Stefano Lecca

EUROPEE: un’analisi del nuovo assetto politico

Le recenti elezioni europee hanno segnato un punto di svolta nel panorama politico italiano, con la netta vittoria di Fratelli d’Italia. Questo successo non solo ha ridisegnato le dinamiche interne del paese, ma ha anche avuto un impatto significativo a livello europeo, sottolineando una serie di tendenze emergenti e cambiamenti strutturali nella politica del continente. In questo articolo, esamineremo il trionfo di Fratelli d’Italia, il consolidamento del Partito Democratico, il declino del Movimento 5 Stelle e di altri movimenti minori, l’avanzata delle donne nella politica europea e la sconfitta delle politiche assistenziali e dei bonus a pioggia.

Il successo di Fratelli d’Italia e il suo consolidamento nella compagine di Governo

Fratelli d’Italia, guidato da Giorgia Meloni, ha ottenuto un risultato straordinario, diventando il primo partito italiano in queste elezioni europee. La crescita di Fratelli d’Italia è stata alimentata da una campagna elettorale incisiva, focalizzata su temi di sovranità nazionale, sicurezza e controllo dell’immigrazione. Questa capacità del partito di connettersi con l’elettorato, sfruttando una narrazione di rinnovamento e orgoglio nazionale, ha giocato un ruolo cruciale nel suo successo. Questo risultato non è solo una vittoria elettorale, ma un segnale di un cambiamento più ampio nell’orientamento politico italiano. Fratelli d’Italia ha saputo capitalizzare il malcontento diffuso verso le istituzioni europee, proponendo una visione di Europa basata sulla collaborazione tra Stati sovrani piuttosto che sulla centralizzazione burocratica.

La Resilienza del Partito Democratico

Per contro, parallelamente al trionfo di Fratelli d’Italia, il Partito Democratico ha mostrato una notevole resilienza. Nonostante le sfide interne e la concorrenza serrata, il Partito Democratico è riuscito a mantenere una posizione di rilievo nel panorama politico. Il partito ha puntato su una piattaforma pro-europeista, enfatizzando temi di sostenibilità, diritti civili e inclusione sociale. La strategia del Partito Democratico di presentarsi come il baluardo dei valori europei e di una politica progressista ha raccolto consensi significativi, specialmente tra gli elettori giovani e urbani. Questo posizionamento ha permesso al partito di rimanere competitivo e di rappresentare un’opzione credibile per coloro che cercano un’alternativa al nazionalismo di Fratelli d’Italia.

Il declino del Movimento 5 Stelle e dei movimenti minori

In netto contrasto con i successi di Fratelli d’Italia e Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle ha subito una pesante sconfitta. Il M5S, una volta forza dirompente della politica italiana, ha visto erodersi il proprio supporto, vittima di frammentazioni interne e di una perdita di identità politica. La mancanza di una chiara direzione e di una leadership forte ha contribuito al calo dei consensi. Anche altri movimenti minori, spesso caratterizzati da piattaforme populiste o antisistema, hanno registrato performance deludenti. La frammentazione del voto e la difficoltà di presentare programmi concreti e unificanti hanno penalizzato queste forze politiche, favorendo i partiti tradizionali che hanno saputo presentarsi come alternative stabili e affidabili.

L’Avanzata delle donne nella politica europea

Un altro elemento rilevante emerso da queste elezioni è l’avanzata delle donne nella politica europea. La figura di Giorgia Meloni, come leader di Fratelli d’Italia e simbolo di successo femminile in un contesto storicamente dominato dagli uomini, ha rappresentato un cambiamento significativo. Questa tendenza è riscontrabile anche a livello europeo, con un crescente numero di donne che ricoprono ruoli di leadership e influenzano le politiche comunitarie. L’incremento della rappresentanza femminile porta con sé una diversificazione delle prospettive e delle priorità politiche, promuovendo una maggiore attenzione a temi come l’uguaglianza di genere, la conciliazione tra vita professionale e familiare e la lotta contro la violenza di genere.

La sconfitta delle politiche dei Bonus e assistenziali a pioggia

Infine, uno degli aspetti più significativi di queste elezioni è stato il chiaro rifiuto delle politiche dei bonus e degli interventi assistenziali a pioggia. L’elettorato ha dimostrato una crescente insofferenza verso misure considerate temporanee e inefficaci, preferendo soluzioni strutturali e sostenibili. Fratelli d’Italia e Partito Democratico, seppur con differenze ideologiche, hanno entrambi criticato queste politiche, proponendo alternative orientate alla crescita economica, all’occupazione e alla stabilità finanziaria. Questo cambiamento di rotta segna una maturazione del dibattito politico, con una maggiore enfasi su riforme di lungo periodo piuttosto che su misure immediate ma prive di una visione strategica.

In conclusione, le elezioni europee hanno dunque delineato un nuovo scenario politico in Italia e in Europa. La vittoria di Fratelli d’Italia, il consolidamento del Partito Democratico, il declino del Movimento 5 Stelle e l’avanzata delle donne segnano un cambiamento profondo e articolato. La sconfitta delle politiche assistenziali a pioggia riflette una richiesta di maggiore serietà e progettualità nelle scelte politiche. In un contesto di crescente complessità, questi risultati offrono uno spunto di riflessione sulla direzione futura della politica europea e sulle sfide che attendono i nuovi protagonisti del panorama politico.

Si fa presto a dire “è gratis”

Si parla sempre più spesso di vulnerabilità cibernetica e altrettanto spesso ci si interroga su quali siano le azioni più pericolose che non dobbiamo compiere. La nostra vulnerabilità nasce principalmente da comportamenti apparentemente innocui che nello stesso tempo sono connotati di vantaggio e utilità. Sono queste le azioni più esposte ai malintenzionati poiché il nostro livello di guardia in quel momento è basso, anzi ci sentiamo al sicuro anche se di fatto non lo siamo. La vulnerabilità trova terreno fertile in tutte quelle azioni che il web ci concede di svolgere gratuitamente. Verrebbe da pensare subito ai social network nei quali tutti gli utenti riversano dati personali che spaziano dalla salute, ai gusti, alle emozioni, ai sentimenti, al sesso, alla fede, alle abitudini che nel loro insieme fanno da salvadanaio alle piattaforme di messaggistica e di network. Di fatto sono informazioni che dopo vengono vendute per fare un business mirato.

Per analizzare bene il problema, dobbiamo a questo punto fare un piccolo passo indietro e considerare il fenomeno della gratuità nella sua interezza e complessità. Proprio qui si nasconde un mondo ancora più vasto nel quale le minacce sono serie e di grande rilevanza. Se ci pensiamo bene, sono molteplici i servizi oggi offerti gratuitamente dalla rete e nello stesso tempo non sappiamo fino in fondo chi ci sia dietro a queste strutture. Se con Facebook, Instagram, Linkedin, Twitter, Telegram, Whatsapp l’invio dei dati è finalizzato all’ottenimento di un servizio social in cambio, dall’altro, l’invio di dati per ottenere il servizio di decriptazione o semplicemente per la creazione di un file di natura contabile, contrattuale, fiscale, amministrativo è ancora più pericoloso, infatti con l’ottenimento di questi servizi gratuiti si concedono informazioni concernenti la redditività, la produzione, la movimentazione bancaria, il prelievo fiscale, la clientela, la solvibilità, i fabbisogni e così via, tutti dati ed informazioni che di fatto mancavano – o quantomeno non rilevabili in modo così massiccio – dal panorama dei social network. Questo è il mondo della conversione dei dati da un file ad un altro e soventemente ci si abbandona alla rete cercando software gratuiti che convertano un XML in PDF o un PDF in file WORD.

