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Stefano Graziosi

Trump indebolito DeSantis in ascesa

È una situazione complicata quella emersa dalle ultime elezioni di metà mandato. Alla fine, l’onda repubblicana preconizzata da qualcuno non c’è stata. Tuttavia questo non significa che i democratici possano granché dirsi soddisfatti. Al momento in cui scriviamo, è altamente probabile che la Camera dei Rappresentanti passi in mano all’Elefantino, mentre la partita per la maggioranza al Senato si sta ancora giocando sul filo del rasoio in tre Stati: Arizona, Georgia e Nevada.

Donald Trump è sicuramente uscito indebolito da questa tornata elettorale. Nonostante i suoi candidati senatoriali in Ohio e North Carolina abbiano vinto, il problema per lui si è rivelata la Pennsylvania. Qui il trumpista Mehmet Oz è stato infatti battuto nella corsa per la poltrona del Senato: una sconfitta che ha regalato ai democratici un seggio precedentemente controllato dai repubblicani. Si tratta di uno schiaffo notevole per l’ex presidente, che, oltre ad aver significativamente sponsorizzato Oz, ha sempre rivendicato di essere particolarmente competitivo nel cosiddetto Keystone State.

Se c’è qualcuno che invece può festeggiare in casa repubblicana quello è Ron DeSantis: costui non solo è stato trionfalmente rieletto governatore della Florida, ma ha visto anche il suo Stato diventare ormai saldamente conservatore. Una situazione che lo catapulta virtualmente a una candidatura presidenziale: un’eventualità d’altronde che DeSantis non ha mai nascosto di aver preso seriamente in considerazione. È anche in questo senso che, soprattutto negli ultimi giorni, è cresciuta la tensione tra il governatore e lo stesso Trump: l’ex presidente vede infatti DeSantis come una minaccia a una sua eventuale ricandidatura in vista del 2024. Tra l’altro, non va trascurato che, da vari mesi, altri papabili contendenti per la nomination repubblicana stanno scaldando ufficiosamente i motori (dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo all’ex ambasciatrice americana all’Onu Nikki Haley, passando per l’ex vicepresidente Mike Pence).

Se Atene piange, Sparta non ride. Numerosi commentatori sembrano quasi voler lasciare intendere che, per Joe Biden, i risultati di queste Midterm siano stati in fondo abbastanza positivi. Un’analisi piuttosto audace. È senz’altro vero che i dem si aspettavano un esito peggiore. Ma questo non autorizza a dire che, per loro, queste elezioni si siano rivelate una vittoria. Come già accennato, è quasi certo che la Camera andrà ai repubblicani. Un fattore, questo, che avrà due prevedibili impatti negativi per la Casa Bianca.

In primis, il presidente americano si trasformerà definitivamente nella proverbiale anatra zoppa. O dovrà quindi rinunciare alla propria agenda parlamentare o dovrà trovare di volta in volta delle mediazioni con l’Elefantino: uno scenario, quest’ultimo, che scatenerebbe assai probabilmente l’irritazione dell’ala più oltranzista della sinistra democratica, acuendo così le già profonde spaccature presenti in seno all’Asinello. In secondo luogo, bisogna fare attenzione: detenendo la maggioranza alla Camera, i repubblicani potrebbero teoricamente avviare un processo di impeachment contro Biden. Si tratta di uno scenario che, negli scorsi mesi, è stato ventilato da vari big dell’elefantino. È chiaro che una simile mossa non sarebbe realmente finalizzata a destituire l’inquilino della Casa Bianca (occorrerebbe infatti una praticamente impossibile maggioranza di due terzi al Senato). No: l’obiettivo, in caso, sarebbe quello di mettere Biden ulteriormente sotto pressione, paralizzandone pressoché totalmente l’attività politica. Un elemento, questo, che potrebbe gettare un’ombra di notevole incertezza su una eventuale ricandidatura dell’attuale presidente americano. Non si può pertanto escludere che, anche in casa dem, possano presto iniziare delle primarie presidenziali particolarmente affollate e rissose: primarie che, in caso, rischierebbero di aggravare le persistenti tensioni intestine tra le correnti centriste e quelle di estrema sinistra.

Insomma, come si può vedere, i repubblicani non possono certo brindare, ma anche i democratici hanno ben poco da festeggiare.

8 Novembre. Biden “rischiatutto”

Si fa sempre più serrata la sfida elettorale in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo 8 novembre, quando sarà rinnovato un terzo del Senato e la totalità della Camera dei rappresentanti. Al 28 ottobre scorso, la media sondaggistica di Real Clear Politics continuava a vedere i repubblicani avanti nei consensi con un vantaggio del 3%. Al momento, lo scenario più probabile resta comunque quello di un pareggio: se la Camera andrà quasi certamente all’elefantino, è plausibile ritenere che i democratici manterranno il controllo del Senato. Bisogna tuttavia fare attenzione. Attualmente il trend sondaggistico risulta piuttosto favorevole per i repubblicani: ragion per cui non è escluso che, all’ultimo momento, possano riuscire a effettuare un sorpasso anche al Senato.

