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Umberto Amato

Umberto Amato e avvocato e si occupa di amministrazione e finanza degli enti locali.

Criminalità minorile. Una riflessione

Gli ultimi episodi di cronaca hanno suscitato nella comunità nazionale un forte sgomento, soprattutto perché tali episodi sono stati compiuti da minori.
Tali episodi hanno spinto molti tra criminologi, giuristi e politici a una riflessione per procedere ad una radicale riforma del sistema penale minorile connessa in particolare alla devianza minorile.

Nella prospettiva storica il Tribunale per i minorenni è stato istituito nel 1934 ed aveva come ratio quella di tendere alla rieducazione dei minori che si sono macchiati di reati prima del diciottesimo anno di età.

Il codice Zanardelli prevedeva una imputabilità dei minorenni esclusa per i minori di anni nove per fasce di età (9-14, 14, 14-18, 18-21) subordinata alla prova del discernimento o diminuita.
Il codice Rocco all’art. 97 prevede che l’imputabilità è per minori che abbiano compiuto gli anni 14, mentre per quelli infraquattordicenni la non imputabilità è sempre assoluta.
Il continuo evolversi dei costumi della società, il progresso tecnologico impone al legislatore di procedere ad una radicale riforma del sistema processuale minorile.
Il minore non va sempre perdonato, pena la non corretta attuazione del principio di rieducazione connesso alla responsabilità penale come si desume dalla prospettiva sistematica costituzionale.

Quali possono essere i punti di riforma del sistema minorile?

1) Abbassamento dell’età imputabile a 12 anni connesso a particolari fattispecie criminali;

2) Varo di un codice penale minorile che abbia una sua autonomia scientifica e applicativa;

3) Istituzione di una Procura nazionale per i minori;

4) Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta bicamerale sulla devianza minorile;

5)Educare i minori all’affettività, con un ruolo pregnante e concreto, all’affettività non inteso come smanioso controllo affettivo, ma come naturale sbocco della crescita dell’età puberale.

Nell’ età contemporanea troppe sono le pressioni che i minori subiscono sia nel contesto scolastico, sia in altri contesti sociali la salvaguardia del minore e per una corretta esplicazione dello sviluppo della personalità dei ragazzi in piena coerenza del dettato costituzionale e nella sua naturale prospettiva giuridico-evolutiva.

Manovra 2024, proposte e riflessioni

Con il calar delle temperature estive e l’inizio del clima settembrino, il dibattito politico, economico e giornalistico si concentra sul provvedimento più importante dell’attività di governo: “la manovra di bilancio”.
Sullo sfondo della manovra di bilancio c’è la possibile riforma del Patto di stabilità e crescita (più stabilità che crescita….) architrave del Trattato di Maastricht, trattato che ha istituito l’Unione Europea e in particolare l’unione economica e monetaria, unione che ha poi portato all’adozione dell’euro come moneta unica.

La riforma del Patto di stabilità e crescita è fondamentale per portare l’Europa su un sentiero di crescita strutturale, duraturo e che metta al riparo lo stesso Continente dalle turbolenze economiche internazionali, seppur in un sistema economico sempre più integrato aperto alla concorrenza, stessa concorrenza che ha portato molte criticità, soprattutto in ambito industriale e manifatturiero (necessario sarebbe anche cambiare denominazione al Patto, in Patto di Crescita) aperto a investimenti imponenti nel settore energetico, nel settore della transizione ecologica e nel settore della nuova Rivoluzione industriale (la tanto famosa Intelligenza artificiale).

Sullo sfondo non c’è solo la possibile riforma del Patto, anche la probabile recessione che con l’aumento dell’inflazione potrebbe creare molti squilibri alla finanza pubblica di molte Nazioni, soprattutto la Nostra che ha un debito pubblico che veleggia, ormai al 140% del Prodotto interno Lordo.

Come mettere in sicurezza i conti pubblici della Nazione, senza produrre sconquassi allo Stato sociale, tenendo ben saldo l’obiettivo della coesione sociale?
Di seguito alcune idee:
1- redigere un decreto legge volto alla stabilizzazione dei conti pubblici, nei prossimi quattro anni, avendo come obiettivo la naturale scadenza della Legislatura;
2- confermare in maniera prudente le misure della precedente manovra di bilancio, privilegiando l’obiettivo di abbassare ulteriormente il cuneo fiscale;
3- aumentare le pensioni minime in maniera prudente, tenendo presente le esigenze delle pensioni che più con difficoltà arrivano alla fine del mese;
4- una revisione della spesa che realmente tagli gli sprechi e le spese superflue;
5- una riforma di tutti i bonus edilizi e del superbonus, aumentando i controlli ai furbetti e operando una lotta senza quartiere alle condotte fraudolente;
6- approntare già in questa legge di bilancio l’attuazione della delega fiscale;
7- stanziare più risorse per la sicurezza urbana;
8- risorse all’Istruzione, Università e alla ricerca scientifica e all’industria 4.0 per una
Nazione più tecnologica e innovativa nel settore dei macchinari e nel settore manifatturiero, volano della nostra Economia.
9- un maggiore controllo sui prezzi, per evitare la speculazione.