Questi sono solo alcuni banalissimi esempi. L’elenco è lungo ed articolato che va dal JPG al GIF e così via. Nonostante molti siti istituzionali all’interno della loro area riservata mettano a disposizione questi software di conversione, gli utenti si affidano a siti dei quali non si conosce nulla o quasi nulla per convertire i file senza pensare minimamente che riversiamo dati molto importanti in mani ovvero in server a noi sconosciuti. Poiché fidarsi è bene e non fidarsi è meglio, sarebbe opportuno evitare una migrazione inconsapevole di dati economici e finanziari verso chissà quale archivio e in quale luogo del pianeta. Comunicare con intelligenza significa governare l’informazione da dare e da ricevere, quindi, facciamo molta attenzione quando scarichiamo un estratto conto dal sito della banca, una fattura elettronica dal sito dell’Agenzia delle Entrate o dal software di posta elettronica, utilizziamo i software esistenti nell’area riservata di queste piattaforme ed evitiamo di affidarci a conversioni messe a disposizione da siti non istituzionali. La minaccia è sempre dietro l’angolo, la truffa è sempre in agguato, quantomeno facciamo attenzione a non fornire noi stessi a chicchessia i nostri dati riservati.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e webmarketing

Lo sport italiano è sotto attacco dalla crisi energetica

Non vogliamo che i successi recentemente ottenuti alle olimpiadi del 2021 siano solo un bel ricordo per la nostra Italia dello sport. I successi degli azzurri in ogni disciplina sono il risultato di un’intensa attività sportiva che nasce dalle giovanili, dal dilettantismo, dalla scuola dei vari sport, da una cultura sociale viva. Non possiamo permetterci di buttare al vento quanto seminato per anni, la difesa della Nazione parte anche dalla difesa dello Sport. La crisi energetica dovuta sia alla limitata erogazione delle risorse nonché dal folle aumento dei prezzi al consumo stanno mettendo in seria difficoltà sia la filiera produttiva delle aziende di produzione di prodotti e servizi quanto le stesse famiglie che devono rivedere la distribuzione delle disponibilità liquide del proprio bilancio familiare. Si preannuncia un periodo molto difficile nel quale la crisi e la stessa speculazione faranno danni irreparabili in molti settori, alcuni dei quali nevralgici sotto il profilo sociale ed educativo come lo sport. Proprio così: la crisi energetica sta mettendo sotto scacco lo sport italiano. In buona sostanza lo sport rischia seriamente di implodere sotto la stretta energetica e di riverberare sul tessuto sociale tutte le problematiche emergenti come un macigno e possiamo così affermare che si sta configurando a tutti gli effetti un duro attacco alla nostra civiltà, non solo a quella dei consumi quanto alla comunità fondata sullo sport.

Lo sport è sotto attacco dalla crisi energetica e, in particolare, lo sport dilettantistico. È facile intuire che le società sportive nelle varie discipline di ogni ordine e grado fondano la preparazione dei propri atleti sugli allenamenti che giocoforza avvengono nelle ore pomeridiane, serali e di frequente anche notturne. Già questo aspetto fa comprendere quanto l’illuminazione di un impianto sportivo sia fondamentale – non solo per una gara ufficiale – quanto per gli stessi allenamenti. Qualcuno potrebbe suggerire di diminuire l’intensità della luce prodotta dall’impianto ma è utile sapere che le varie discipline sportive, per le gare ufficiali, richiedono un minimo di “lux” per svolgere la gara ufficiale al di sotto dei quali non è possibile giocare. Pur variando tra le varie discipline sportive, la riduzione dei “lux” (unità di misura della illuminazione artificiale), non è attuabile. Se da un lato non è proponibile tale riduzione per una gara ufficiale, una forte riduzione dei lux diventa difficile per mantenere una qualità accettabile anche durante gli allenamenti, che settimanalmente, spesso giornalmente, si svolgono presso tutti gli impianti sportivi. Lo sport è sotto scacco, proviamo a pensare non solo al calcio a 11 o al calcio a 5, ma alla pallacanestro come alla pallavolo, al tennis come all’atletica leggera, alle arti marziali come al nuoto, alla pallanuoto come all’hockey, alle bocce come al ciclismo su pista o alla scherma solo per fare degli esempi. Lo sport non professionistico è tenuto in piedi dai volontari e dagli sponsor minori, talvolta è autofinanziato da chi lo pratica come nel caso dello sport amatoriale e, tutti di fronte ad un aumento sconsiderato dei costi per l’energia si trovano di fronte ad una enorme incognita: CONTINUARE o CHIUDERE ?

Gli impianti sportivi per la quasi totalità sono di proprietà pubblica come Comuni e Province e il costo dell’illuminazione incide sulle tariffe di affitto dell’impianto sportivo e un numero sempre più alto di società non sono più in grado di sostenere tali spese portando le stesse società a dover valutare se resistere per esistere, oppure scomparire. Se sommiamo il consumo dell’energia elettrica al consumo del riscaldamento degli spogliatoi e al consumo dell’acqua calda delle docce è facilmente immaginabile che se non ci sono adeguate risorse economiche lo sport dilettantistico e amatoriale è destinato un po’ ovunque a gettare la spugna e a chiudere i battenti. A chiudere saranno tutte quelle piccole realtà dilettantistiche di periferia, dei piccoli centri urbani, dello sport praticato presso strutture (palestre, piste o terreni all’aperto) di proprietà comunale che già hanno serie difficoltà a far tornare i conti e che soprattutto non possono fare più beneficenza come succedeva molti anni addietro. Sotto il profilo sociale si prospetta un grande pericolo che per decenni è stato evitato, infatti, le società di periferia e le piccole squadre fatte per i giovani, per la ricreazione, per la convivenza sociale, per valorizzare lo sport sia di squadra che individuale sono messi a dura prova dall’impossibilità di reggere i costi da parte delle società sportive. Una situazione che se protratta nel lungo periodo potrebbe generare tensioni sociali e devianze nei giovani che trovandosi senza riferimenti sportivi locali la loro alternativa dopo la scuola o il lavoro è rimanere a casa senza la possibilità di socializzare per mezzo dello sport. Un danno sociale incalcolabile. Siamo in un momento storico economico in cui le piccole e medie aziende non riescono più a finanziare e sopportare le spese delle società sportive, la crisi di mercato nonché la crisi delle famiglie non riescono a garantire il minimo per poter pagare ai propri figli la possibilità di fare sport. L’aumento indiscriminato del costo dell’energia elettrica porta i bilanci delle società sportive ad un inevitabile dissesto che si tramuta non solo nella chiusura dell’attività quanto al venir meno del servizio sociale. La crisi energetica, se non arginata, sarà a pieno titolo la causa del nostro decadimento sociale, del decadimento del benessere fisico e ciò comprometterà il proseguo di una socializzazione – specialmente tra i giovani – già messa a dura prova dalla pandemia che ci ha portato a più riprese a stare forzatamente tra le mura domestiche.

