Souad Sbai

Fratelli musulmani (con il Qatar) in Italia

Questo saggio di Souad Sbai, è stato pubblicato sul Primo Rapporto sull’islamizzazione d’Europa della Fondazione Farefuturo

L’uscita del libro inchiesta Qatar Papers. Come l’emirato finanzia l’Islam di Francia e d’Europa (Lafon, 2019) è un evento spartiacque nell’ambito della lotta al terrorismo e al fenomeno della radicalizzazione in Europa. Gli autori, i due giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot, hanno gettato luce sul sistema di finanziamenti milionari della “Qatar Charity” a moschee, associazioni e militanti dei Fratelli Musulmani in tutto il continente, allo scopo di trasformare i fedeli di religione islamica in militanti fondamentalisti. Nella documentazione fornita da Qatar Papers, il paese che risulta essere il principale destinatario dei fondi provenienti da Doha è l’Italia: segno della sua centralità nel “progetto” del Qatar e dei Fratelli Musulmani, volto a far avanzare l’agenda fondamentalista in territorio europeo e nel resto dell’Occidente.

Come supporto informativo e di analisi rivolto alle istituzioni, al mondo della politica e agli addetti ai lavori, questo report prende pertanto in esame il ruolo della “Qatar Charity” nel finanziamento in Italia di realtà associative riconducibili ai Fratelli Musulmani, illustrandone le finalità di tipo proselitistico. Inoltre, viene descritta la crescente influenza in Italia dei Fratelli Musulmani in ambito politico, sociale e culturale, con l’indicazione di una serie di proposte d’intervento e misure di contrasto. Cenni storici introduttivi delineano il contesto internazionale in cui s’inseriscono i finanziamenti del Qatar ai Fratelli Musulmani in Italia.

 

  1. IL VERO VOLTO DEL QATAR E DEI FRATELLI MUSULMANI

Perché il Qatar finanzia il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani? La risposta sta nelle ambizioni degli emiri che occupano il trono di Doha. L’anno della svolta è il 1995, quando con un colpo di stato Hamad Al Thani riesce a spodestare il padre Khalifa e a porsi alla guida del piccolo stato. Forte degli ingenti proventi dell’industria energetica (gas e petrolio), Hamad punta al conseguimento per il Qatar del rango di potenza globale, acominciare dall’acquisizione dell’egemonia in Medio Oriente. A tal fine, Hamad fa affidamento su due caposaldi: l’emittente televisiva Al Jazeera, fondata nel 1996, e i Fratelli Musulmani, che saranno entrambi i protagonisti di quella passata impropriamente alla storia come “Primavera Araba”. Le ambizioni di Hamad si sposano perfettamente con il “progetto” della Fratellanza, decisa a sfruttare l’opera di penetrazione compiuta nell’arco di decenni all’interno del tessuto religioso, sociale, culturale, politico ed economico dei paesi di Mashrek, Maghreb e Golfo per prendere il potere e stabilire in tutta l’area dittature fondamentaliste come piattaforma per l’espansione globale, in particolare verso l’Occidente. Le rivolte scoppiate nel 2011 erano finalizzate a portare la Fratellanza al governo di Egitto, Tunisia, Libia, Siria, innescando un effetto domino che avrebbe dovuto travolgere l’intero Medio Oriente e proiettare l’emiro del Qatar all’apice di un nuovo Califfato, l’obiettivo supremo dei Fratelli Musulmani. L’idea del Califfato è stata rilanciata ufficialmente dall’ISIS, ma appartiene da sempre all’immaginario dei Fratelli Musulmani: dalla loro fondazione nel 1928 avvenuta con Hassan Al Banna in Egitto, alla divulgazione degli scritti dell’ideologo Said Qutb, fino alla tele-predicazione dal pulpito di Al Jazeera dello sheikh del terrore, Youssef Al Qaradawi, l’attuale leader della Fratellanza a livello mondiale, venerato alla corte del clan Al Thani.

Sono questi i cattivi maestri che con la loro nefasta influenza hanno radicalizzato intere generazioni di imam, accademici, professionisti, studenti, comuni cittadini, nuclei familiari, donne e giovani nel mondo arabo-musulmano, elaborando le dottrine e le narrative da cui ha preso le mosse il terrorismo jihadista contemporaneo, da Al Qaeda all’ISIS. L’ISIS è stato perciò la punta di lancia del gelido inverno islamista che i Fratelli Musulmani intendevano inaugurare in tutta la regione, con la spinta economica, politica e mediatica del Qatar. La propaganda della versione in lingua inglese di Al Jazeera si è rivelata indispensabile a far sì che dei rovesciamenti di regime venissero interpretati in Occidente come rivoluzioni democratiche, mentre Al Jazeera in lingua araba trasmetteva i sermoni incendiari, a sostegno persino di attentati suicidi, pronunciati da Al Qaradawi. Dopo i fallimenti delle rivolte in Egitto, Siria e Libia e gli ostacoli incontrati nella corsa al potere in Tunisia, la concretizzazione del “progetto” comune del Qatar e dei Fratelli Musulmani subisce una brusca battuta d’arresto, ma le loro ambizioni di conquista restano immutate. Il passaggio di consegne avvenuto nel 2013 da Hamad Al Thani al figlio Tamim, l’attuale emiro, non ha prodotto cambiamenti di linea, perché Doha ha continuato e continua ancora oggi a interferire negli affari interni dei paesi vicini e a supportare i Fratelli Musulmani. Inoltre, ha intensificato le relazioni con la Turchia di Erdogan e l’Iran khomeinista, con cui ha dato vita a un nuovo polo dell’islamismo, cementatosi grazie all’ideologia dei Fratelli Musulmani, di cui il regime di Teheran rappresenta la versione sciita. Ciò ha spinto il Quartetto arabo contro il terrorismo (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto e Bahrein) a reagire. Di qui, la rottura delle relazioni diplomatiche con Doha, il lancio dell’embargo nei suoi confronti nel giugno 2017 e la designazione dei Fratelli Musulmani come organizzazione terroristica.

D’altro canto, malgrado le sollecitazioni del Quartetto, l’Occidente non ha preso una posizione netta contro le politiche del Qatar, mantenendo un’equidistanza che ha consentito agli emiri Al Thani di sostenere finora il peso dell’embargo. I giganteschi investimenti effettuati in Europa e negli Stati Uniti impediscono infatti a quest’ultimi di riservare a Doha il trattamento da “stato canaglia” che meriterebbe, sia perché costituisce insieme a Iran e Turchia il principale fattore di destabilizzazione e d’insicurezza nella regione, che per il sostegno finanziario al fondamentalismo dei Fratelli Musulmani nello stesso Occidente, Italia compresa.