Non si può fare tutto con uno scenario fosco all’orizzonte, ma operare delle scelte strategiche e di priorità, tenendo ben presente il nostro debito pubblico altissimo, le dinamiche internazionali e la nostra credibilità sui mercati finanziari.
Una manovra di crescita prudente, sostenibile e duratura dovrebbe essere fondamentale per la coalizione di destra-centro scelta dagli elettori, perché non perda di vista l’orizzonte e adempia alla missione che si è dato: governare il futuro.

QUALE RIFORMA DEL CODICE PENALE

Il codice penale, attualmente in vigore, è stato redatto in età fascista (1931) ad opera del ministro della Giustizia e degli Affari di Culto il sassarese Alfredo Rocco. Il codice penale nella prima parte statuisce sul reato in generale, con una prolusione fortemente formalistica e improntata al principio del doppio binario (uno fortemente legalistico con precisione normativa e chiarezza sistematica e un altro fortemente repressivo sotto il principio delle misure di sicurezza).

Questo principio del doppio binario ha passato indenne nei suoi aspetti finalistici l’entrata in vigore della Carta Costituzionale e sia la messa in funzione con precise norme di rango costituzionale della Corte Costituzionale, organo che giudica, tra gli altri conflitti, la costituzionalità delle leggi.

La Costituzione in ambito penale ha previsto particolari disposizioni, esplicitamente l’art. 25 secondo comma della Costituzione: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” e il terzo comma dello stesso: “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge” ; e l’art. 27 primo comma Costituzione: “ La responsabilità penale è personale”.

Da questi due articoli derivano altri corollari, non disciplinati specificatamente dalla Costituzione, quali quelli di determinatezza, tassatività, specificatezza. Nel corso dell’Italia repubblicana si è proceduto alla novellazione di parti del codice penale, ma mai alla revisione organica del testo penale con l’approvazione e la promulgazione di un nuovo codice penale.

Emergenze come quella subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione, proteste di braccianti per le terre da redistribuire, non fiducia nella politica delle ali estreme sempre pronte a moti di piazza violenti che potevano sfociare nella rivoluzione, nella sovversione delle istituzioni repubblicane e nel cambio violento di governo retto sempre, seppur con variazioni, dalla Democrazia Cristiana.

Terrorismo, Mafia e altre organizzazioni hanno impedito l’approvazione di un codice penale che rispettasse il diritto penale minimo, il principio dell’extrema ratio e anche un nuovo principio quello dell’obbligo della motivazione della legge penale.

In Italia il rapporto tra autorità e cittadino è di reciproca sfiducia e questo non fa altro che rendere più accidentato e irto di ostacoli la riforma organica del codice penale, di riflesso anche il nuovo codice Vassalli del del 1989 (riforma del codice di procedura penale) ha risentito della cultura profondamente inquieta del popolo italiano e di alcuni operatori del diritto penale, tant’è che non si può parlare di un codice garantista in senso stretto, perché permeato da reminiscenze inquisitorie e dalla previsione di riti speciali che rendono il codice disatteso nelle sue finalità.

La riforma organica del codice penale con la riformulazione di fattispecie incriminatrici diminuendo le stesse a pochi articoli di modo che il codice sia di più semplice consultazione per tutti i consociati e del diritto penitenziario, la detenzione in carcere non è l’unico modo espiare le proprie condotte antisociali e di tutela e dovrebbe essere limitato a reati gravissimi e di particolare allarme sociale.

Le esigenze di politica criminale che ha il legislatore devono avere come limite preciso il codice penale nei suoi aspetti fondamentali come Magna Charta del delinquente.

Scuola e università appunti per una riforma

Negli ultimi anni la scuola è stata soggetta a molte riforme che non hanno risolto i gravi problemi che  sono ancora tutti sullo sfondo.

Problemi come la forte dispersione scolastica, l’ignoranza degli studenti in discipline fondamentali, come la matematica, la lingua Italiana, le lingue straniere per citarne alcune.