Un rapporto causa ed effetto a dir poco pericoloso e in grado di produrre un risultato talmente negativo che la nostra società e la nostra economia non sono in grado di affrontare con successo. Lo sport è sotto attacco, per questo siamo tutti chiamati a fare l’impossibile per salvarlo, solo in questo modo salveremo lo sport, la nostra Patria e il futuro delle prossime generazioni da una disfatta sociale preannunciata.

Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e webmarketing

La Televisione nella “nuova” comunicazione di massa

La televisione in questi ultimi venti anni ha pagato a caro prezzo la concorrenza mediale sempre più agguerrita tra canali televisivi tematici e non ultima con la cosiddetta “radiovisione”, un prezzo ancora più salato se mettiamo in conto la accanita concorrenza del web all’interno del quale i social e i blog hanno fatto la vera parte del leone. La comunicazione si è profondamente modificata negli strumenti e nello stesso tempo in questa battaglia mediale gli strumenti più tradizionali utilizzati dalle Aziende Radiotelevisive si sono proiettate sempre più verso una comunicazione emozionale. Il campo delle emozioni è oggi il terreno più propizio ma, nella rincorsa alle emozioni per carpire i pubblici, la televisione ha abbassato notevolmente la qualità dei palinsesti compromettendo giocoforza la stessa qualità dei messaggi. Per arrivare a comprendere meglio il fenomeno occorre fare una parentesi sul web ed in particolare sui social network.

I social di maggiore impatto ed uso si sono trasformati in vere e proprie piazze virtuali nelle quali le persone dapprima si sono rapportate con egocentrismo e con buona socialità di scambio, nell’ultimo periodo invece, coincidente nei due anni pandemici, il web si è trasformato in un grande ring dove le persone, talvolta anche quelle colte, sono arrivate ad insultarsi, ad offendersi, a minacciare e spesso hanno dato lavoro alle aule giudiziarie dei tribunali, o quanto meno, nella migliore delle ipotesi, (se così si può dire) a forti penalizzazioni associative causate da espressioni a dir poco irriguardose verso terzi, compromettendo spesso la propria integrità morale o nella migliore delle ipotesi di immagine reputazionale. È qui che la televisione cerca di riprendersi il pubblico e gli ascolti, nel momento in cui i social corrono ai ripari cercando di controllare gli scontri tra le persone che cominciavano ad avere comportamenti connotati – solo per gli addetti ai lavori – di pericolo sociale.

I social network hanno preso in mano la situazione ed hanno gestito l’informazione portando giorno dopo giorno i dissidenti a depotenziare la presenza nella rete perché oggetto di azioni di blocco, di sospensione o addirittura di cancellazione dell’account. Da qui in poi le Televisioni hanno compreso che i social stavano spianando loro la strada al punto che la presenza di analisti in rete si è fatta più consistente al fine di intuire per primi quali fossero le argomentazioni più coinvolgenti ed attrattive nei social network per poi riportarle nell’etere. Pochi anni fa pensavamo che la televisione avesse toccato il suo punto più basso, si parlava di televisione e dei primi programmi trash ma, se in quel momento pensavamo di aver toccato il fondo, oggi cosa dovremmo dire? Infatti, se i programmi degeneravano nella loro qualità altrettanto si poteva dire che il pubblico ne subiva passivamente gli effetti devastanti sotto il profilo culturale. Negli ultimi tempi siamo stati subissati da una serie di programmi televisivi dove il confronto, la disputa, la lite hanno preso il sopravvento diventando un format vincente verso il quale l’utente a cui era rivolto il programma televisivo prestava e presta ancora molta attenzione. Con l’attrazione emotiva, il forte coinvolgimento psicologico sono nati i primi programmi di basso contenuto, alcuni dei quali veramente assurdi, basta pensare agli storici programmi di analisi e contestazione calcistica che nulla avevano a che vedere con lo sport, precursori di programmi attuali assimilabili alla spazzatura della comunicazione televisiva.

Oggi per effetto della pandemia le televisioni di ogni tipo e struttura sono riuscite a reinventarsi programmi nei quali gli invitati pro e contro si danno battaglia sovrastandosi sonoramente uno sull’altro mentre parlano fino a raggiungere con urla e gesti l’apoteosi della maleducazione, e questo la maggioranza delle persone inconsciamente lo apprezza – come dimostrano i dati dell’ascolto televisivo – e la minoranza lo disprezza apertamente, quindi ne parla ugualmente, conferendo involontariamente notorietà. Per chi analizza il fenomeno, tutto ciò fa comprendere che la richiesta da parte della massa è quella di farsi propinare programmi ad alto contenuto litigioso. Chi non ricorda il famoso detto, (mai come in questo caso calzante a pennello): “Parlare bene o parlare male, l’importante è parlarne”. Se poi analizziamo il programma nel dettaglio, le interruzioni, il parlare contemporaneamente sviliscono l’informazione la quale diventa spesso incomprensibile e lo spettatore non ne trae nulla di proficuo. L’ultimo periodo ne è l’esempio tangibile, infatti nel momento in cui parliamo di pandemia da virus, di vaccini si e vaccini no, Greenpass si o Greenpass no, subito emerge dai talkshow che il piano editoriale è a dir poco raccapricciante, eh sì, perché il popolo televisivo vuole questo e allora le televisioni si sono inventate i dualismi come fosse un ring e i confronti diretti tra no-vax e si-vax oppure tra si Greenpass e no Greenpass, virologi contro virologi e chi più ne ha più ne metta e così la battaglia crea disinformazione perché nel momento in cui si alza l’asticella della lite il popolo aumenta l’attenzione e guarda caso, proprio in quel momento cosa succede?

Il conduttore televisivo stoppa chi parla – specialmente se non è in linea con la redazione – mandando in onda la pubblicità. Tutto architettato in un piano editoriale di business che prevede disturbatori, sobillatori e vittime. Con questo modo di operare, notiamo quanto la manipolazione e il controllo dei messaggi da lanciare raggiungano livelli inaccettabili. Mai come in quest’ultimo anno si è potuto constatare che la televisione ha preso a pieno titolo il comando della comunicazione mediale sovrastando anche gli stessi social perché dobbiamo ricordare che i social hanno di fatto smorzato qualsiasi tentativo di esternazione dell’essere pro o contro qualsiasi tematica afferente la pandemia, il virus, il vaccino o argomenti simili. Quindi i social forti del controllo dei contenuti ad opera delle stesse piattaforme che hanno disincentivato molti utenti portandoli ad abbandonare l’agone di internet, hanno lasciato terreno libero all’informazione televisiva nonché il libero arbitrio alla disinformazione televisiva. Questo è un dato che emerge in modo eloquente e spietato, tutti noi siamo colpevoli di questa evoluzione del sistema di comunicazione che oggi trova linfa vitale nelle emozioni, quelle emozioni forti determinate dall’odio, dalla lite, dalla frustrazione, dal sentirsi liberi di offendere, cosa che ti si ritorce contro nella comunicazione bidirezionale dei social e non in quella unidirezionale televisiva che i dati confermano come fortemente apprezzata. L’informazione dovrebbe essere equilibrata dovrebbe essere come direbbero molti politologi “in stile di par condicio”, invece non lo è, si preferisce creare zizzania, creare attrito, creare beghe, creare lite, questo è il leitmotiv della televisione oggi, televisione che mette totale confusione e mette paura, tutto l’opposto del fornire una serena, corretta informazione.