 

  1. QATAR PAPERS: COME DOHA FINANZIA IL “PROGETTO” DEI FRATELLI MUSULMANI IN ITALIA

L’esistenza di un “progetto” volto a far avanzare l’agenda dei Fratelli Musulmani anche in Occidente era già stata ampiamente denunciata nel 2005 dal giornalista franco-svizzero Sylvain Besson in La Conquête de L’occident: Le Projet Secret des Islamistes, seguito più recentemente dal mio ultimo libro I Fratelli Musulmani e la conquista dell’Occidente. Da Istanbul a Doha, la linea rossa del jihad (Armando Curcio Editore, 2018). La pubblicazione di Qatar Papers è giunta a complementare questi due volumi, poiché descrive in dettaglio la fase d’implementazione del “progetto”, resa possibile dalle enormi risorse economiche di cui dispone la “Qatar Charity”, il presunto braccio caritatevole degli emiri Al Thani. Nata nel 1992, l’organizzazione dovrebbe limitarsi a servire i suoi scopi statutari: offrire supporto a comunità e gruppi che hanno bisogno di assistenza umanitaria e sociale. Ma i documenti interni e confidenziali pubblicati da Chesnot e Malbrunot, hanno rivelato ben altro, ovvero come Doha si sia servita della “Qatar Charity” per finanziare moschee, associazioni, centri culturali, case editrici e istituti scolastici legati ai Fratelli Musulmani in Francia, Italia, Germania, Svizzera, Gran Bretagna e Balcani. L’inchiesta dei due giornalisti riguarda il biennio 2013 e 2014, durante il quale erano ben 140 i progetti in corso, per un valore di centinaia di migliaia di euro. Nel libro, sono riportati i testi integrali di corrispondenze dove gli stessi esponenti della “Qatar Charity” fanno menzione delle somme elargite. E se anche questo dovesse non bastare a convincere gli scettici, vengono pubblicate le evidenze di pagamento. Le pagine di Qatar Papers descrivono paese per paese le principali iniziative finanziate dalla “Qatar Charity”, dedicando un più ampio spazio al caso francese.

Ma ad assumere una particolare rilevanza è il capitolo sull’Italia, il paese per il quale nel biennio in questione risulta stanziato il maggior numero di fondi: oltre 50 milioni di euro per un totale di 45 progetti, volti alla realizzazione del “progetto” fondamentale dei Fratelli Musulmani, quello di conquista. Il tutto confermato da email, copie dei versamenti bancari e dalle ammissioni dei diretti interessati, intervistati da Chesnot e Malbrunot nel corso del lavoro d’inchiesta da nord a sud della penisola. A sottolineare la centralità dell’Italia nei piani del Qatar e dei Fratelli Musulmani, lo spiega senza giri di parole Al Qaradawi in persona, di cui vengono trascritte le parole esatte pronunciate dai teleschermi di Al Jazeera nel 2007: “La conquista di Roma, la conquista dell’Italia e dell’Europa, significa che l’Islam tornerà in Europa ancora una volta. […] La conquista si farà con la guerra? No, non è necessario. C’è una conquista pacifica [e] prevedo che l’Islam tornerà in Europa senza ricorrere alla spada. [La conquista] si farà attraverso la predicazione e le idee”. Tali dichiarazioni sono ancor più inquietanti poiché corrispondono a quel che accade oggi senza che il Qatar e i Fratelli Musulmani incontrino ostacolo alcuno. In Italia, la strategia del “doppio binario” adottata dall’alleanza islamista si è rivelata particolarmente efficace. In cambio dei massicci investimenti della “Qatar Investment Authority” in ogni settore dell’economia, Doha ha ottenuto il via libera al finanziamento delle attività di proselitismo fondamentalista della Fratellanza in tutto il paese attraverso la “Qatar Charity”. A beneficiare maggiormente delle donazioni provenienti dall’organizzazione sono state le numerose associazioni che fanno capo all’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (UCOII), vale a dire ai Fratelli Musulmani basati e radicati in territorio italiano. Persino l’ex presidente dell’UCOII e imam di Firenze, Izzeddin Elzir, ha ammesso di fronte all’incalzare degli autori di Qatar Papers che la “Qatar Charity” è il grande banchiere dei Fratelli Musulmani in Italia. Grande attenzione è riservata al nord del Paese. Torino, Verona, Brescia, Vicenza, Lecco, Saronno, Piacenza, Alessandria, Mirandola: centinaia di migliaia di euro piovuti su ogni città, diretti nelle casse di enti affiliati all’UCOII. Una menzione particolare merita il caso di Milano.

Con una lettera di raccomandazione risalente al 2015, Al Qaradawi sollecitava la “Qatar Charity” a offrire supporto finanziario al CAIM, il Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano e Monza e Brianza, gestito da David Piccardo, figlio di Hamza, tra i fondatori dell’UCOII. Non tutte le operazioni congegnate dalla “Qatar Charity” e dall’UCOII nel milanese sono andate però a buon fine. Lo stop alla costruzione della moschea di Sesto San Giovanni, cittadina di 80 mila abitanti, brucia ancora ai Fratelli Musulmani e sono valse da parte di Elzir l’epiteto derogativo di “populista” al sindaco leghista Roberto Di Stefano. La colpa di Di Stefano è stata quella di aver posto il veto alla realizzazione di un progetto rispondente a chiare ambizioni di proselitismo fondamentalista, che le precedenti giunte di sinistra avevano avallato. Lo stanziamento di 10 milioni di euro, con un contributo della “Qatar Charity” pari a 1 milione e 200 mila euro, mirava alla costruzione su un’area di 5.200 metri quadrati di un mega-complesso a tre piani comprendente, oltre alla moschea, un centro culturale, una biblioteca e un centro per bambini: un polo d’attrazione con una capienza di 1.200 persone, la cui prima pietra avrebbe dovuta essere posta in corrispondenza dell’inaugurazione dell’Expo di Milano. Intervistato da Chesnot e Malbrunot, Di Stefano ha ribadito la sua contrarietà a un progetto sovradimensionato rispetto alle reali esigenze di Sesto San Giovanni, nonché controproducente per l’integrazione dei musulmani residenti nella zona.

Ma è appunto la non-integrazione l’obiettivo dei Fratelli Musulmani, che puntano a mantenere le comunità islamiche in Italia e nel resto d’Europa in uno stato di contrapposizione con le società dei paesi in cui risiedono. Il fatto che sul sito dell’associazione promotrice della costruzione della moschea fosse esplicitato che una quota dei finanziamenti sarebbe giunta dal Qatar, ha convinto definitivamente il sindaco di Sesto San Giovanni a bloccare il progetto, temendo che i fondi venissero utilizzati per attività sospette, come quelle d’indottrinamento e radicalizzazione. Alla richiesta di presentare i bilanci avanzata da Di Stefano, l’associazione non ha mai risposto. Altro episodio significativo in cui le ambizioni in Lombardia di Doha e dei Fratelli Musulmani sono rimaste frustrate riguarda Bergamo, dove la “Qatar Charity” sembra essere incorsa in una truffa. Talmente grande era l’entusiasmo per l’edificazione di un centro culturale che avrebbe dovuto essere il “faro dell’Islam in Italia”, che tra il 2013 e il 2014 da Doha sono giunti ben 5 milioni di euro, nelle casse di un’associazione islamica locale, in sette rate. Tuttavia, la “Qatar Charity” ha poi scoperto che l’ingente finanziamento sarebbe stato utilizzato per altri scopi che spetta al giudice identificare nell’ambito del processo attualmente in corso. L’UCOII si è dichiarata parte lesa, ma lo è davvero? L’amarezza della “Qatar Charity” è espressa in maniera evidente nella lettera che il Direttore Esecutivo, Youssef Al Kuwari, ha indirizzato a Imad El Joulani, il presunto autore della frode, pubblicata in Qatar Papers. Finora nessuna delusione invece dall’Italia meridionale, dove l’attenzione della “Qatar Charity”, pur non trascurando Campania, Puglia e Sardegna, è concentrata soprattutto sulla Sicilia.

