non viene prodotto in Inghilterra ma c’è in Germania a Lipsia dove vengono prodotti tutti i SUV della piattaforma Volkswagen. Tuttavia per il SUV Lamborghini, grazie all’unicum della filiera della cosiddetta Motor Valley, il Gruppo Volksvagen ha deciso di investire settecento milioni di investimento in Italia per creare uno stabilimento ex novo ad hoc a Sant’Agata Bolognese.
La componentistica italiana ormai è arrivata ad esportare la gran oltre il 50% del fatturato tuttavia non si può accettare in silenzio di continuare a vedere l’industria italiana e non parlo solo dell’auto, che è pesantemente svantaggiata per il solo fatto che abbia scelto l’Italia come paese dove svolgere la propria attività.
Nella slide potete vedere che i primi sei paesi produttori di Automotive in Europa, sono anche tra le prime 10 economie al mondo, noi siamo l’ottavo nel Global Competitivi Index italiano siamo al quarantatresimo posto.
IL Global Competitive Index, è il l’indice di competitività globale che, misura quanto è attrattivo il Paese per chi fa business e noi siamo al quarantatresimo posto, dato ancora più allarmante è che nel 2000 eravamo al ventiquattresimo posto cioè in diciotto anni abbiamo scalato diciannove posizioni, purtroppo in negativo.
Governi a prescindere questo non è un qualcosa che è più sostenibile!
Grazie
*Marco Bracaglia, Membro consiglio direttivo ANFIA, AU Magistris & Wetzel spa
Intervento al meeting “Europa contro Impresa Italia”
Reddito di salute. Il servizio universale della sanità integrativa
Un nuovo dinamismo per il sistema europeo
“Vorrei ringraziare l’Ambasciatore, Ministro Giulio Terzi, mio caro amico, che mi ha coinvolto come relatore nello svolgimento e organizzazione di questo meeting.
Questo meeting per noi di Farefuturo arriva in un momento di riflessione che come fondazione stiamo facendo e di cui accennerò fra poco; in un anno decisivo per la nostra Europa che vedrà un’importante elezione del Parlamento europeo nel prossimo mese di maggio, sicuramente la più importante dalla sua costituzione.
È il mio terzo intervento oggi su questo argomento; sono intervenuto in aula nel dibattito aperto dal Presidente del Consiglio Conte al Senato sulle prospettive e obiettivi del prossimo Consiglio europeo e sono intervenuto oggi pomeriggio in Commissione esteri a fronte dell’audizione dell’ambasciatore della federazione Russa, nel quadro dei rapporti tra l’Italia, l’UE e la Russia, anche alla luce delle sanzioni che l’Europa ha messo su indicazione e stimolo del nostro alleato, gli Stati Uniti.
Il fatto stesso che sia costretto, in questo caso compiaciuto ad un terzo intervento, dimostra cosa sia l’Europa per noi italiani a fronte di quello che in questo libro è evidenziato, a fronte cioè della crisi della UE che si manifesta in tante competizioni elettorali ma anche nella paralisi delle istituzioni.
Oggi ho fatto notare al Presidente del Consiglio Conte che i proponimenti e le decisioni prese quattro mesi fa nel precedente Consiglio europeo non sono stati realizzati nei quattro mesi successivi, sia quelli che dovevano essere realizzati dall’UE sia quelli che dovevano essere realizzati dai singoli Stati, compreso l’Italia; ne deriva quindi la paralisi delle istituzioni come denunciato anche in questo volume, in cui la parte centrale credo di individuarla nella richiesta di tornare alle radici della nostra comunità europea che fu sancita qui a Roma con i Trattati di Roma; tornare alle origini; potrei chiamarla se vogliamo con il nome di una città polacca, tornare allo spirito di Cracovia.
Chi visita Cracovia, capisce cosa significa lo spirito europeo; lo si comprende dalla musica, dall’architettura, dall’atmosfera che vi è in quella città. Lo spirito di Cracovia che poi è in realtà proprio alle origini dell’UE ci dice qual è il fondamento della questione europea che nel libro viene evidenziata laddove si considera l’UE di oggi, giustamente, come uno spazio politico vuoto, neutrale da riempire. Lo spazio europeo culla della civiltà e delle libertà degli individui, dei popoli e delle imprese, può essere concepito come uno spazio politico vuoto da riempire? Se l’Europa è questo, chi può vantare il diritto a riempire questo spazio? La Russia? La Cina? L’Africa? Le Americhe? Se l’Europa rinuncia a dare un’anima e una missione politica, vi rinuncia di fatto l’umanità.
Noi crediamo che questo sia irrinunciabile. Perché questa è l’essenza dell’Europa!
L’Autore riconosce che l’Unione Europea debba essere una specifica comunità politica e non uno spazio neutrale da riempire, ma una specifica comunità politica fondata certamente sulle differenziazioni nazionali ma legata da una identità basata sui valori di una triplice, plurisecolare e millenaria filosofia greca, diritto romano e cristianesimo.