È sotto gli occhi di tutti il profondo decadimento della comunicazione mediale televisiva che mette in luce la triste realtà di una società piena di contrasti autoalimentandosi come un avvoltoio solo di emozioni negative, sfruttando, come nel caso della pandemia dei nostri tempi, la paura o peggio il terrore delle persone.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e web marketing

il digitale, autentico “VULNUS” della Privacy

Oggi il digitale è ovunque: tutto è digitalizzato. La nostra vita è legata al digitale anche per funzioni che non avremmo mai pensato potesse essere necessario. Non esiste settore, ambito, servizio o attività che non sia digitalizzato. Si è passati nell’arco di pochissimi anni dall’analogico al digitale, dal fisico all’artificiale e ora siamo nel bel mezzo dello sviluppo “phigital“, una vera e propria commistione dei due mondi uomo e macchina, ovvero quella simbiosi tra bio e tecno oramai inseparabili. I progressi sono veloci e sono sotto gli occhi di tutti, solo per fare degli esempi possiamo citare la domotica, la comunicazione, l’automotive, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e così via… Tutto ciò ci deve far comprendere che il mondo della digitalizzazione è una moneta dalle due facce, di cui una mostra il progresso, la positività, la modernità, lo sviluppo, e l’altra invece mette in evidenza una serie di importanti insidie. Non è esagerato affermare che, in quest’altra faccia, il digitale è il terreno di gioco dove ci si può imbattere in avversari, concorrenti, speculatori, Stati nemici, criminalità, o malaffare.

Questo può succedere anche a nostra insaputa perché la tecnologia digitale è lo snodo di tutte le informazioni, da quelle strettamente personali a quelle strategiche, da quelle di rilevanza economica fino a quelle secretate riferite all’industria, all’innovazione, alla difesa, alle Istituzioni. La maggior parte delle persone si sofferma ad attenzionare il Personal Computer, lo smartphone, la radio, mentre occorre prendere coscienza che il VULNUS alla Privacy e ai dati sensibili può arrivare anche da ambienti e strumenti ai quali diamo minor importanza prestando così il fianco alla nostra vulnerabilità. Gli ambiti e gli strumenti coinvolti sono innumerevoli e di esempi se ne potrebbero fare altrettanti ma, un esempio su tutti per rendere chiaro il pericolo e far comprendere su che scala opera, è il mondo dell’automobile oggi chiamato automotive: Già oggi le auto sono sufficientemente attrezzate sotto il profilo informatico e della componentistica digitale e se cominciamo ad osservare il settore che si proietta verso il 2030 – 2035 con auto solo elettriche e con accessoristica di alta digitalizzazione è facile intuire quanto importante stia diventando lo strumento “auto” non solo come mezzo di trasporto ma anche come strumento di comunicazione. Tutte le auto grazie anche alle normative vigenti in termini di guida handfree sono dotate di bluetooth e di un dispositivo “connect” per garantire la migliore comunicazione tra conducente e veicolo e tra conducente/trasportati con l’esterno.

Il futuro, grazie a tutte le implementazioni digitali e all’alimentazione elettrica, sarà possibile comprendere che quanto accade e viene detto oggi all’interno dell’auto sia memorizzato nel cloud e il database generato e unito a quello già presente nello smartphone, costituisce un mix incredibile di informazioni altamente vulnerabili. Chi avrebbe mai pensato che l’auto un giorno sarebbe diventata uno strumento di comunicazione e nello stesso tempo un pericolo per la privacy personale, aziendale e, in taluni casi, anche istituzionale? Proviamo a pensare a tutte quelle informazioni che possono essere memorizzate, copiate, riprodotte, hackerate o modificate come l’impronta digitale o il riconoscimento facciale per aprire l’autovettura? Se poi congiungiamo gli stessi dati con quelli per l’accesso al proprio smartphone il gioco è fatto. Proviamo a pensare inoltre che il nostro volto sia facilmente riproducibile in termini digitali avendo a disposizione delle immagini televisive, oppure che sia presente in un video salvato nel nostro smartphone o più comunemente il nostro volto sia immortalato nel profilo di uno dei social. Fantascienza? NO! Realtà. Il phigital è tra noi e ci seguirà ancora per moltissimo tempo. Oggi come sopra evidenziato, i dati ci possono essere copiati, rubati, modificati non solo dalla memoria del personal computer o dallo smartphone per mezzo di una connessione wifi, ma anche grazie alla interconnessione bluetooth dei dispositivi presenti nell’auto che possono essere attaccati con più facilità attraverso il sistema digitale dell’auto stessa. Basti pensare a tutti i dati che non sono crittografati come le mail, i numeri di telefono, gli indirizzi ed altro ancora. Dobbiamo porre molta attenzione e provare ad immaginare che, oltre ai dati sensibili e personali, il database contenga dati di accesso alle banche, alle carte di credito, ai siti legati alla salute, al fisco, alla previdenza alle bollette del gas e della luce e magari quella linea telefonica è anche direttamente collegata al PC aziendale o dell’ufficio di una pubblica amministrazione. In questo modo per un hacker, o malintenzionato che sia, si apre una autostrada verso i server da attaccare e i danni possono essere ingenti e di importanza strategica.

I nostri dati sono in pericolo non solo nei social o nel web in generale, ma anche quando siamo all’interno dell’auto se non si prendono le dovute precauzioni. La sicurezza parte da lontano e la protezione dei dati nasce sin dalla progettazione dell’auto e dalla sua impostazione predefinita. Serve quindi un adeguato processo di “schematizzazione” dell’auto, di controllo dei software e, soprattutto in molti casi, di strumentazione e di microchip che provengano da aziende sicure – lo stesso principio spesso tirato in ballo per i produttori di smartphone – perché anche l’auto rientra a pieno titolo come strumento di comunicazione dati capace di mettere in ginocchio la sicurezza personale o collettiva, insomma, un potenziale pericolo a tutti gli effetti.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e web marketing

Dal virus biologico al virus digitale, il passo è breve

Oggi il virus che destabilizza interi popoli del globo si chiama covid-19 e colpisce, sotto il profilo sanitario, il “fisico” delle persone. La sua origine – secondo quanto è stato diffuso da informazione e controinformazione – è principalmente di natura “biologica” e che già nel 2015 si studiava in laboratorio. Manipolazione, incoscienza, premeditazione, predeterminazione e tanto altro ancora. Il discorso diventerebbe troppo lungo ed articolato e addentrarsi nell’analisi che ne seguirebbe distoglierebbe l’attenzione da alcuni aspetti altrettanto importanti.

Quello che dobbiamo rilevare è che tutto ciò che è accaduto fino ad oggi deve servire di lezione e di monito a tutti. Potrebbe essere una prova generale? Forse si o forse no. Non ci sono certezze e comunque non serve essere dei complottisti per comprendere quanto sia in pericolo non solo la sicurezza fisica e psichica dell’uomo quanto quella digitale e virtuale dell’intera società mondiale. Infatti oggi è il covid-19 a seminare paura, incertezza, terrore, scontri sociali, crisi economica, morte, instabilità, proteste, oscurando tutti quei mali che fino a ieri hanno messo in apprensione il mondo intero quali il terrorismo, l’inquinamento e le tempeste finanziarie.