Gli investimenti di natura religiosa nell’isola servono a far rivivere i 472 anni della dominazione arabomusulmana, “durante i quali la regione ha conosciuto sicurezza, stabilità e lo sviluppo di tutte le scienze umane”, come recita la brochure nella quale la “Qatar Charity” presenta il nuovo centro culturale islamico di Messina finanziato per 457 milioni di euro. Far rivivere questo passato mitico serve a promuovere il proselitismo dei Fratelli Musulmani in Sicilia finalizzato alla conversione. In tal senso, il testo tratto da un’altra brochure della “Qatar Charity” è inequivocabile: “I progetti della QC in Sicilia mirano a radicare la cultura islamica nell’isola e a far conoscere il vero volto dell’Islam a tutti coloro che sono interessati in questa religione e che ad essa vorrebbero convertirsi. È per questa ragione che la Qatar Charity costruisce centri islamici polifunzionali”. Il partner principale della “Qatar Charity” nell’isola è il Centro Culturale Islamico di Sicilia, anch’esso affiliato all’UCOII. Per la realizzazione dellaMoschea della Misercordia, nel cuore di Catania, la “Qatar Charity” ha donato 1.7 milioni di euro (il costo totale dell’opera è stato di 2.3 milioni). Alla sua inaugurazione nel 2012, sono intervenuti il numero uno dell’organizzazione, il cosiddetto Supervisore Generale, Sheikh Ahmad Al Hammadi, e il Direttore Esecutivo Al Kuwari, insieme al sindaco della città, al prefetto e ad altri notabili siciliani. Per quanto riguarda Roma, Qatar Papers richiama l’attenzione sulla moschea Al Huda nel quartiere di Centocelle, inaugurata nel 2015 e con una capienza di oltre mille persone, seconda solo a quella della Grande Moschea di Roma con cui è in aperta competizione.

Si tratta di un complesso di 4 piani che oltre alla moschea ospita un centro culturale, una sala conferenze, una biblioteca e una ludoteca aperta a tutta la comunità del quartiere, spazi espositivi e aule per lo svolgimento di corsi di cultura islamica. Il contributo della “Qatar Charity” alla realizzazione di Al Huda è stato di 4 milioni, per un costo complessivo di 5.7 milioni di euro. Nella documentazione raccolta da Christian Chesnot e Georges Malbrunot, è certificato che “la Qatar Charity ha reso la comunità musulmana dell’Italia, composta da 1.8 milioni di persone su 60 milioni di cittadini, il primo beneficiario dei suoi investimenti in Europa”. I due giornalisti hanno allora chiesto all’ex Ministro dell’Interno e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi d’informazione, Marco Minniti, in carica nel 2013 e nel 2014, come le autorità abbiano potuto lasciare che il Qatar e i Fratelli Musulmani promuovessero liberamente la propria agenda fondamentalista in Italia. “Il problema non è l’entità che finanzia, ma […] la trasparenza e la finalità [dei finanziamenti]”, ha risposto l’esponente del Partito Democratico (PD). In sostanza, per Minniti non costituisce un problema che il Qatar eroghi finanziamenti volti alla diffusione dell’Islam fondamentalista e militante dei Fratelli Musulmani in Italia, basta che lo faccia seguendo canali legali: un’agevolazione per la “Qatar Charity”, che non deve quindi nemmeno preoccuparsi di occultare l’ingente flusso di fondi destinati all’UCOII. Su questi presupposti, non stupisce che l’UCOII abbia aderito al “Patto nazionale per un Islam italiano” fortemente voluto da Minniti quando era al Viminale, mentre si era rifiutata di firmare la “Carta dei Valori” emanata dalla precedente Consulta per l’Islam italiano. Messo sotto pressione dalle rivelazioni di Qatar Papers, il nuovo Presidente dell’UCOII, Yassine Lafram, ha ammesso di aver ricevuto la somma di 25 milioni euro “per una trentina di progetti nel quadro di una collaborazione iniziata nel 2013 e andata avanti per un paio di anni”. Tuttavia, come comprovato da Qatar Papers, i finanziamenti ricevuti da associazioni legate all’UCOII sono stati impiegati per progetti che hanno come finalità il proselitismo e la conversione, non l’acquisizione di “33 capannoni in tutta Italia da adibire a sale di preghiera a beneficio di comunità che sono prevalentemente operaie”, come affermato da Lafram.

Per respingere le accuse di promuovere il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, il Presidente dell’UCOII ha imbracciato l’arma dell’islamofobia, utilizzata come clava per colpire chiunque osi denunciare le ambiguità che caratterizzano la sua organizzazione: “Quando lo Stato italiano fa affari miliardari sono tutte operazioni lecite, quando i musulmani in Italia ricevono briciole magicamente si parla di islamizzazione, si cerca in qualche modo di rappresentare la comunità islamica come una realtà assimilabile all’estremismo”. Tuttavia, i 25 milioni di euro ricevuti dalla “Qatar Charity”, non sono certo “briciole”. Inoltre, la documentazione contenuta in Qatar Papers dimostra che le somme realmente ricevute sono ancora più cospicue e che l’UCOII disponeva già di per sé di notevoli capacità di autofinanziamento. Si tratta di milioni di euro per ogni singolo progetto: da chi sono stati donati?

 

  1. L’ITALIA DEI FRATELLI MUSULMANI

Dopo l’uscita di Qatar Papers non è più possibile negare l’esistenza di un progetto di conquista dell’Occidente da parte dell’Islam fondamentalista e militante dei Fratelli Musulmani finanziati dal Qatar. È tutto scritto, dimostrato. Eppure, i governi europei continuano a chiudere gli occhi e a lasciar fare, senza prendere provvedimenti contro le centrali di propagazione dell’estremismo che operano al suo interno in piena trasparenza, alla luce del sole, come i luoghi di culto, le associazioni e i militanti dei Fratelli Musulmani in Italia. Come se non bastasse, all’indifferenza e all’immobilismo delle classi dirigenti, va ad aggiungersi una vera e propria opera di fiancheggiamento dei Fratelli Musulmani da parte di quelle forze che si definiscono progressiste, un alleato fondamentale per l’avanzata dell’agenda fondamentalista. È stato grazie al sostegno e alla legittimazione dei partiti politici e ambienti culturali di sinistra che i Fratelli Musulmani hanno potuto stabilire la propria egemonia sulle comunità islamiche in Occidente, rendendo possibile persino l’ingresso di esponenti dell’organizzazione nelle istituzioni. In particolare, il settore giovanile è un bacino da cui le forze progressiste europee e nord-americane continuano a reclutare ambigui personaggi da lanciare come leader politici, malgrado la loro malcelata affinità con l’estremismo. Tutto come previsto nel “progetto”, i cui contenuti sono stati illustrati da Besson e nel mio ultimo libro.