Tutti i livelli scolastici sono totalmente  inadeguati alla formazione e alla acquisizione di competenze dei discenti con profonde lacune anche nelle facoltà universitarie e nel mercato del lavoro, con imprese che non riescono a trovare profili giusti da inserire nel proprio organico.

Questi problemi rendono il nostro sistema economico profondamente inadeguato nella competizione globale.

Bisogna che ci sia un piano serio con pochi punti che sia soggetto all’attenzione del legislatore (la importantissima formazione professionale è quasi totalmente delegata alle Regioni come disposto dall’articolo 117,  comma 2 della Costituzione):

 

1- Potenziamento delle scuole dell’Infanzia con personale qualificato e

con Sussidiari di facile comprensione  e con compiti zero a casa,

(si insegna a scuola, si impara a scuola si studia a scuola);

2- Portare la Scuola Media Superiore di primo grado dal ciclo di tre

anni a  quattro con potenziamento dell’Educazione Tecnica,

dell’Educazione Artistica, dell’Educazione Civica con zero compiti a

casa privilegiando lo studio a scuola; introdurre lo studio della

lingua latina, greca e lo studio della Filosofia.

3- Biennio della Scuola secondaria di secondo grado uguale per tutti  e

    Triennio di specializzazione.

4– Formazione universitaria a numero aperto per alcuni corsi e a

numero chiuso per altri (dove è più alto il numero degli iscritti non

assorbili mercato del lavoro), impegnando il Ministero

dell’Università e della Ricerca ad elaborare un piano annuale di

fabbisogno di iscrizione

destinando gli studenti che vogliano accedere all’Istruzione

Universitaria a corsi di studi con maggiori sbocchi lavorativi.

Valutare se trasformare le Università in Fondazioni (istituti di diritto

privato)  aperte al contributo finanziario, culturale delle Imprese

sempre sotto la vigilanza del Ministero;

     5- Riforma del concorso a preside (dirigente scolastico) con nomina del

Ministro previo parere del Provveditore agli Studi di insegnanti con

più anzianità di servizio, il  preside deve tornare ad

occuparsi approfonditamente della didattica e della preparazione

dei discenti. Le questioni economiche totalmente da delegare al

DSGA, il preside manager non è funzionale al sistema scolastico

italiano;

La formazione scolastica ed universitaria  sono fondamentali per la crescita culturale, sociale ed economica  della Nazione.

Le riforme devono mettere al centro del sistema il discente ed il suo successo scolastico e lavorativo.

Protezione nazionale e Cyber Security

Nel corso degli anni Novanta del XXI secolo lo Stato procedette, sotto le spinte normative e sotto le esigenze stringenti  di bilancio pubblico (sotto controllo il deficit pubblico, l’indebitamento e a un  sistema improntato alla  concorrenza) dettate dalle Istituzioni della Unione Europea, a una graduale uscita dagli asset di economia pubblica, che caratterizzò il ruolo dello Stato nell’economia a partire dalla crisi del 1929 fino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso.

Lo Stato però nell’uscire dagli asset di economia pubblica dettò delle misure di controllo del mercato e delle proprietà nuove delle imprese pubbliche: la golden share, questa misura poteva essere attivata durante il processo di privatizzazione, per monitorare eventuali scelte che possano nuocere alla società (in particolare società ex monopolista, Telecom e altre società di particolare rilievo strategico).

Questo istituto ha mostrato tutta la sua inadeguatezza nella salvaguardia dell’interesse nazionale, soprattutto nel caso di cessione e di acquisto di società straniere, anche perché tale istituto non trovava applicazione nel caso in cui  lo Stato era completamente uscito dal capitale sociale.

Per tutelare l’interesse nazionale e le nostre imprese strategiche, fu approvato il Decreto legge n.21/2012 che introdusse nella normativa nazionale il golden power,  tale strumento era rivolto ad imprese che operavano nei settori strategici trasporti, comunicazioni, sicurezza nazionale, energia e difesa. Nel 2017 si procedette ad una riforma dell’istituto (specifiche condizioni all’acquisto di determinate imprese e allargamento della tutela a settori assicurativo, bancario, alimentare) a causa dell’inadeguatezza nel fronteggiare la salvaguardia delle imprese strategiche (le società bersaglio) nell’economia nazionale  soggette a istinti predatori da parte di società straniere (europee e extraeuropee in particolare cinesi). Tale riforma aveva intenzione di proteggere e di evitare che le imprese strategiche del paese potessero finire in mani straniere con grave pregiudizio agli interessi  essenziali dello Stato, pericolo per la sicurezza o per l’ordine pubblico; l’acquirente aveva nonché  l’obbligo di tutela degli interessi nazionali.  Durante la pandemia da Sars Covid 2019, i perimetri di applicazione del golden power  furono allargati per la tutela delle aziende strategiche. L’unica volta in cui fu applicato questo istituto fu nel  2021, quando il governo Draghi bloccò, ponendo il veto sull’acquisizione da parte della società cinese Shenzen Investment  Holding di una società lombarda di semiconduttori Lpe.