Fenomeni questi che esistono ancora ma non sono più enfatizzati dalla comunicazione e dalle luci della ribalta mediatica. Ora quanti stanno ponendo l’attenzione su un ipotetico virus non biologico, ovvero su un virus digitale, informatico? Solo qualche addetto ai lavori, operatori di intelligence, visionari o semplicemente qualche lungimirante. Proviamo ad immaginare un mondo ancora più schiacciato dalle restrizioni e dagli obblighi determinati dalla lotta alla “pandemia da virus biologico” e presto ne ricaveremo uno scenario raccapricciante, degno di una trama da film horror e fantascienza in chiave apocalittica.

È di questi giorni l’ennesimo grido di allarme lanciato a ragion veduta dalle istituzioni. Vediamo il perché. Oggi il lavoro da casa grazie al cosiddetto smartworking ha preso forte consistenza e milioni di lavoratori si connettono via WIFI al server della rete aziendale. Il lavoro da casa permette a molti lavoratori di non assembrarsi in azienda ma, se da un lato contrastiamo il virus “biologico”, dall’altro ci apriamo al mondo digitale abbassando la guardia sulla sicurezza informatica. È provato, infatti, che quasi il 99% delle connessioni internet presenti nelle case sono vulnerabili per inesistenza di password o password deboli facilmente attaccabili e, nella peggiore delle ipotesi, anche i software antivirus di molti terminali non sono aggiornati o addirittura non sono nemmeno installati.

La condivisione di dati da un ID all’altro con questo livello di vulnerabilità comporta un rischio enorme per la sicurezza digitale, direi inimmaginabile, infatti ogni qualvolta che ci si connette alla rete si apre una autostrada verso il server dell’azienda che ha in archivio dati commerciali, dati sensibili del personale, dati finanziari, dati fiscali, dati sui prodotti e sui servizi, dati strategici e segreti. In un batter d’occhio sono a rischio milioni di dati aziendali in favore dello spionaggio industriale. Una filiera produttiva violata che, sia questa dell’auto motive o della moda poco importa, tale violazione potrebbe mettere in ginocchio un’intera economia nazionale. La “pandemia biologica” in questi 18 mesi ha prodotto un altro fenomeno di dimensioni globali che potrebbe mettere a forte rischio la sicurezza digitale. È facilmente intuibile che mi riferisco alla sempre più massiccia pratica dell’acquisto online.

Un fenomeno questo che provoca una spaccatura tra il mercato fatto di negozi di vicinato, di aree mercato all’aperto, di piccoli centri commerciali e outlet che vedono ridursi drasticamente la domanda e il mondo dell’e-commerce fatto piccoli, medi e soprattutto da giganti marketplace che ne traggono vantaggi milionari. Fino a qui è stato analizzato l’impatto economico e sociale, ma dietro a questo si nasconde la vulnerabilità della rete che porta direttamente alle movimentazioni bancarie fatte di pagamenti ed incassi. Ogni giorno scopriamo che da un codice di accesso si passa all’inserimento della seconda password, da questa al token auto generatore di codici, poi si giunge alla conferma telefonica e chissà cos’altro nel tempo dovranno aggiungere per migliorare la difesa informatica. Tutto ciò accade perché le banche scoprono continui bug informatici e cercano di adeguarsi, le norme seguono a ruota per evitare il peggio, ma una cosa è certa: tutte queste transazioni in un sistema colabrodo come sopra descritto sono a forte rischio. Bastano solo questi due scenari per comprendere quanto sia ghiotto alla “malavita internazionale” il furto dei dati. Altra attività che ha goduto di un autentico boom grazie alla “pandemia da virus biologico” è quella delle riunioni online in video conferenza su piattaforme che inizialmente sono state attaccate con interferenze da malintenzionati di basso livello.

Inutile sottolineare quanto anche questa pratica della comunicazione online fatta di video e condivisione di documenti sia appetibile agli attacchi hacker ma ciò che più importa è che questi nuovi canali di comunicazione costituiscono una nuova ed ulteriore serie di porte di accesso all’immenso mondo della transazione dei dati. Questa “pandemia da virus biologico” è micidiale, ci fa stare a casa ed abbiamo imparato a divertirci da casa senza andare più al cinema, a teatro, allo stadio, quasi assuefatti tra tamponi, contagi e green pass, preferiamo stare a casa a guardare la TV e fare zapping sulle piattaforme a pagamento. Adesso tutti utilizzano rigorosamente il WIFI dalla telefonia alle TV e con un click si rinnova l’abbonamento o lo si modifica.

Dati che vanno e che vengono col WIFI nell’insicurezza più totale. E che dire della Pubblica Amministrazione? E di pochi giorni fa l’attacco informatico al sistema dei server della Regione Lazio. Un recente rapporto citato nel dibattito parlamentare afferma che il 95% degli Enti pubblici è a rischio attacco, è vulnerabile, le piattaforme informatiche spesso sono inadeguate e presentano dei limiti strutturali che si sommano alle vulnerabilità del cittadino – rete WIFI, password, ecc.. – che invia online il 730, la dichiarazione dei redditi, si iscrive ai concorsi, richiede il rinnovo dei documenti, chiede l’appuntamento con il medico di base o semplicemente si scarica il referto medico.

Tutto ciò ci deve portare a fare un nuovo serio ragionamento. Ma se ad essere attaccate in modo massiccio fossero le istituzioni più strategiche dello Stato come quelle nell’ambito militare, del commercio internazionale, delle strutture sovranazionali? Ma se tutto questo fosse finalizzato a fossilizzarci a casa? Se tutto fosse mosso per farci assuefare dallo stare forzatamente a casa e non per il semplice bisogno di stare all’interno delle mura domestiche? E se tutto ciò fosse una guerra? E se le armi fossero solo digitali e non più armi da sparo? Siamo pronti a difenderci o siamo impreparati? Le domande sono lecite. I dubbi altrettanto. E allora chi sta muovendo i fili di tutto ciò?

A questo punto proviamo a pensare ed immaginare che dopo una serie di prove di attacchi informatici venga lanciato un attacco cibernetico su scala nazionale o addirittura internazionale. Proviamo ad immaginare un blackout informatico su larga scala. La interconnessione delle reti è a un punto tale che qualsiasi attacco importante e mirato alle banche dati creerebbe un’apocalisse nazionale o internazionale. Sembra fantascienza ma purtroppo non lo è perché una così ampia vulnerabilità potrebbe far fermare la produzione nelle aziende, potrebbe fermare le torri di controllo, le ferrovie, potrebbe fermare l’approvvigionamento alimentare, potrebbe fermare l’erogazione di servizi come acqua, gas, luce o fermare tutti i semafori come i telepass delle autostrade migliaia di servizi dai quali dipendiamo quotidianamente. Potrebbe interferire pericolosamente nelle basi militari, nella erogazione dei carburanti, negli ospedali. È evidente che occorre prendere in mano la situazione e creare una task force digitale per anticipare eventuali attacchi di simile portata, creare un ambiente di filtri e di contrasto che quanto meno evitino il peggio.