Tra i 25 punti che definiscono le linee guida per la realizzazione dell’agenda per l’Occidente dei Fratelli Musulmani, un posto di rilievo occupa infatti la formazione di alleanze con le varie anime del mondo progressista. La sinistra del politically correct e del malinteso multiculturalismo rappresenta per i Fratelli Musulmani la porta d’accesso a partiti politici, università e centri di studio, media, organizzazioni non governative, sindacati, da infiltrare e porre al servizio della causa islamista. Da questo punto di vista, un caso di scuola è rappresentato dall’Italia, dove alcuni recenti episodi confermano le relazioni pericolose del PD con organizzazioni e militanti legati alla Fratellanza.

 

   

  1. UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA PER FERMARE IL “PROGETTO” DEL QATAR E DEI FRATELLI MUSULMANI

In Italia, partendo da sinistra, il Qatar e i Fratelli Musulmani sono arrivati a travolgere il sistema-paese nel suo complesso. Fare affari con il Qatar, lasciando campo libero al proselitismo dei Fratelli Musulmani, non si è rivelato un buon affare e liberarsi dal giogo islamista è ormai un’impellenza per l’Italia. Come riuscire nell’impresa? Il primo passo significativo da compiere è quello d’istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta che in collaborazione con la magistratura faccia luce sui finanziamenti del Qatar ai Fratelli Musulmani in territorio italiano. In particolare, occorre accertare scrupolosamente l’identità degli effettivi destinatari dei finanziamenti elargiti dalla “Qatar Charity”, verificando che non vengano o che non siano già stati utilizzati per attività d’indottrinamento e radicalizzazione. In tale ambito, la Commissione dovrebbe chiamare l’UCOII a fare chiarezza sui restanti 25 milioni di euro che la “Qatar Charity” ha versato nelle sue casse, smentendo se vi riesce la documentazione fornita da Qatar Papers, che conferma il versamento di 50 milioni di euro nel biennio 2013- 2014. L’UCOII dovrebbe poi spiegare in che modo sono stati impiegati i 5 milioni di euro oggetto del processo in corso a Bergamo e di cui la “Qatar Charity” ha chiesto la restituzione. La Commissione dovrebbe anche indagare sulle donazioni ricevute dall’UCOII negli anni successivi a quelli considerati da Qatar Papers. Dal 2015 a oggi, l’UCOII ha ricevuto nuovi finanziamenti dalla “Qatar Charity”? Inoltre, oggetto d’indagine per la Commissione dovrebbero essere i legami dell’UCOII con Al Qaradawi e le numerose organizzazioni islamiste in Europa e Medio Oriente riconducibili, direttamente o indirettamente, ai Fratelli Musulmani e supportate dal Qatar e dalla Turchia di Erdogan.

La Commissione, nell’ambito della lotta al terrorismo jihadista, dovrebbe promuovere l’adozione da parte del governo e delle procure di misure volte a stroncare le attività di proselitismo dei Fratelli Musulmani, a cominciare dal divieto per il Qatar di trasferire fondi in Italia e dall’introduzione di controlli stringenti sui bilanci e le movimentazioni di denaro ad associazioni sospette. I Fratelli Musulmani, infatti, occultano le donazioni che ricevono dall’estero attraverso il rodato sistema dell’hawala, che si avvale d’intermediari basati in territorio italiano apparentemente non legati al movimento, mentre con lo stesso sistema contribuiscono al cosiddetto “jihad per procura”, trasferendo somme a gruppi estremisti e terroristici nei vari teatri di crisi.

Secondo la Direzione Investigativa Antimafia, le località con il primato delle rimesse verso l’estero nelle quali si nascondono finanziamenti a organizzazioni islamiste sono Milano e la Lombardia, dove la presenza della Fratellanza è in forte ascesa. In una recente nota basata su informazioni provenienti dalle agenzie dell’Unione Europea, i servizi d’intelligence hanno messo in guardia dalla minaccia sempre incombente dell’ISIS, pronto a colpire strade, stazioni, aeroporti, aree di servizio. Tuttavia, nessun riferimento alla necessità di prosciugare la fonte ideologica del terrorismo: i Fratelli Musulmani, che continuano a seminare la cultura dell’odio con i finanziamenti del Qatar. Si riconosce l’esistenza di attività d’indottrinamento volte a reclutare nuovi adepti da utilizzare per attacchi terroristici, specie tra i giovani della seconda e della terza generazione, ma questa realtà sembra essere accettata passivamente e ogni intervento è rimandato a radicalizzazione avvenuta. L’Italia e l’Europa vogliono davvero sconfiggere l’ISIS? Le centrali di propagazione dell’estremismo non devono essere scoperte. Sono già tutte localizzate e per neutralizzarle bisogna solo decidere di passare all’azione.

 

*Souad Sbai, presidente Centro Alti Studi “Averroè”