Un aspetto interessante da sottolineare è che la situazione sembra essersi fondamentalmente ribaltata rispetto un mese e mezzo fa. Tra agosto e settembre, i democratici godevano infatti di un consenso più solido, mentre dalla fine dello stesso settembre hanno iniziato a incontrare crescenti difficoltà. Il punto è che probabilmente l’asinello non ha scelto una strategia elettorale esattamente efficace, puntando quasi esclusivamente sulla questione dell’aborto. È pur vero che quest’anno l’interruzione di gravidanza occuperà un ruolo più centrale del solito a seguito della sentenza della Corte Suprema dello scorso giugno. Non bisogna tuttavia dimenticare che, in occasione delle elezioni americane, l’aborto è un tema che difficilmente sposta voti: viene semmai usato dai due principali partiti per compattare le ali più motivate dei rispettivi elettorati. Attenzione: questo non vuol dire che l’8 novembre l’interruzione di gravidanza non avrà alcun peso elettorale (in un senso o nell’altro). Vuol dire semmai che il suo peso si rivelerà piuttosto relativo, perché le questioni realmente dirimenti saranno altre.

In primo luogo, il focus principale degli elettori quest’anno è quello economico. Secondo un sondaggio di Morning Consult di ottobre, l’80% degli americani è preoccupato per l’inflazione: un’inflazione che, lo scorso settembre, era all’8,2% (in diminuzione dal 9,1% di giugno, ma comunque uno dei dati più alti degli ultimi quarant’anni). In secondo luogo, troviamo l’immigrazione clandestina. La situazione al confine con il Messico è disastrosa: l’anno fiscale 2022 ha infatti registrato il record storico di arrivi di immigrati irregolari alla frontiera meridionale (circa 2,3 milioni di unità). Un autentico problema per Joe Biden: non solo questa situazione ha degli impatti nocivi sul versante socioeconomico ma, lo scorso agosto, i vertici dell’Fbi non hanno escluso rischi per la sicurezza nazionale (a partire dal pericolo terrorismo). D’altronde, per l’attuale presidente americano questo dossier è sempre stato problematico, perché acuisce le già profonde divisioni che si registrano in seno all’asinello: se i democratici centristi tendono alla linea dura, quelli di sinistra spingono per politiche più aperturiste, accusando spesso Biden di scarsa discontinuità rispetto al predecessore. Risultato: la Casa Bianca si è ritrovata attanagliata tra due fazioni del Partito democratico, rimanendo in mezzo al guado e con una frontiera pericolosamente ridotta a colabrodo. Non è un caso che, secondo un sondaggio Ipsos di inizio ottobre, i repubblicani vengano attualmente percepiti come maggiormente in grado di affrontare il delicato dossier dell’immigrazione clandestina.

Infine, un terzo tema che sta emergendo sempre di più è quello dell’ordine pubblico: il crimine violento è infatti considerato un problema assai rilevante dagli elettori e, anche in questo caso, un sondaggio Ipsos di fine settembre rilevava che i repubblicani sono considerati più affidabili per risolvere tale nodo dalla maggioranza degli americani.

La domanda che viene da porsi è quindi: per quale ragione, davanti a questi temi percepiti come più urgenti, Biden e i democratici continuano a concentrarsi quasi esclusivamente sull’aborto? La risposta non risiede tanto in un errore di valutazione. Il punto è semmai un altro: su inflazione, immigrazione clandestina e ordine pubblico l’asinello è oggi vulnerabilissimo. Una debolezza, questa, che potrebbe addirittura aggravarsi, se i prezzi della benzina dovessero tornare a risalire nei prossimi giorni a causa della recente decisione dell’Opec Plus di tagliare la produzione petrolifera. Puntare quasi tutte le carte sull’aborto è quindi un evidente segno di debolezza da parte dei democratici.

Ma quali scenari politici bisogna attendersi dalle elezioni dell’8 novembre? Innanzitutto raramente come quest’anno le Midterm avranno un impatto diretto sulla Casa Bianca. Sia Biden sia Donald Trump stanno infatti attendendo questa tornata elettorale per capire se ricandidarsi o meno a un secondo mandato presidenziale: ragion per cui non è escludibile che gli elettori voteranno con un occhio rivolto anche a queste dinamiche. È ovvio che se i dem dovessero riuscire a mantenere il controllo dell’intero Congresso, Biden si rafforzerebbe e per i repubblicani sarebbe assai difficile trovare una strategia politica adeguata in vista del 2024, mentre Trump dovrebbe dire prevedibilmente addio a eventuali sogni di rivincita. Come detto, tuttavia, lo scenario più probabile è quello di un pareggio con la Camera ai repubblicani ed il Senato ai democratici: un pareggio che si rivelerebbe comunque soltanto tecnico, ma non politico.

Sì, perché un simile scenario risulterebbe assai insidioso per Biden. Non solo il presidente si ritroverebbe ad essere la proverbiale anatra zoppa senza il controllo dell’intero Congresso, ma – più nello specifico – i repubblicani potrebbero addirittura decidere di intentargli un processo di impeachment. Un processo (già invocato da alcuni big del partito) che, pur non arrivando quasi certamente alla destituzione in Senato, avrebbe comunque come effetto quello di impantanare l’agenda parlamentare del presidente per vari mesi. Se i democratici dovessero invece perdere il controllo dell’intero Congresso, per Biden sarebbe una catastrofe: a quel punto, difficilmente si ricandiderebbe e scatterebbero delle primarie piuttosto affollate e rissose. Primarie che potrebbero gettare l’asinello nel caos più completo. Insomma, se i repubblicani giocano bene le loro carte, stavolta potrebbero farcela seriamente. E preparare una svolta presidenziale per il 2024.

Fondazioni faro del centrodestra

Venticinque anni di storia vissuti all’insegna dell’approfondimento culturale e politico. E un avvenire ancora tutto da scrivere. Questa in estrema sintesi, è l’essenza di Charta minuta: la rivista della fondazione Farefuturo presieduta dal senatore di Fratelli d’Italia, Adolfo Urso.

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