Il nemico arriva dalla rete e non sappiamo cosa abbia in mente, quale sia il suo vero obiettivo e quale sarà il prossimo, il fenomeno del ramsonware è solo che l’inizio e noi tutti saremo sempre più vulnerabili quanto maggiore sarà la nostra dipendenza dal digitale causata da un lato dalla “pandemia da virus biologico” e dall’altro dall’uso quasi ipnotico dei social. Quest’ultimo, ma non per importanza, altro punto debole della società interconnessa poiché basterebbe un cavallo di troia ben congegnato per metterci tutti a terra. Ben venga quindi in Italia l’Agenzia per la cyber sicurezza nazionale per prevenire e arginare eventuali attacchi.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e webmarketing

 

Anche i social fanno politica

Da qualche anno a questa parte anche nel mondo dei social molte cose sono cambiate. Circa 12 anni fa – era il 2009 – cominciai ad interessarmi di comunicazione e di social network proprio nel momento in cui le principali piattaforme si convertivano anche alla lingua italiana. Un mondo affascinante ed interessantissimo che si presentava colmo di opportunità, un mondo ancora libero da condizionamenti che ahimè di lì a poco sarebbero emersi nella loro piena virulenza. Originariamente i dati che ci venivano richiesti si limitavano all’indirizzo mail, al nome e cognome. Tutto apparentemente gratuito e, infatti, in una sorta di baratto inconsapevole, le piattaforme social concedevano l’uso a fronte di una sempre più completa informazione su noi stessi. Oggi gli utenti del solo Facebook ammontano a circa 3 miliardi di persone (account) e il trend di crescita non accenna minimamente a rallentare. In questi ultimi due anni gli occhi sono stati puntati principalmente sull’utilizzo dei dati personali raccolti da questi social network, azioni lecite e talvolta poco chiare che hanno permesso loro di lucrare a dismisura. Si dice poco invece dell’altro fenomeno che i social hanno messo in campo proprio negli ultimi due/tre anni e qui mi riferisco al condizionamento politico. È proprio così: oggi queste piattaforme costituiscono la principale fonte di indottrinamento politico su scala mondiale. Quel condizionamento politico ed ideologico che incide già alla base, sul territorio dei piccoli centri fino ad interferire nelle politiche nazionali ed internazionali. La potenza di fuoco di queste piattaforme social è capace di destabilizzare un consiglio di quartiere quanto una leadership di un capo di Stato. Tutto ciò è a dir poco terrificante. Siamo prossimi al controllo del pensiero politico e al controllo sulla attività delle istituzioni. Qualche evento si è già verificato, ma a mio avviso siamo solo che all’inizio. Dopo il controllo economico ed il controllo psicologico, ora è il momento del controllo politico. Entriamo nel merito dell’aspetto politico – non perché gli altri non siano importanti – ma perché degli altri aspetti se ne sente già parlare a tutti i livelli. Oggi, quando su Facebook si citano soggetti, azioni o idee in controtendenza o non filogovernative – ovvero – contrarie al potere democraticamente costituito del singolo Paese o non allineate al grande pensiero su scala mondiale, si viene “bannati”, puniti, sospesi, e talvolta esclusi o radiati. Partiamo da Twitter che senza appello eliminò definitivamente sia il profilo privato sia quello presidenziale di Donald Trump. Seguirono a ruota nella stessa procedura, Facebook, Instagram, Snapchat e Twich. Ciò che lascia interdetti sono le motivazioni addotte dall’Azienda di San Francisco che ha giustificato la decisione intravvedendo il “rischio di istigazioni alla violenza”. Con questo precedente, Twitter ha fatto una scelta editoriale proprio come un qualsiasi quotidiano di regime fa nei confronti di chi si schiera politicamente su un versante politico opposto. I contenuti cominciano ad essere filtrati e in base all’orientamento o meno filogovernativo, affermazioni pro o contro alcuni temi di politica e finanza internazionale vengono esclusi seguendo la linea editoriale della piattaforma social. La nuova editoria social è fonte e nello stesso tempo lo strumento del pensiero politico che sta monopolizzando l’informazione di sistema mettendo a tacere tutti coloro che non sono in linea col conclamato pensiero dominante. Ecco che da qui, come per reazione, nascono i social in controtendenza e una moltitudine di TV, radio web, gruppi e canali video che trasmettono e divulgano la cosiddetta contro informazione. In Italia sono molti i casi di diffida inflitta dai social a famosi giornalisti che si trovano ogni giorno a combattere con i colossi del web tra una diretta interrotta e una sospensione settimanale. Gli Algoritmi impostati da mani e menti umane sono programmati per gestire keyword ed espressioni non gradite e, pertanto, da non diffondere nella rete, influenzando gravemente sulla libertà di pensiero e di espressione. Questo è un processo che va ben aldilà del controllo della violenza sul nascere che sia essa fatta di insulto verbale o di istigazione. Questi sono solo alcuni dei casi che si verificano nelle cosiddette democrazie nelle quali la libertà di pensiero e di espressione non dovrebbe essere intaccata, ma al contrario assistiamo inermi a violazioni continue della libertà di espressione. Le grandi aziende che gestiscono i social sono oggi a tutti gli effetti degli editori su scala mondiale che modellano il pensiero politico delle masse secondo delle linee guida ben precise. TV, radio e carta stampata hanno lasciato il campo alla informazione social che orienta gli elettori nelle varie consultazioni elettorali lasciando nell’album dei ricordi i megafoni, i comizi e le tribune elettorali. Ma quanto sta per accadere pochi se lo aspettano e occorre fare attenzione. A breve, se non si mette un freno, i social daranno il cosiddetto colpo di grazia alla politica partecipata, al candidato che divulga il suo pensiero, che fa conoscere le sue proposte, perché a breve i social toglieranno la “informazione geolocalizzata” – funzione molto importante per chi fa politica su un piccolo territorio – facendo in questo modo disperdere i vari messaggi politici. I social che sono autentiche macchine finanziarie faranno pagare denari sonanti a chi vorrà fare la propaganda politica mirata, anche se non avrà più gli stessi effetti dirompenti del passato. Questo sarà un passaggio epocale che dovrà essere esaminato, regolamentato e normato velocemente prima di trovarci irrimediabilmente legati mani e piedi al sistema del “PARTITO dei SOCIAL”, quel partito selezionatore delle informazioni da divulgare nonché manipolatore di massa.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e webmarketing

“I paradossi dell’Italia in epoca Covid-19”