L’applicazione di questo istituto introdotto  nel nostro ordinamento nel  2012 è però irto di ostacoli (come dimostrano le tante riforme approvate) e occorrerebbe una seria riforma che tuteli in maniera più incisiva le nostre società strategiche.

Il governo dovrebbe muoversi  sul lato della normativa sostanziale e delle disposizioni processuali, introducendo l’istituto della protezione nazionale introducendolo nella Costituzione all’art. 41 della Costituzione: “Quando sul mercato interno società estere vogliano acquisire imprese strategiche devono trascorrere 120 giorni dalla notifica di acquisto al Ministero delle Imprese al Ministero dell’Economia e finanze e alla presidenza del Consiglio dei Ministri e  non vige il silenzio assenso,  tale da,  in maniera preventiva evitare la cessione di asset strategici per l’economia nazionale  istituzione di un comitato interministeriale di politica industriale che valuti l’applicazione di questo istituto coerente con il quadro europeo degli Aiuti di Stato); è ammesso il ricorso ex art. 700 cpc  (provvedimenti di urgenza) presso il giudice ordinario  da chiunque abbia interesse.

Questo istituto della protezione nazionale ha l’obiettivo di tutelare l’economia nazionale in una fase delicata dovuta a scenari internazionali sempre più delicati e insicuri soprattutto sotto il lato della cyber security, robotica e start up innovative meritevoli di tutela da parte della comunità nazionale.

FISCO DA CAMBIARE

Negli ultimi anni il dibattito tra accademici, professionisti e politici si è focalizzato sulla riforma del fisco, vero ostacolo alla crescita del nostro paese.

L’ultima legge di stabilità 2022 ha portato gli scaglioni Irpef da 5 a 4, semplificando solo in minima parte il pachiderma fiscale.

Non ci sono solo le aliquote inique sotto vari aspetti che aggirano il criterio di progressività, enunciato nell’articolo 53 della nostra Carta Costituzionale.

Il fisco italiano ha bisogno di una radicale riforma strutturale che riguardi non solo le imposte dirette e quelle indirette, ma soprattutto la babele di adempimenti burocratici che rendono difficile la crescita economica e scoraggiano gli investimenti esteri.

Occorrono misure precise e di facile applicazione:

  • Scaglioni Irpef da 4 a 3 incrementando la no tax area;
  • Diminuzione dell’IVA dal 22% al 20%;
  • Stesura di un testo unico con chiare disposizioni legislative sintetiche e di facile comprensione per i contribuenti;
  • Riforma del giudice tributario e inversione dell’onore della prova in capo ai soggetti di riscossione;
  • Saldo e stralcio totale per le cartelle esattoriali nel biennio 2019-2020;
  • Semplificazione dei contributi pensionistici per i professionisti, abolendo le quote fisse;
  • Inserimento in Costituzione del divieto di cambiare norme fiscali per 10 anni.
  • Incentivare il pagamento elettronico con il cashback per almeno l’arco di una legislatura.

Questi punti sono essenziali per rendere semplice la vita ai contribuenti ed evitare un eccessivo tasso di evasione che non è di un paese occidentale membro dell’Ue. La lotta all’evasione non può essere solo repressiva. Il nostro paese non cresce dal 2001, nonostante le tante  riforme approvate, la crescita è bassissima e non sostenibile per il debito pubblico. L’amministrazione fiscale ha bisogno di un cambio di mentalità e non essere una palude burocratica che blocca tutto. Le troppe leggi fiscali devono essere diminuite e raccolte in un unico Testo Unico, di facile lettura e applicazione, semplificando il lavoro di contribuenti e di addetti ai lavori.

Il Piano di Ripresa e Resilienza senza questa riforma incisiva e strutturale non risolverà i problemi della bassa crescita del paese e renderà problematica la restituzione del prestito del Recovery Found oltre ad aumentare il divario tra zone del paese ad alto tasso di  crescita e quelle a basso tasso di crescita.

