Ismo – ci ricorda l’Enciclopedia Italiana – è un suffisso di molti vocaboli astratti, taluni derivati dal greco (dove hanno origine verbale) e i più formati posteriormente (tratti in genere da sostantivi o aggettivi), per indicare dottrine e movimenti religiosi, sociali, filosofici, letterari, artistici (per es.: manicheismo, islamismo, socialismo, empirismo, realismo, impressionismo, ecc.), atteggiamenti, tendenze, caratteri collettivi o individuali (eroismo, radicalismo, patriottismo, dispotismo, ottimismo, scetticismo, fanatismo), comportamenti o azioni (disfattismo, ostruzionismo), condizioni o qualità, e anche difetti morali o fisici e abitudini nocive (egoismo, mutismo, strabismo, daltonismo, alcolismo), talora condizioni di cose (parallelismo, magnetismo), attività sportive (ciclismo, podismo, discesismo, connessi questi con i sostantivi in -ista come ciclista, ecc.). “Il largo uso che negli ultimi decennî si è fatto di questo suffisso, soprattutto nella formazione di sostantivi riferentisi a tendenze letterarie e artistiche (futurismo, cubismo, astrattismo, ermetismo), – precisa l’Enciclopedia Italiana- ha suscitato qualche reazione ironica, tendente a criticare non tanto il suffisso in sé quanto la coniazione a volte arbitraria del sostantivo, e degli aggettivi in -istico che ne derivano”. Sovente l’”ismo” e gli “ismi” hanno assunto una connotazione peggiorativa.
E’ un tema, a mio avviso, non solo di stile letterario ma di sostanza. Per questo, merita di essere discusso in seno ad una Fondazione di cultura politica. Oggi il dibattito politico italiano si incentra spesso su tre “ismi”: “europeismo”, “sovranismo”, “nazionalismo” che hanno negli anni perduto parte del loro significato originale. L’”europeismo”, ad esempio, veniva impiegato inizialmente come sinonimo di “federalismo europeo”, un concetto ormai fuori dal tempo dato in un’Unione a 27 è fattibile aspirare, al più, ad un coordinamento basato sul binomio responsabilità e solidarietà tra gli Stati che ne fanno parte. Il “sovranismo” è anche esso fuori tempo; già quaranta anni fa, Marc Blondel, leader del sindacato anticomunista francese Force Ouvrière, diceva che in mancanza di coordinamento tra Stati ed un certo grado di condivisione (e, quindi, di cessione di sovranità), i Governi sarebbero diventati subappaltanti dei mercati. Il “nazionalismo” ha un bel profumo di antico, come “le piccole cose di pessimo gusto” di cui scriveva Guido Gozzano: ricorda il tempo, ormai passato, in cui Stati nazionali di tarda formazione (rispetto agli altri di quello che allora veniva chiamato “il consesso delle Nazioni”) dovevano affermare la propria identità.
Ora il contesto è marcatamente differente. Come ho ricordato nell’ultimo fascicolo di Rivista di Politica sia l’Europa sia il più vasto scenario mondiale sembrano destinati ad operare in giochi multipli alla ricerca di equilibri alla Nash (il matematico reso noto vent’anni fa dal film A Beautiful Mind), quindi sempre inerentemente instabili. In questo quadro, “europeismi federalisti” sono quanto meno utopici, le cessioni di “sovranità” sono inevitabili, pena non potersi neanche sedere ai tavoli dei giochi, il “nazionalismo” non deve più affermare identità ma promuovere e difendere l’interesse nazionale. Una promozione ed una difesa tanto più difficile quanto più ci si muove tra equilibri instabili.
Una politica di promozione e difesa dell’interesse nazionale richiede, innanzitutto, un’idea chiara di cosa è l’interesse nazionale, ossia quale è la “funzione obiettivo” (per utilizzare il gergo degli economisti) in cui si articola l’interesse nazionale. Comporta, poi, una macchina pubblica (la pubblica amministrazione ed il settore pubblico allargato) proteso alla promozione ed alla difesa dell’interesse nazionale.
Sul primo punto, la Fondazione è la sede appropriata per un dibattito ed un chiarimento. Tra breve verrà proposto un documento collettaneo che potrà essere, al tempo stesso, una proposta ed una base di discussione per delineare, con chiarezza ed al di fuori di “ismi”, contenuti, obiettivi e vincoli all’interesse nazionale.
Sul secondo punto, sulla base della mia esperienza di funzionario internazionale sempre in seguito a pubblico concorso e mai designato dall’Italia, credo che si sia molto da costruire. Un compito a cui la Fondazione, se ha mezzi, potrà dare un apporto con corsi, seminari ed altre proposte specifiche.