L’Italia ancora oggi danza tra Regioni in zona arancione ed altre in zona rossa come fosse vestita da arlecchino.
Fino a qui nulla di sorprendente.
Il virus viene monitorato per macro aree con indici che si differenziano da zona a zona.
Fino a qui niente di nuovo.
Scendendo nel dettaglio scopriremo invece molte incongruenze.
Il divieto di transito da un Comune all’altro e da una Regione all’altra vengono meno nel momento in cui ci si trasferisce per motivi di lavoro, studio, salute o altra necessità.
Fino a qui tutto apparentemente come previsto.
Ma attenzione, se abbiamo prenotato un soggiorno all’estero, per esempio in Portogallo, essendo questo Stato catalogato in zona C, non serve alcuna motivazione per spostarsi.
Si, proprio così, si può andare per turismo in Portogallo e in molti altri Stati dell’Unione Europea salvo adempiere alle restrizioni di quel Paese di destinazione.
Quindi se noi volessimo andare a fare un giro turistico non potremo andare da nessuna parte in Italia, ma al contrario all’estero sì.
E che dire se si volesse andare a pranzare a San Marino?
Se hai prenotato nessuna limitazione perché lo Stato di San Marino è inserito in fascia A!
Il comparto turistico italiano è già colpito duramente, se poi ci aggiungiamo questi distinguo non rimane nemmeno la forza per arrabbiarsi.
Solo per fare altri piccoli e brevi esempi veniamo alla ristorazione, comparto altrettanto bastonato che per riuscire a sopravvivere come attività si è costretti a gestirsi l’asporto, oppure se si è tra i più fortunati ad avere l’attività in una zona produttiva, di transito e con ampio parcheggio ci si può permettere il cosiddetto “servizio mensa” che non è altro che il servizio di ristorazione per le partite IVA ed i suoi dipendenti dopo aver sottoscritto una convenzione.
Ma se si è un semplice e “miserabile” proprietario di un locale di ristorazione che ha sempre aperto a cena, magari in zona ZTL, con l’offerta di un menù raffinato orientato ai palati fini, oppure ha orientato il proprio business agli eventi come le cerimonie, allora, in tutti questi casi ti fanno diventare miserabile a tutti gli effetti.
E cosa dire del settore dell’abbigliamento?
Qui invece ci vuole un genio per comprendere le motivazioni di una serie di incredibili distinguo. Se vendi intimo, pigiami e articoli per l’infanzia puoi tenere aperto il tuo negozio al dettaglio, ma se per tua sciagura vendi solo maglieria, confezione, capospalla per uomo e donna devi tenere chiuso. Se sei un ingrosso puoi invece tenere aperto.
Ma veniamo agli ambulanti, anche se avete intimo, pigiami e articoli per l’infanzia restate a casa perché all’aria aperta siete pericolosi.
E’ una battuta ironica, lasciatemela passare.
Questo è solo un piccolo spaccato dell’economia italiana, del commercio al minuto fatto di piccoli e medi imprenditori che lavorano sodo e che hanno una sola colpa: essere in proprio.
Il virus c’è ed è nascosto ovunque ed entra in azione a qualsiasi ora, ma è altrettanto accertato che il virus non possiede né il navigatore né tantomeno l’orologio.
La gente è disorientata, la gente non ne può più, la gente è stremata, la gente è confusa, queste limitazioni della libertà sono inaccettabili ancor più se palesano differenze senza senso.
Facciamo rispettare la distanza interpersonale, facciamo rispettare l’igienizzazione personale, facciamo rispettare l’uso della mascherina, è già più che sufficiente, altrimenti a brevissimo gli assembramenti si formeranno fuori delle mense della Caritas in tutta Italia, non solo a Milano, nelle sale d’aspetto dei psicologi e in coda nei tribunali a depositare i libri contabili.
Da emergenza sanitaria si è aggiunta da subito anche l’emergenza economica e siamo ad un passo dall’emergenza della sicurezza sociale.
Purtroppo l’Italia è ancora vestita da arlecchino per DPCM, ma il carnevale è finito da tempo e l’Italia è ancora in maschera, ops, in mascherina.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e web marketing

Prove tecniche di dominio

Questo martellamento mediatico sulla pandemia sta distogliendo l’attenzione di gran parte di noi da problemi seri e da decisioni che i grandi del mondo stanno prendendo a nostra insaputa o magistralmente nascoste da una comunicazione ossessiva sul COVID-19. Il virus indubbiamente c’è, è un problema, ma ciò non toglie che siamo sotto l’effetto soporifero di una “comunicazione di distrazione di massa.”

Se andiamo a vedere cosa sta succedendo nel campo della Borsa, nel campo dell’automobile, nel campo dell’intelligenza artificiale, nella geopolitica mondiale e nei circuiti finanziari c’è da far venire la pelle d’oca e comprendere che effettivamente qualcosa di sconvolgente sta succedendo, in particolare se tutte queste attività daranno i loro effetti contestualmente. In questo periodo, nessuno o quasi nessuno ne parla, ma i grandi del mondo stanno preparando il terreno per l’avvio delle valute digitali e dei circuiti della transazione digitale. In pieno lockdown la Cina ha testato, come se fosse un nuovo armamento, la versione digitale dello yuan, la moneta cinese, su quattro città prese a campione.

Il test a detta cinese è perfettamente riuscito. Il test durato circa sei mesi ha visto la PBOC cioè la Banca Centrale Cinese effettuare oltre 4 milioni di transazioni. Fin qui nulla di strano se non si scorgono alcune particolarità tra cui l’obiettivo della completa tracciabilità dei flussi di denaro. Il sistema della lotteria e quella degli “scontrini” che sembra aver mutuato dal Governo italiano, (o forse è vero il contrario), ha permesso ai presunti “fortunati” di acquistare online con la valuta digitale. Ancora più strano è il coinvolgimento che a fine 2019, proprio agli albori del COVID-19 in Cina, la stessa Cina effettuava un test con la valuta digitale coinvolgendo diverse aziende tra cui le americane Mc Donald’s con sede in California, Starbucks con sede a Seattle e Subway con sede nel Connecticut. Partner strategico di tutto ciò è la Huaway che a breve lancerà il nuovo smartphone di ultima generazione con un “wallet” (portafoglio) per le transazioni in valuta digitale (primo al mondo per la conservazione dei dati in cripto valuta) e non dobbiamo dimenticare che la Huaway è il maggiore sponsor del 5G, l’unica rete che garantirà volumi impressionanti di transazioni.

Tutto strano o magistralmente architettato e programmato?  Qui il business è di levatura planetaria e di improvvisato non c’è nulla, è tutto ben pianificato. Sono queste delle prove tecniche di dominio? Credo di sì, se pensiamo che tra un anno (febbraio 2022) ci saranno le olimpiadi invernali in Cina, (programmate nella riunione del CIO nel 2015 a Kuala Lumpur), guarda caso dopo l’esaurimento della pandemia, sarà l’ideale occasione per il lancio ufficiale della valuta digitale. Il disegno strategico finanziario di Pechino è quasi giunto al traguardo e le olimpiadi sanciranno lo yuan come moneta leader nelle transazioni in cripto valuta. Quale occasione mediatica più ghiotta? Il diabolico ritmo di crescita della Cina sta mettendo a dura prova l’intero sistema economico e finanziario di tutto il mondo, acquisizioni di asset strategici, annientamento dei possibili competitors, (non escluderei il prossimo declino della Samsung che recentemente è andata in rotta di collisione con Android a favore di Huaway). Tutto ciò sta avvenendo nel completo sviamento dell’attenzione. Il COVID-19 sta catalizzando totalmente l’attenzione, grazie ai media, al mainstream, ai social e le grandi manovre sono ignorate. E’ vero che la Federal Reserve Bank sta pensando di dotarsi di una cripto valuta, altrettanto la BCE sta avviando le consultazioni, ma mentre negli USA si pensa e in Europa si consulta, la Cina ha già i risultati dei test. Nel momento in cui la Cina è davanti a tutti seguita dagli Stati Uniti che avanzano rapidamente nel mondo digitale, l’Europa è ancora ai nastri di partenza e con lei l’Italia che risulta al 25° posto su 28 nazioni per capitalizzazione delle aziende del settore internet.