Tunisia, la resa dell’Italia al fondamentalismo

Il gomito a gomito tra Luigi Di Maio e il premier incaricato tunisino, Hichem Mechichi, rappresenta un segno di resa e non d’intesa. Una resa duplice da parte dell’Italia, anzitutto al ricatto di un paese che ha preteso nuovi aiuti economici (11 milioni di euro) per arginare l’esodo di migranti, finora lasciati affluire in massa verso le coste della Sicilia malgrado gli accordi di sicurezza già stipulati (vero ministro Lamorgese?). In secondo luogo, si tratta di una resa al cospetto del fondamentalismo, che minaccia di prendere il largo dopo il “missile” contro i diritti delle donne lanciato recentemente dal presidente tunisino, Kais Saied.
L’attacco non giunge a sorpresa. Durante la campagna elettorale, Saied aveva messo ben in chiaro la sua posizione sulle relazioni di genere e ha freddamente scelto l’anniversario della promulgazione del Codice sullo statuto personale, emanato il 13 agosto 1956, per assestare un colpo netto alle conquiste effettuate dalle donne tunisine in decenni di battaglie per i diritti umani e civili.
Unico nel mondo arabo, il Codice stabilisce il principio dell’uguaglianza tra uomo e donna, liberando quest’ultima dal vincolo che la sottometteva alla volontà di padri, mariti e fratelli per lavorare o viaggiare. Il Codice abolisce la poligamia, proibisce i matrimoni in età precoce, dà alle donne la possibilità di richiedere il divorzio e molto altro ancora. Per la piena indipendenza e autodeterminazione, mancava un ultimo miglio da percorrere, necessario a superare le scorie del fondamentalismo ancora presenti nell’ordinamento.
A tale scopo, il predecessore di Kaies alla presidenza della Repubblica, il laico e moderato Beji Caid Essebsi, aveva istituito una commissione di esperti rivolta appositamente allo studio delle correzioni da apportare per porre fine alle residue forme di discriminazione nel sistema. Tra queste, la commissione aveva puntato il dito sulla disparità tra uomo e donna nel diritto di famiglia.
A stroncare ogni ambizione di riforma in materia a beneficio delle donne, è però intervenuto Kaies. Il presidente si è detto infatti favorevole a una lettura letterale del Corano per dirimere la questione dei diritti di successione, segnando così una netta discontinuità con Essebsi, secondo i desiderata del fronte fondamentalista e ultra-conservatore capeggiato dai Fratelli Musulmani, detentori della maggioranza relativa in parlamento con il partito Ennhada.
Dal punto di vista politico e istituzionale, il presidente tunisino ha finora dato prova di assoluta indipendenza, mal tollerando gli sconfinamenti del leader di Ennhada e presidente del parlamento, Rachid Ghannouchi, in ambiti come la politica estera e di sicurezza, prerogativa del capo dello stato. Anche la nomina di Mechichi a premier incaricato, è indice dell’intenzione di Saied d’impedire ai Fratelli Musulmani di esercitare la propria egemonia sul governo, dopo aver favorito la caduta del precedente esecutivo guidato dal dimissionario Elyes Fakhfakh.
La disuguaglianza di genere è tuttavia un terreno comune nel quale i portatori di una concezione fondamentalista e ultra-conservatrice della religione islamica si sarebbero prima o poi rincontrati, per dare battaglia contro le istanze riformiste e modernizzatrici che brulicano nel mondo politico e nella società. Lo scontro in Tunisia è aperto e le stesse donne sono pronte alla “resistenza” per non perdere le conquiste effettuate, proseguendo l’avanzata lungo la strada dei diritti e delle libertà.
In questo contesto, l’Italia cosa fa? Invece di schierarsi a difesa delle donne tunisine, esigendo anche con l’imposizione di sanzioni un maggiore impegno nell’attuazione degli accordi sul fronte migratorio, il governo non sa fare altro che sperperare i pochi soldi dei contribuenti rimasti in cassa per indurre le autorità locali a cooperare contro gli scafisti, ignorando completamente la presa di posizione di Kaies sui diritti di successione, che presuppone a una guerra culturale vera e propria nei confronti dei diritti delle donne.
D’altra parte, l’Italia ha già scelto con chi stare in Medio Oriente, legandosi a doppio filo al cappio del Qatar e della Turchia di Erdogan, i due grandi sponsor guarda caso di Ennhada e dei Fratelli Musulmani. Pertanto, seppur triste, il silenzio sulla minaccia che incombe sul futuro delle donne tunisine (come su quelle iraniane) è coerente con le scelte di politica estera compiuta dall’Italia. E in nome della resa al fondamentalismo, Giuseppe Conte continuerà a corteggiare Kaies, vantandosi delle lettere di richiesta di collaborazione a lui inoltrate. Gli 11 milioni di euro non sono riposti in buone mani.