Il punto di fondo oppure il discrimine in cui l’Europa ha imboccato il bivio della neutralità è il rifiuto di mettere a fondamento della Nuova Europa, le radici giudaico-cristiane. Da quel momento l’Europa prende la via dell’anonimato, della neutralità del vuoto e si perde. Ecco perché bisogna tornare a quel punto, riprenderlo per rifondare l’Europa. Con la Fondazione Farefuturo, il 9 novembre, non a caso, facciamo un meeting il cui titolo provocatorio sarà “ La nuova Europa rifonda l’Europa?” dove per Nuova Europa s’intende ovviamente l’Europa che è entrata dopo la caduta del Muro di Berlino nella nostra Unione, cambiandone i connotati e anche le priorità. Per Nuova Europa intendiamo anche, ovviamente, il nucleo dei Paesi di Visegrad; infatti al meeting abbiamo invitato a partecipare le Fondazioni dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Polonia. Lo dico al Ministro Szczerski: le prime tre hanno aderito, la quarta siamo in attesa di adesione. Quindi la sollecito a stimolare la fondazione polacca a partecipare al meeting e al progetto che ne nascerà.
Un progetto di ricerca comune che poi presenteremo a marzo qui a Roma e che affronterà l’altro aspetto dell’Europa; i Paesi di Visegrad e oggi l’Italia sono sotto accusa da altri perché hanno fatto una politica sull’immigrazione abbastanza ferma. Questo è solo un aspetto della questione, la tutela dell’identità. L’altro aspetto che si sottovaluta, che è per me fondamentale e che esamineremo nel rapporto di ricerca, è la crescita felice che si contrappone alla decrescita. Il titolo infatti del Rapporto di ricerca è “ La crescita felice: natalità e investimento” cioè sviluppo.
La crescita felice avviene attraverso una politica per la natalità e una politica per lo sviluppo e se vogliamo è l’altra faccia della politica dei Paesi di Visegrad che noi vogliamo portare ad esempio e confrontarci con essi. Occorre farlo perché l’Europa che ha fondato la Comunità Europea con i Trattati di Roma non esiste più da quando ha rinunciato alle radici giudaico-cristiane e quando la Germania è diventata troppo potente. Gli Stati fondatori allora erano sostanzialmente tre: la Germania occidentale, la Francia e l’Italia che erano Paesi della stessa dimensione demografica, politica e soprattutto della stessa dimensione economica, oltre a tre Stati considerati cuscinetto: Lussemburgo, Olanda e Belgio. Quando uno di questi tre Stati principali con la riunificazione del 9 novembre diventa troppo grande e troppo potente,squilibra l’Europa. Non c’è più equilibrio e pari dignità tra Stati europei.
Cito uno statista importante del nostro Paese che aveva battute forse un po’ troppo ciniche ma perfette in questo campo, Giulio Andreotti, il quale al momento della caduta del Muro disse di amare tanto la Germania e i tedeschi ma di preferire proprio per questo due Germanie. Naturalmente non siamo a questo punto ma è per capire qual è il problema.
Quindi c’è bisogno di rifondare l’Europa sulle identità, sulle libertà, sulla pari dignità tra Stati e su un comune sentire europeo. La strada da percorrere è difficile ma assolutamente necessaria rispetto al contesto globale in cui ci troviamo con nuove potenze che si affacciano predominanti nell’economia, nella scienza e non mi riferisco soltanto alla Cina; mi riferisco anche alla minaccia delle multinazionali che si sono appropriate della conoscenza del mondo.
Quattro società di cui non si conosce a fondo la proprietà, possiedono il 90% della conoscenza del mondo ed ogni anno acquisiscono ed aggiungono a quanto già hanno conoscenze pari a quello che l’umanità ha creato dalla preistoria ad oggi. Il problema è fondamentale e pone in campo quello che viene chiamato sovranismo che non è affatto populismo.
Il sovranismo è riappropriarsi della sovranità politica di decidere la sovranità degli Stati, delle Nazioni, dei Popoli per evitare che si possa essere espropriati delle proprie libertà, della propria conoscenza. A tal proposito faccio presente un aspetto di cui nessuno si è accorto in Italia e in Europa. Sono gli Accordi commerciali. C’è stata una rivoluzione qualche giorno fa; è il nuovo Accordo commerciale che Trump ha imposto al posto della vecchia NAFTA al Canada e al Messico. Perché è una rivoluzione? Perché per la prima volta viene sancito in modo chiaro in un accordo commerciale, il principio del dumping sociale. Fino ad oggi noi distinguiamo gli accordi commerciali da quelli inerenti all’organizzazione per esempio del lavoro o degli accordi commerciali. Tutti aspetti e piani separati. Per la prima volta Trump ha imposto che il Messico realizzi al suo interno una legislazione per tutelare il diritto sindacale, il minimo salariale e sanzioni precise ove ciò non accadesse. Ciò comporta due effetti: il primo, che le imprese e quindi i lavoratori americani non subiscano una concorrenza sleale dovuta al dumping sociale e a quello ambientale con il Messico. Mi auguro che l’Europa faccia altrettanto, perché questo è fondamentale per tutelare la competitività delle imprese e del lavoro. Secondo, perché si esportano i diritti ambientali, sociali attraverso l’Accordo commerciale.
Io mi auguro che su questo si possa fare un grande lavoro con i Paesi della Nuova Europa perché l’Italia che è un Paese fondatore può contribuire insieme agli altri a rifondare la nostra Europa, altrimenti saremo atomi dispersi nella nullità di un continente europeo che diventerà soltanto una società di pensionati dove andranno a svernare i pensionati di altri continenti”.
Intervento del presidente Adolfo Urso alla presentazione del libro di Krzysztof Szczerski “Il nuovo dinamismo per il sistema europeo”
*Adolfo Urso, senatore FdI