PER UNO STATUTO DEI LAVORATORI

Negli ultimi trent’anni i legislatori italiani hanno proceduto a molte riforme che hanno fortemente mutato il mercato del lavoro, privilegiando i contratti a termine rispetto a quello storico, ovvero quello a tempo indeterminato.  Le riforme  che si sono succedute dagli Anni Novanta in poi non hanno risolto il problema atavico e fondamentale: la disoccupazione giovanile.

I dati Istat hanno certificato l’aumento della disoccupazione giovanile e giovani  neet, ovvero quelli che non cercano lavoro e non studiano (problema, inoltre,  molto serio la dispersione scolastica).

L’ultima riforma organica del mercato del lavoro, il Jobs Act (in più punti incostituzionali come dimostrano le sentenze della Corte Costituzionale) non ha risolto il problema della disoccupazione giovanile e della precarietà nel mondo del lavoro. Poi è arrivato il reddito di cittadinanza, forma diffusa di assistenzialismo, che – come promesso dal governo Meloni – va superato con interventi che consentano ai molti occupabili di (re)inserirsi nel mondo del lavoro e sentirsi parte attiva della comunità nazionale.

Occorre un cambio di passo e riforme incisive che permettano una rivoluzione profonda nel rapporto mercato del lavoro- persone-imprese.

Quali misure per il lavoro?

1 Semplificare tutta la disciplina giuridica sui contratti e sul diritto del lavoro, oggi sono circa 350 i contratti di lavoro a tre forme contrattuali che si aggiungono al contratto a tempo indeterminato;

2 Riforma profonda del fisco sul lavoro rendendo più semplice la normativa fiscale per l’occupazione con sgravi fiscali permanenti per le imprese;

3 Rendere il contratto a tempo indeterminato in prospettiva l’unica forma contrattuale conveniente per le imprese;

4 Abbassamento delle tasse sul lavoro cominciando dall’imposta IRAP per poi affrontare quello sul cuneo fiscale con un taglio imponente e strutturale;

5 È suggestione non realizzabile, ma sarebbe esseniale accorpare per un periodo limitato di tempo il Ministero del Lavoro con quello dell’Istruzione in un nuovo ministero dell’Educazione, Università e Ricerca e del Lavoro;

6 Redazione di un nuovo codice del lavoro che raggruppi tutta la normativa esistente nello Statuto dei lavori, nel quale impresa e lavoratori possano interfacciarsi conoscendo i diritti e i doveri a loro rivolti;

7 Inserire nella Costituzione un principio che renda più difficile modificare le legislazioni sul lavoro che devono essere certe per gli operatori nel settore.

Questi punti potrebbero aiutare il mondo del lavoro: il primo nodo da sciogliere in questo settore è che nella società della competenza lavoro e istruzione vanno di pari passo e senza un sistema educativo improntato al lavoro noi non risolveremmo il problema della disoccupazione nel nostro Paese.

 

*Umberto Amato, dottore in Giurisprudenza

VERSO LA TRANSIZIONE INDUSTRIALE

Dopo la pandemia da Sars Covid 2019, è in atto  un profondo mutamento e una profonda metamorfosi nelle economie dei Paesi più industrializzati del Pianeta: la Transizione industriale, di cui affronteremo in questo articolato i tre pilastri.

1-TRANSIZIONE ECOLOGICA

Sotto la minaccia dei cambiamenti climatici sono aumentati gli sforzi per la neutralità climatica, finanziando progetti che vanno nella direzione del risanamento ambientale e dell’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera: la transizione ecologica.

Il settore che più di ogni altro si trova in questo cambiamento repentino e, talvolta caotico è quello dell’industria dell’auto; le case automobilistiche stanno rivendendo i loro progetti industriali volti alla transizione energetica, sostituendo il motore termico con quello elettrico che garantisce, insieme all’idrogeno, emissioni zero.

La transizione ecologica è una necessità per evitare catastrofi ambientali dovuti al climate change e l’Ue nel PNRR ha stanziato cospicui finanziamenti a tale scopo.

2-TRANSIZIONE DIGITALE

Insieme alla transizione ecologica fondamentale importanza ha la Transizione digitale, con lo scopo di rendere più sostenibile lo sviluppo economico. Transizione ecologica e transizione digitale sono fondamentali per l’economia, la società e l’industria come si legge nel New Industrial Strategy for Europe 2021.

La Transizione digitale con lo scopo di rendere più competitivo il tessuto economico del Paese e sono previsti finanziamenti del PNRR (PIANO NAZIONALE RIPRESA E RESILIENZA) nella realizzazione della banda ultra larga, delle Piattaforme abilitanti, infrastrutture digitali, innovazione per i servizi della Pubblica amministrazione, dello sviluppo dei servizi digitali e delle competenze digitali.