Il Libano resterà ostaggio di Hezbollah

A una settimana di distanza dalla catastrofica doppia esplosione del 4 agosto, Beirut non finisce ancora di contare i suoi morti (almeno 160), feriti (più di 6 mila), sfollati e senza casa (300 mila abitanti, un quarto degli abitanti). Il dolore dei libanesi è ancora più grande del cratere che la conflagrazione ha lasciato dietro di sé nella zona del porto, ed è stato il dolore, misto a rabbia, disperazione e a un senso di profonda umiliazione, a rimettere in moto, dopo un rallentamento dovuto al Covid-19, il movimento trasversale di protesta che dallo scorso ottobre chiede a gran voce un cambio di classe dirigente, la fine del sistema di corruzione, maggiore laicità e sviluppo economico, all’ombra del cedro che campeggia al centro della bella e colorata bandiera nazionale.
Sordi alle legittime rivendicazioni della popolazione, per la prima volta unita nella protesta a prescindere dalla religione e dal partito di appartenenza (seppure con qualche rilevante eccezione), la classe “dirigente” al cui vertice si trovano banchieri, uomini d’affari e gli immarcescibili “zaim” locali (i signori della guerra civile, poi divenuti capi tribal-confessionali e leader politici in doppio petto), ha certamente sentito il rumore assordante delle esplosioni, risuonato come campana a morto non solo per coloro che hanno effettivamente perso la vita. La corda del patibolo utilizzata dai manifestanti per impiccare, simbolicamente, le sagome dei vari “zaim”, insieme alla “presa” dei ministeri degli esteri, economia, energia e ambiente, indicano chiaramente che, al cospetto della “rivoluzione”, la classe “dirigente” ha esaurito ogni spazio di manovra (e manipolazione).
A prescindere dalle dinamiche (errore umano o un attacco aereo d’Israele, le principali ipotesi su cui si dividono i libanesi) è un fatto che da quasi 7 anni, i presidenti, i governi, i ministri, le varie autorità “competenti”, comprese quelle attuali, sapevano delle 2,750 tonnellate di ammonio di nitrato giacenti al porto di Beirut. Innegabili, pertanto, sono le responsabilità della classe “dirigente”, accusata di avere le mani sporche del sangue della popolazione libanese, oltre che di continuare ad affamarla respingendo le richieste di riforme e di chiarimenti circa la gestione economico-finanziaria degli ultimi decenni avanzate dalla comunità internazionale, come condizione per elargire nuovi aiuti volti a impedire il definitivo collasso del paese.
Alla luce del grado di corruttela siderale di cui la classe “dirigente” libanese ha dato prova, senza manifestare la benché minima disponibilità al cambiamento, le donazioni in arrivo dall’estero giungeranno direttamente nelle mani delle organizzazioni che sul territorio si occuperanno del salvataggio e della ricostruzione di Beirut, bypassando le istituzioni e la politica, così da evitare nuove dispersioni di fondi. O almeno è questa oggi l’intenzione manifestata dai paesi donatori.
Com’era prevedibile, le esplosioni hanno determinato l‘implosione del fragile esecutivo a trazione Hezbollah, sostenuto dai “cristiani” che fanno capo al presidente, Michel Aoun, e al contestato genero, Gebran Bassil. Sulla scia delle dimissioni di deputati e ministri (informazione, ambiente, giustizia, finanze), il premier Hassan Diab ha optato egli stesso per un passo indietro, dopo che aveva già dato ad Aoun la propria disponibilità a lasciare l’incarico. Diab, docente universitario e sunnita al pari del suo predecessore Saad Hariri (secondo la prassi), era in cerca di una via d’uscita personale che lo mettesse al riparo dall’ignominia e prima delle dimissioni aveva ventilato l’ipotesi di elezioni anticipate, parlando della necessità di un nuovo mandato popolare, in modo da andare incontro, per la prima volta, alle rivendicazioni della “rivoluzione”.
Ma le decisioni in materia politico-istituzionale non possono essere prese senza l’avallo di Hezbollah, che in parlamento resta la forza di maggioranza relativa e non intende cedere le redini del governo senza adeguate garanzie che il Libano non intraprenda un corso sfavorevole all’agenda dell’organizzazione-partito fondamentalista, legata a doppio filo al regime khomeinista iraniano.
L’eccezione di cui sopra si riferisce proprio ad Hezbollah, contro il cui strapotere già ad ottobre si era scagliata in rivolta la gran parte della società civile. Nasrallah, in risposta, aveva assunto un atteggiamento sostanzialmente ostile alla “rivoluzione”, lanciando ripetutamente nelle strade e nelle piazze di Beirut, in tandem con il presidente della Camera, Nabil Berri, le proprie truppe di giovani provenienti dai quartieri sciiti e incaricati di picchiare i manifestanti e bruciarne le tende e le postazioni.
La milizia, gli armamenti, le intimidazioni, la violenza e il terrorismo di Hezbollah hanno scavato un crescente fossato tra il Libano e il mondo circostante, aggravando ulteriormente la situazione economica e sociale per via delle sanzioni. Lo stato di belligeranza e inimicizia con Israele non è messo in discussione da nessun partito, ma l’imposizione dell’inganno della cosiddetta “resistenza”, in nome e per conto di Teheran, si è trasformato in una gabbia che tiene in “ostaggio” l’intera popolazione libanese (sciiti inclusi), come ribadito nelle manifestazioni seguite all’esplosioni del 4 agosto.
Chiamato direttamente in causa per lo stretto controllo esercitato dai suoi uomini sul porto, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha negato qualsiasi coinvolgimento e responsabilità nella tragedia. D’altro canto, che Hezbollah abbia finora disposto del porto come deposito di materiale a uso militare e per la conduzione di altri “affari” è un dato acquisito presso i libanesi (e non solo), comprovato dalla scoperta, effettuata il 9 agosto dalla squadra di salvataggio giunta dalla Francia, di un labirinto di gallerie sotterranee che collega il porto a Dahieh, roccaforte di Hezbollah a Beirut.
Ciononostante, la morsa di Hezbollah sul Libano molto difficilmente si attenuerà. Non è infatti intenzione dell’Iran ridimensionare il ruolo del suo avamposto sul Mediterraneo, né Nasrallah è disposto a farsi indietro. Nell’incapacità di andare allo scontro, con Hezbollah occorrerà pertanto sempre e comunque negoziare. Ed è quanto sembra stia facendo la Francia.
Il presidente Emmanuel Macron si è precipitato nella capitale dell’ex colonia francese immediatamente dopo l’esplosione, in una visita volta a rilanciare il ruolo di Parigi quale protettrice e “mère du Liban”, infondendo coraggio e fiducia in una popolazione a dir poco sgomenta. Al contempo, la sostanza della proposta avanzata da Macron è risultata particolarmente deludente agli occhi della protesta. Il governo di unità nazionale che secondo l’Eliseo dovrebbe succedere all’esecutivo Diab, poggerebbe infatti nuovamente sulla collusione “settaria” tra le varie anime della classe “dirigente” che ha condotto il paese al disastro e che la “rivoluzione” vorrebbe ‒ forse troppo ingenuamente ‒ spazzare via. Inoltre, come accaduto nelle altre esperienze di governo di unità nazionale del passato, Hezbollah continuerebbe a esercitare una funzione predominante.
Con ogni probabilità, tuttavia, sarà questa la strada che verrà intrapresa, sulla base di un accordo che offre ampie garanzie ad Hezbollah (e all’Iran) riguardo sia al mantenimento della sua “posizione” egemone in Libano, che alle indagini sulle esplosioni e all’attesa sentenza del Tribunale internazionale per l’assassinio di Rafik Hariri, prevista il 18 agosto.
Gli esperti francesi inviati da Macron hanno dichiarato, in maniera lampo, che non vi sono prove che lascino pensare che la doppia esplosione “non” sia stata provocata da un incidente: una conclusione “morbida”, forse per mettere a tacere le speculazioni sul coinvolgimento di attori esterni e per preparare il terreno a indagini ufficiali che confermeranno la tesi della “negligenza”, senza però puntare il dito sui principali esponenti della classe “dirigente” libanese, Hezbollah compreso (malgrado le denunce secondo cui, in questi giorni, il lavoro delle squadre di salvataggio internazionali è stato rallentato per evitare che emergessero tracce della “gestione” del porto da parte dei miliziani sciiti).
La contrapposizione tra la “rivoluzione” e l’inamovibile establishment è così destinata a nuove escalation e il record di oltre 700 feriti negli scontri post-esplosioni tra i manifestanti e le forze di sicurezza, dicono che sangue e sofferenze attendono i libanesi anche nel prossimo futuro.