Purtroppo la velocità di raccolta dati e l’accelerazione digitale prenderanno per mano l’economia mondiale alimentando la rivoluzione virtuale e ai big data per essere completamente efficaci nel progetto di dominio assoluto manca solo l’informazione legata alla disponibilità finanziaria dei singoli, vale a dire che nel momento in cui chi detiene i dati sensibili e demografici riesce ad incrociare i dati finanziari delle stesse persone, il gioco è fatto: col controllo totale il dominio è assoluto. All’appello stanno arrivando anche i colossi di Mastercard, Visa, Maestro e American Express, i veri dominatori degli ultimi anni (nel silenzio di tutti) a discapito delle banche dell’intero pianeta, dei quali già Mastercard (recente joint venture con la PBOC) e VISA si sono già aggiornate per i circuiti in cripto valuta. Il mondo del digitale è in forte fermento e anche Facebook (che ambisce ad entrare in Cina, ma ancora bloccato) si adeguerà al punto che tutte le dinamiche in atto sembrano portare quindi inesorabilmente verso oriente, senza nessun contrasto, a sostegno del progetto imperialista cinese, ed è oramai evidente che passerà attraverso il controllo di tutte quelle realtà sovranazionali in chiave digitale (informazione, circuiti finanziari, organizzazione sanitaria, ecc.. ) per arrivare al controllo geopolitico e geodemografico mondiale. L’imperialismo digitale.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e web marketing

A rischio la nostra sicurezza (digitale)

Youtube, Instagram, Twitter, Facebook, Google – solo per fare alcuni esempi – sono piattaforme alle quali quasi 50 milioni di italiani e poco più di 4 miliardi di persone di tutto il mondo hanno volontariamente consegnato i propri dati personali. Noi tutti comunichiamo “gratuitamente” col mondo attraverso questi strumenti di comunicazione.

Ma ci siamo mai domandati perché utilizziamo questi mezzi di comunicazione senza pagare un centesimo? Queste piattaforme digitali sono veramente come Babbo Natale? No, nessuno fa nulla per niente, proprio come ci insegna un vecchio e saggio proverbio veneto che così recita: “nemmeno il cane muove la coda per niente“. Dobbiamo renderci effettivamente conto che se non ci fanno pagare nulla, significa che, il prodotto di scambio siamo noi. Noi stessi, la nostra identità, i nostri profili fisici, neurologici, psichici, emotivi, caratteriali, lavorativi, residenziali, affettivi sono nelle loro mani e decodificati dagli algoritmi per fini solo apparentemente commerciali.

Questi algoritmi si alimentano con le nostre informazioni, si auto-generano, si sviluppano e si perfezionano con i nostri comportamenti nella rete. Sanno quando andiamo a dormire e a che ora ci svegliamo, controllano i nostri gusti, conoscono il nostro credo religioso, politico e sportivo e ci danno le informazioni che vogliamo noi, al momento giusto, con info create su misura come se fossero abiti sartoriali. Ma tralasciamo, anche se sono importantissimi, gli effetti sulle singole persone, quelli che fanno parte del nostro micro sistema individuale e approfondiamo quegli aspetti che interferiscono sulla società nel suo insieme e nei macro sistemi – economici e politici. Le piattaforme digitali dei social hanno numerosissime peculiarità positive ma al tempo stesso nascondono delle autentiche insidie e dei pericoli per la società che sono di importanza strategica. Ebbene sì, non è esagerato, ma oggi le piattaforme social possono far scoppiare uno scandalo, un tafferuglio, condizionare la Borsa o addirittura controllare le Istituzioni e gli Stati, determinando ed influenzando votazioni e consenso popolare, in poche parole, minando seriamente la democrazia.

Vediamo come. Nello stesso modo in cui una piattaforma digitale raccoglie emozioni, pensieri e desideri di ognuno di noi, ci cataloga per località, origine, genere, età, carattere, cosicché la stessa piattaforma è in grado di influenzare i nostri comportamenti anche elettorali e modificare le nostre abitudini col solo fine commerciale che il prodotto (“ognuno di noi”) compia le azioni che il cliente vuole, non importa se è un voto oppure un acquisto. In entrambi i casi si può tranquillamente parlare di manipolazione. Tutto ciò è sufficiente per affermare che la sicurezza delle Nazioni – quindi anche dell’Italia – è in pericolo?

A mio parere sì, con questo processo evolutivo che porta dalla digitalizzazione alla “figitalizzazione”, ora si è capaci di interferire sulle azioni a tal punto da sovvertire qualsiasi governo, sia esso di destra o di sinistra, democratico o repubblicano, laico o religioso. Non è fantascienza, molti di questi sono accadimenti attuali ed altri potrebbero essere di prossima attuazione. A questo punto sorge immediata una domanda con la quale ci chiediamo: a chi possa essere utile la possibile disgregazione dei poteri costituiti e delle democrazie di tutto il mondo? Evidentemente ad organismi o entità sovranazionali che hanno come obiettivo la gestione economica e politica delle popolazioni dell’intero pianeta suddividendo il mercato globale in tanti allevamenti di mucche da mungere, ma attenzione il bestiame siamo ancora noi. Chi sarà o chi saranno mai questi grandi burattinai? La Cina? I potenti della finanza mondiale? Chi altro? E’ sempre più dimostrabile che la sicurezza delle Nazioni passa anche attraverso il controllo delle piattaforme social e della informazione online.

Siamo passati dalla potenza economica del cosiddetto “oro nero” a quella economico e finanziaria dell’ “oro virtuale“. La comunicazione digitale è la nuova frontiera dell’economia mondiale, è qui che si scontreranno i grandi del mondo, sugli strumenti come il 5G, sui big data, sui “Phygital“, favoriti dalla scarsa regolamentazione civile e fiscale da parte degli Stati dell’intero globo, rendendo la comunicazione vulnerabile e facilmente gestibile anche da chi ha obiettivi di dominio mondiale dell’economia e del genere umano. Tutto ciò avviene grazie alla comunicazione che oggi manipola gli utenti-prodotto verso un sostanziale equilibrio tra i pro e i contro, due grandi mercati che in conflitto tra loro faranno ingrassare in pari misura chi li gestisce, ma con un terribile denominatore comune: l’obiettivo di rendere gli Stati Nazionali ingovernabili, perché se non vi è un sensibile divario tra gli schieramenti, non ci sarà un vincente capace di governare nel lungo periodo, quindi il potere verrà consensualmente gestito da terzi, probabilmente da uno Stato egemone ed imperialista come la Cina o da una struttura sovranazionale o chi per loro. D’altronde in economia e in politica, se si finisce in pareggio, non si va ai tempi supplementari, si viene commissariati.

Se vogliamo vincere questa battaglia, siamo ancora in tempo, ma a due condizioni: la prima consiste in un serio impegno dell’Italia e dell’Europa come terza forza tra Cina e USA, la seconda riguarda una nuova regolamentazione che intervenga e non permetta alle piattaforme digitali di avere il totale “controllo” sulla ricchezza individuale, cosa che invece avverrà inevitabilmente nel giro di un paio di anni con le nuove forme di pagamento e con l’avvento delle monete virtuali quali la Libra di Facebook. Se non si interverrà, i colossi del web riusciranno ad avere il controllo anche sulla nostra capacità di spesa ed avranno piena conoscenza dei nostri patrimoni, condizione questa che ci metterà definitivamente con le spalle al muro e a quel punto … la partita sarà persa.

 

*Stefano Lecca, collaboratore Charta minuta