La Transizione digitale pone problemi di sicurezza dei dati e di sicurezza nazionale, per evitare programmi di hacheraggio e di furti di dati sensibili, di brevetti industriali e di informazioni riservate è doverosa la creazione di cloud e di più stringenti difese contro i cyber attacchi.

La cyber security è la sfida più difficile nella transizione digitale e meccanismi di difesa stanno già realizzando, come il polo pubblico del Cloud  nazionale che potrebbe coinvolgere imprese pubbliche e private come Tim, Leonardo, Cdp e Sogei, impegnate in una pubblica gara.

3-INDUSTRIA 4.0

Il terzo pilastro su cui si basa la Transizione industriale è Transizione 4.0 (già  Industria 4.0 e già legge Sabatini) questa prevede crediti d’imposta e superammortamenti per le imprese che investono nella innovazione e automazione di macchinari in ottica ecosostenibili, nello sviluppo di nuove tecnologie e di nuovi processi produttivi.

La Transizione industriale è fondamentale per lo sviluppo di ogni Economia; occorre una serie di pochi punti realizzativi per rendere efficiente e sostenibile la nuova rivoluzione industriale:

– adeguata formazione per competenze sempre più necessarie mettendo al centro

gli Istituti tecnici Industriali;

– nuovi sconti fiscali permanenti che vadano oltre la durata dei governi e delle

Legislature;

– sconti fiscali per le imprese e i cittadini che riciclano e che rimettono nel circuito

produttivo i materiali da riciclo;

– bonifiche più veloci di siti inquinati, di corsi d’acqua e risanamento del territorio

e del dissesto idrogeologico;

– creazione di un ministero della Transizione industriale che accorpi le competenze attualmente divise tra diversi dicasteri;

– potenziamento del ruolo del Parlamento e del Copasir in materia di vigilanza

sulla cyber security;

– formazione sui rischi del digitale e della transizione digitali (messaggi spam e truffe on line con creazione di una superprocura sui reati digitali;

Questi punti sono essenziali per una Transizione industriale (transizione ecologica, digitale e industria 4.0) che metta al centro la

persona, i diritti di cittadino e di consumatore per un Pianeta sostenibile e che passi dai bla, bla bla a uno sviluppo efficiente, digitalmente, ecologicamente sostenibile e che riduca al minimo l’espulsione di personale lavorativo dai processi produttivi dovuta allo sviluppo tecnologico sempre più veloce e incessante.

*Umberto Amato, dottore magistrale in Giurisprudenza

PER UNA NUOVA POLITICA ECONOMICA NEL MEZZOGIORNO

Senza troppi giri di parole esiste un problema che va al di là degli investimenti del Pnrr, di cui ci siamo occupati più volte con ambiti di proposte concrete ed analisi di possibilità di risultato: un problema culturale. Se da un lato, infatti, esiste una macchina amministrativa disabituata a ragionare in termini di programmazione e risultati, dall’altra vi è una carenza nel tessuto imprenditoriale Campano, incapace o non messo in condizione di cogliere gli sviluppi che un mondo digitalizzato impone. In questo scenario si innestano varie distorsioni di un sistema mal funzionante che porta ai discutibili risultati in evidenza già prima del Covid ed aggravati dalla crisi pandemica. Con onestà di analisi, bisogna ribadire ancora una volta come sia indispensabile rivedere alcuni istituti di politica attiva sul lavoro ma che tali interventi non potranno, da soli, essere risolutivi delle tematiche attinenti allo sviluppo ed all’offerta di opportunità. Resta palese, ritornando al problema culturale, che diventa indispensabile uno scatto in avanti delle “istituzioni”, intese in ogni ordine, grado e particella costitutiva, attraverso l’adozione di un lavoro armonico e pianificato teso ad un reale rilancio territoriale: avere una visione, dunque, quale presupposto di una lunga e prolungata ripresa.

Non basta, quindi, investire in infrastrutture, seguendo politiche spot di carattere emergenziale, bensì diventa imprescindibile capire come queste poste di spesa andranno ad incidere sul sistema socio economico campano, rispettando le regole del come, del quando e del perché. Già in passato, infatti si è assistito ad azioni di “innesto” che non hanno prodotto gli effetti desiderati e che negli anni ’90 portarono, per insostenibilità, ad un vasto e troppo frettoloso programma di privatizzazioni, procurando una regressione repentina sia del mercato del lavoro campano sia del tessuto economicamente trapiantato. Non illudano, quindi, i risultati attuali che indicano una ripresa economica, in quanto il “rimbalzo” è un risultato effimero che ci porta a risultati di poco al di sotto di quanto espresso in tempi preCovid: dà coraggio, forse un po’ di respiro ma restano in piedi i numeri disarmanti che volevano la Campania come una delle peggiori regioni in Europa per numero di inoccupati, Neet e famiglie a rischio povertà.