Sudan, la primavera dei diritti umani contro il fondamentalismo

In Sudan è finalmente sbocciata la Primavera dei diritti umani. Il lungo inverno islamista che aveva caratterizzato l’era del generale Omar Al Bashir sta infatti lasciando il posto a una nuova stagione, inaugurata dall’introduzione da parte dell’attuale governo di transizione di una serie di riforme che possono essere considerate davvero “rivoluzionarie” e di “civiltà”.
Per più di trent’anni, già prima del golpe con cui Al Bashir prese il potere nel 1989, il Sudan è rimasto stretto nella morsa del fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, rappresentati dalla nota figura di Hassan Al Thurabi, l’ideologo e uomo politico che all’inizio degli anni ‘90 invitò Bin Laden in territorio sudanese dopo la sua dipartita dall’Arabia Saudita, offrendogli protezione e un luogo sicuro dove proseguire nell’organizzazione del jihad di Al Qaeda.
Insieme a Bin Laden, Al Thurabi intendeva forgiare un’alleanza panislamista antioccidentale che doveva avere come capisaldi Al Qaeda, sul versante sunnita, e il regime khomeinista iraniano, la versione sciita della fedele applicazione della dottrina e della prassi politico-religiosa dei Fratelli Musulmani (non è certo un caso che non si sono mai registrati attacchi terroristici qaedisti in Iran, mentre diversi esponenti dell’organizzazione che fu di Bin Laden trovarono rifugio presso i mullah e i pasdaran di Teheran in seguito all’intervento statunitense e internazionale in Afghanistan).
È solo una certa sinistra occidentale ad ostinarsi a credere che i Fratelli Musulmani siano “buoni”, moderati e che abbiano accettato “lo stato civile e democratico”, come suona e risuona la propaganda “progressista”. Ma i sudanesi sanno bene che così non è e per liberare il proprio paese da Al Bashir e dai Fratelli Musulmani, sono stati in molti, in giovane età soprattutto, a morire o a restare feriti durante le sanguinose proteste sfociate nella caduta della dittatura militare-islamista.
Con la riforma del sistema legislativo e giudiziario entrata in vigore lo scorso 11 luglio, il Sudan ha mosso dunque passi in avanti decisi e concreti verso la costruzione di uno stato democratico e moderno, di cui a beneficiare saranno in primo luogo le donne, il bersaglio preferito del fondamentalismo. Oltre ad aver gettato nella pattumiera della storia le mutilazioni genitali femminili, il governo ha abolito l’obbligo del velo, la fustigazione pubblica per chi non lo indossa e la pratica delle spose bambine (capito Silvia Romano?).
Oggetto di smantellamento è anche il sistema patriarcale che vuole le donne subordinate per legge all’autorità del “maschio” (padre, fratello, marito o altro parente che sia), mentre s’inserisce nell’avanzamento complessivo dei diritti civili anche l’abolizione della pena di morte per l’omosessualità.
A respirare una boccata d’aria nuova e pulita è inoltre la libertà religiosa. D’ora in poi, convertirsi a un’altra religione sarà possibile senza più incorrere nel reato di apostasia e nella pena di morte. I non musulmani potranno quindi festeggiare, essendo stato rimosso per loro il divieto di consumare alcolici.
L’architetto delle riforme è il ministro della giustizia, Nasreddin Abdelbar, 41enne e tra i principali leader del movimento di protesta anti-Al Bashir e anti-Fratelli Musulmani. In un intervento televisivo, Abdelbar ha dichiarato che l’obiettivo è quello di “garantire l’uguaglianza nella cittadinanza e nello stato di diritto”.
“Questi cambiamenti ‒ ha ribadito ‒ puntano a conseguire l’uguaglianza di fronte alla legge. Abbiamo cancellato gli articoli che erano stati causa di discriminazioni”. E non è finita qui, perché Abdelbar ha assicurato “al nostro popolo che le riforme andranno avanti finché non sarà abolita ogni legge che viola i diritti umani”.
Il nuovo corso intrapreso dal Sudan, tuttavia, non sarà privo di ostacoli. I provvedimenti voluti da Abdelbar hanno infatti scatenato la protesta di gruppi fondamentalisti, che sono così scesi in strada, scagliandosi con veemenza contro la “corsa al secolarismo” e inneggiando persino alla “guerra santa”. Quale “mano” li sospinge?
L’uscita di scena di Al Bashir non è piaciuta al Qatar e alla Turchia di Erdogan, che continuano instancabilmente a supportare i Fratelli Musulmani, e neppure al regime khomeinista iraniano, che rivede se stesso nelle sorti a cui è andata incontro la dittatura del generale. I grandi sponsor dell’islamismo sfrutteranno pertanto ogni occasione per boicottare il programma di riforme e riportare indietro il Sudan ai tempi in cui operava come avamposto del fondamentalismo.
La comunità internazionale saprà opporsi alle loro ingerenze, proteggendo la Primavera sudanese affinché diritti umani, democrazia e libertà fioriscano definitivamente?

Il vero volto del Qatar e dei Fratelli musulmani

L’uscita del libro inchiesta Qatar Papers. Come l’emirato finanzia l’Islam di Francia e d’Europa (Lafon, 2019) è un evento spartiacque nell’ambito della lotta al terrorismo e al fenomeno della radicalizzazione in Europa. Gli autori, i due giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot, hanno gettato luce sul sistema di finanziamenti milionari della “Qatar Charity” a moschee, associazioni e militanti dei Fratelli Musulmani in tutto il continente, allo scopo di trasformare i fedeli di religione islamica in militanti fondamentalisti. Nella documentazione fornita da Qatar Papers, il paese che risulta essere il principale destinatario dei fondi provenienti da Doha è l’Italia: segno della sua centralità nel “progetto” del Qatar e dei Fratelli Musulmani, volto a far avanzare l’agenda fondamentalista in territorio europeo e nel resto dell’Occidente. Come supporto informativo e di analisi rivolto alle istituzioni, al mondo della politica e agli addetti ai lavori, questo report prende pertanto in esame il ruolo della “Qatar Charity” nel finanziamento in Italia di realtà associative riconducibili ai Fratelli Musulmani, illustrandone le finalità di tipo proselitistico. Inoltre, viene descritta la crescente influenza in Italia dei Fratelli Musulmani in ambito politico, sociale e culturale, con l’indicazione di una serie di proposte d’intervento e misure di contrasto. Cenni storici introduttivi delineano il contesto internazionale in cui s’inseriscono i finanziamenti del Qatar ai Fratelli Musulmani in Italia.

1. IL VERO VOLTO DEL QATAR E DEI FRATELLI MUSULMANI
Perché il Qatar finanzia il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani? La risposta sta nelle ambizioni degli emiri che occupano il trono di Doha. L’anno della svolta è il 1995, quando con un colpo di stato Hamad Al Thani riesce a spodestare il padre Khalifa e a porsi alla guida del piccolo stato. Forte degli ingenti proventi dell’industria energetica (gas e petrolio), Hamad punta al conseguimento per il Qatar del rango di potenza globale, a cominciare dall’acquisizione dell’egemonia in Medio Oriente. A tal fine, Hamad fa affidamento su due caposaldi: l’emittente televisiva Al Jazeera, fondata nel 1996, e i Fratelli Musulmani, che saranno entrambi i protagonisti di quella passata impropriamente alla storia come “Primavera Araba”.