A tal proposito resta attuale il piano strategico da noi prodotto lo scorso anno basato su una analisi delle peculiarità territoriali e sulle capacità e possibilità di sviluppo suddivise per macroaree territoriali. Al pari resta indispensabile che cambi la mentalità datoriale e che la stessa impari da quanto di buono realizzato anche in Campania con eccellenze che spaziano dal mondo del turismo alle alte tecnologie. Ribadiamo, per tali ragioni, la necessità di un continuo confronto tra istituzioni e realtà socio economiche territoriali perché, solo attraverso un piano condiviso e non imposto, si potrà disegnare una regione realmente all’avanguardia e performante.

*Umberto Amato

L’agricoltura del Sud risorge con l’innovazione

L’agricoltura in Italia ed in particolar modo nel meridione è stata da sempre elemento essenziale in chiave di sviluppo del territorio. Senza voler andare troppo indietro nel tempo, basti pensare che agli albori del XIX secolo, la maggior parte degli italiani viveva di agricoltura. Il sud era foriero di produzioni di eccellenza quali vino, olio e agrumi.

Il settore agricolo è da sempre stato soggetto a fortissime variazioni sia in termini di produzioni che di valore, e ciò ha comportato un graduale e costante impoverimento della classe contadina, che si è vista sempre maggiormente deteriorare il potere di acquisto, in favore della rendita fondiaria.

La storia ha da sempre insegnato che barriere protezionistiche rigide comportano quasi sempre l’impoverimento delle classi meno agiate, e in tale ambito i ricorsi storici sono piuttosto frequenti, si veda ad esempio ciò che comportò la svolta protezionistica di fine ‘800 a tutela dei prezzi del grano, che in realtà non fece altro che far partire molte azioni ritorsive da parte della Francia (allora il principale importatore di grano italiano).

Il XX secolo ha visto invece enormi cambiamenti sia nei sistemi produttivi (andando da produzioni estensive a produzioni intensive) sia nei mercati di sbocco (il mondo diventa lo scenario competitivo su cui operare).

L’agricoltura del sud Italia oggi sta attraversando una delle più grosse crisi mai registrate. Tale crisi ha portata talmente ampia da abbracciare diversi ambiti quali la comparsa di nuovi batteri (vedi Xylella), la comparsa di nuovi player sullo scenario competitivo, cambiamenti climatici che stanno stravolgendo la realtà per come la si conosceva, e a ciò si aggiunga l’intervento dell’uomo volto a violentare la terra, che prima era fonte di vita e oggi diventa sempre più fonte di morte.

È da questa profonda crisi che emerge la necessità e l’urgenza di intervenire provando a cogliere opportunità che non si palesano se non fortemente cercate. La nostra agricoltura è in fase di importanti scelte strategiche sia sotto il profilo dell’occupazione sia sotto quello della cura di interi ecosistemi a  salvaguardia del Territorio

L’economia agricola si è sempre scontrata con difficoltà enormi a reperire fondi (anche a causa di amministrazioni non particolarmente collaborative), non è riuscita mai a dotarsi di una classe manageriale capace di trainare le aziende del comparto verso nuovi orizzonti, perché poco propensa ai cambiamenti.

Eppure una via è stata tracciata già da qualche anno, e il tutto è convogliato in ciò che oggi viene definita come Agricoltura 4.0, che non è altro che l’integrazione tra ciò che sono le strategie tradizionali con le nuove tecnologie.

Il digitale di fatto già è ormai approdato nella filiera agroalimentare e ogni giorno escono novità capaci di cambiare radicalmente i paradigmi a cui il comparto agricolo faceva riferimento. I dati sono sempre più l’elemento da cui partire, ad esempio per poter conoscere le caratteristiche fisiche e biochimiche del suolo, così da impostare un tipo di coltura che maggiormente si confà a al terreno.

Agricoltura 4.0 significa anche tutela del territorio, dovuto per esempio all’utilizzo di tecnologie capaci di poter calcolare in maniera precisa qual è il fabbisogno idrico di una determinata coltura così da evitare gli sprechi (e pensate quanto questa tecnologia sia utile le regioni come la Sicilia in cui ogni estate si registra siccità ed emergenza idrica).

I prodotti agricoli italiani, così come tutti i prodotti del comparto agroalimentare, affrontano quotidianamente nello scenario globale l’annoso problema dell’italian sounding, che sempre più viene utilizzato in maniera impropria e fraudolenta per caratterizzare come un prodotto Made in Italy ciò che italiano non è (si pensi al parmesan invece del parmigiano reggiano). La tecnologia ci viene incontro anche in questo, con il sistema di Blockchain, che garantisce il consumatore finale certificando ogni singolo passaggio, dal campo al confezionamento garantendo ciò che arriva sulla propria tavola.

Tutte queste innovazioni non fanno altro che ridurre notevolmente il margine di errore, e consentono la realizzazione di una filiera sempre più corta capace di produrre alimenti di assoluta qualità, garantendo altresì una migliore sostenibilità ambientale.

Per poter attuare definitivamente questo cambio di prospettiva sarà fondamentale il ricambio generazionale (e i primi dati sono incoraggianti), con nuove leve capaci di affrontare le sfide che costantemente si pongono. Una misura interessante volta a sostenere il ricambio generazionale è il “primo insediamento” di ISMEA che fornisce contributi ai giovani under 40 che vogliano creare, strutturare e sviluppare nuove aziende agricole secondo i dettami dell’Agricoltura 4.0.

A suffragare tale esigenza, già esistono dei success cases di tre aziende del sud Italia vincitrici nel 2018 allo SMAU come migliori innovazioni.

Due delle tre aziende vincitrici sono campane (Berolà Distilleria Agricola e Azienda agricola vivaistica Pozzuto) e una è siciliana (Maruzza Cupane).

Azienda agricola vivaistica Pozzuto della provincia di Benevento si è specializzata in alberi micorizzati per la produzione di tartufi: su dieci ettari complessivi coltivati a tartufaie, grazie alle quali in un moderno laboratorio sterile seleziona le varietà di miceti eduli. Ed una serra completamente automatizzata, dotata di sensori, da dove escono gli alberi pronti per dare vita a nuove tartufaie “particolarmente indicate per la ricomposizione di versanti percorsi dal fuoco, ma anche per la riconversione di seminativi“;

Berolà Distilleria Agricola di Portico di Caserta, nata come spin-off universitario della Federico II di Napoli, ha coltivato tre ettari di frutteto con antiche varietà, come la “mela limoncella”, acquisite anche presso aziende amiche ed una distilleria, e hanno creato un prodotto che coniuga la scarsità della materia prima all’unicità nell’esperienza offerta. Tale prodotto punta ovviamente ad una clientela premium come i ristoranti stellati.

Infine, c’è Maruzza Cupane, della provincia di Messina, che mediante attua la coltivazione di 4 ettari di terreni sciolti ad avocado e mango 100% biologici. Tale coltura produce ulteriori vantaggi grazie alle innovative tecniche di drenaggio che consentono una migliore resa di altri 6 ettari di agrumeto. In tal caso i prodotti vengono venduti anche grazie a nuove tecniche di e-commerce.

Tutto ciò è dunque possibile laddove il mondo imprenditoriale agricolo incontra la ricerca, e sviluppa idee volte innanzitutto alla cura della madre terra, la quale ricompensa sempre chi la tratta bene con prodotti di qualità ineguagliabile. Le istituzioni devono intervenire in maniera sempre più decisa in difesa delle eccellenze italiane, senza arrovellarsi in inutili campanilismi che rendono solo un servizio ai competitor internazionali (si veda la contesa circa la registrazione del marchio “mozzarella” tra la puglia e la campania). Altro ruolo che devono ricoprire le istituzioni è quello di una sempre maggiore formazione delle nuove leve imprenditoriali, che dovranno avere i mezzi per affrontare tutte le sfide che si porranno. Gli operatori che lavorano nel mondo agricolo e nell’agroalimentare hanno bisogno di risposte e di soluzioni da parte della classe politica per questo settore. Pochi punti basterebbero per rilanciare questo settore e crearne un volano di crescita economica: censendo tutti i terreni incolti; sburocratizzando il settore depositando agli uffici comunale preposti la sola dichiarazione di inizio attività e l’ubicazione del terreno agricolo; no tax per 10 anni e detrazioni per l’acquisto di utensili necessari alla attività; detrazioni fiscali e una totale abolizione dell’Iva e di altre imposte; rilanciando la montagna e programmando piani di forestazione urbana e la creazione di orti cittadini e di piani agricoli cittadini.  Il settore primario è oggi più che mai essenziale per lo sviluppo tecnologico, nella innovazione della Nazione e per il Made in Italy nel Mondo.

*Umberto Amato, collaboratore Charta minuta