Le ambizioni di Hamad si sposano perfettamente con il “progetto” della Fratellanza, decisa a sfruttare l’opera di penetrazione compiuta nell’arco di decenni all’interno del tessuto religioso, sociale, culturale, politico ed economico dei paesi di Mashrek, Maghreb e Golfo per prendere il potere e stabilire in tutta l’area dittature fondamentaliste come piattaforma per l’espansione globale, in particolare verso l’Occidente. Le rivolte scoppiate nel 2011 erano finalizzate a portare la Fratellanza al governo di Egitto, Tunisia, Libia, Siria, innescando un effetto domino che avrebbe dovuto travolgere l’intero Medio Oriente e proiettare l’emiro del Qatar all’apice di un nuovo Califfato, l’obiettivo supremo dei Fratelli Musulmani.
L’idea del Califfato è stata rilanciata ufficialmente dall’ISIS, ma appartiene da sempre all’immaginario dei Fratelli Musulmani: dalla loro fondazione nel 1928 avvenuta con Hassan Al Banna in Egitto, alla divulgazione degli scritti dell’ideologo Said Qutb, fino alla tele-predicazione dal pulpito di Al Jazeera dello sheikh del terrore, Youssef Al Qaradawi, l’attuale leader della Fratellanza a livello mondiale, venerato alla corte del clan Al Thani. Sono questi i cattivi maestri che con la loro nefasta influenza hanno radicalizzato intere generazioni di imam, accademici, professionisti, studenti, comuni cittadini, nuclei familiari, donne e giovani nel mondo arabo-musulmano, elaborando le dottrine e le narrative da cui ha preso le mosse il terrorismo jihadista contemporaneo, da Al Qaeda all’ISIS.
L’ISIS è stato perciò la punta di lancia del gelido inverno islamista che i Fratelli Musulmani intendevano inaugurare in tutta la regione, con la spinta economica, politica e mediatica del Qatar. La propaganda della versione in lingua inglese di Al Jazeera si è rivelata indispensabile a far sì che dei rovesciamenti di regime venissero interpretati in Occidente come rivoluzioni democratiche, mentre Al Jazeera in lingua araba trasmetteva i sermoni incendiari, a sostegno persino di attentati suicidi, pronunciati da Al Qaradawi. Dopo i fallimenti delle rivolte in Egitto, Siria e Libia e gli ostacoli incontrati nella corsa al potere in Tunisia, la concretizzazione del “progetto” comune del Qatar e dei Fratelli Musulmani subisce una brusca battuta d’arresto, ma le loro ambizioni di conquista restano immutate.
Il passaggio di consegne avvenuto nel 2013 da Hamad Al Thani al figlio Tamim, l’attuale emiro, non ha prodotto cambiamenti di linea, perché Doha ha continuato e continua ancora oggi a interferire negli affari interni dei paesi vicini e a supportare i Fratelli Musulmani. Inoltre, ha intensificato le relazioni con la Turchia di Erdogan e l’Iran khomeinista, con cui ha dato vita a un nuovo polo dell’islamismo, cementatosi grazie all’ideologia dei Fratelli Musulmani, di cui il regime di Teheran rappresenta la versione sciita. Ciò ha spinto il Quartetto arabo contro il terrorismo (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto e Bahrein) a reagire. Di qui, la rottura delle relazioni diplomatiche con Doha, il lancio dell’embargo nei suoi confronti nel giugno 2017 e la designazione dei Fratelli Musulmani come organizzazione terroristica.

D’altro canto, malgrado le sollecitazioni del Quartetto, l’Occidente non ha preso una posizione netta contro le politiche del Qatar, mantenendo un’equidistanza che ha consentito agli emiri Al Thani di sostenere finora il peso dell’embargo. I giganteschi investimenti effettuati in Europa e negli Stati Uniti impediscono infatti a quest’ultimi di riservare a Doha il trattamento da “stato canaglia” che meriterebbe, sia perché costituisce insieme a Iran e Turchia il principale fattore di destabilizzazione e d’insicurezza nella regione, che per il sostegno finanziario al fondamentalismo dei Fratelli Musulmani nello stesso Occidente, Italia compresa.

2. QATAR PAPERS: COME DOHA FINANZIA IL “PROGETTO” DEI FRATELLI MUSULMANI IN ITALIA
L’esistenza di un “progetto” volto a far avanzare l’agenda dei Fratelli Musulmani anche in Occidente era già stata ampiamente denunciata nel 2005 dal giornalista franco-svizzero Sylvain Besson in La Conquête de L’occident: Le Projet Secret des Islamistes, seguito più recentemente dal mio ultimo libro I Fratelli Musulmani e la conquista dell’Occidente. Da Istanbul a Doha, la linea rossa del jihad (Armando Curcio Editore, 2018). La pubblicazione di Qatar Papers è giunta a complementare questi due volumi, poiché descrive in dettaglio la fase d’implementazione del “progetto”, resa possibile dalle enormi risorse economiche di cui dispone la “Qatar Charity”, il presunto braccio caritatevole degli emiri Al Thani.
Nata nel 1992, l’organizzazione dovrebbe limitarsi a servire i suoi scopi statutari: offrire supporto a comunità e gruppi che hanno bisogno di assistenza umanitaria e sociale. Ma i documenti interni e confidenziali pubblicati da Chesnot e Malbrunot, hanno rivelato ben altro, ovvero come Doha si sia servita della “Qatar Charity” per finanziare moschee, associazioni, centri culturali, case editrici e istituti scolastici legati ai Fratelli Musulmani in Francia, Italia, Germania, Svizzera, Gran Bretagna e Balcani. L’inchiesta dei due giornalisti riguarda il biennio 2013 e 2014, durante il quale erano ben 140 i progetti in corso, per un valore di centinaia di migliaia di euro. Nel libro, sono riportati i testi integrali di corrispondenze dove gli stessi esponenti della “Qatar Charity” fanno menzione delle somme elargite. E se anche questo dovesse non bastare a convincere gli scettici, vengono pubblicate le evidenze di pagamento.
Le pagine di Qatar Papers descrivono paese per paese le principali iniziative finanziate dalla “Qatar Charity”, dedicando un più ampio spazio al caso francese. Ma ad assumere una particolare rilevanza è il capitolo sull’Italia, il paese per il quale nel biennio in questione risulta stanziato il maggior numero di fondi: oltre 50 milioni di euro per un totale di 45 progetti, volti alla realizzazione del “progetto” fondamentale dei Fratelli Musulmani, quello di conquista. Il tutto confermato da email, copie dei versamenti bancari e dalle ammissioni dei diretti interessati, intervistati da Chesnot e Malbrunot nel corso del lavoro d’inchiesta da nord a sud della penisola.

A sottolineare la centralità dell’Italia nei piani del Qatar e dei Fratelli Musulmani, lo spiega senza giri di parole Al Qaradawi in persona, di cui vengono trascritte le parole esatte pronuncia dai teleschermi di Al Jazeera nel 2007: “La conquista di Roma, la conquista dell’Italia e dell’Europa, significa che l’Islam tornerà in Europa ancora una volta. […] La conquista si farà con la guerra? No, non è necessario. C’è una conquista pacifica [e] prevedo che l’Islam tornerà in Europa senza ricorrere alla spada. [La conquista] si farà attraverso la predicazione e le idee”.
Tali dichiarazioni sono ancor più inquietanti poiché corrispondono a quel che accade oggi senza che il Qatar e i Fratelli Musulmani incontrino ostacolo alcuno. In Italia, la strategia del “doppio binario” adottata dall’alleanza islamista si è rivelata particolarmente efficace. In cambio dei massicci investimenti della “Qatar Investment Authority” in ogni settore dell’economia, Doha ha ottenuto il via libera al finanziamento delle attività di proselitismo fondamentalista della Fratellanza in tutto il paese attraverso la “Qatar Charity”.
A beneficiare maggiormente delle donazioni provenienti dall’organizzazione sono state le numerose associazioni che fanno capo all’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (UCOII), vale a dire ai Fratelli Musulmani basati e radicati in territorio italiano. Persino l’ex presidente dell’UCOII e imam di Firenze, Izzeddin Elzir, ha ammesso di fronte all’incalzare degli autori di Qatar Papers che la “Qatar Charity” è il grande banchiere dei Fratelli Musulmani in Italia. Grande attenzione è riservata al nord del paese. Torino, Verona, Brescia, Vicenza, Lecco, Saronno, Piacenza, Alessandria, Mirandola: centinaia di migliaia di euro piovuti su ogni città, diretti nelle casse di enti affiliati all’UCOII. Una menzione particolare merita il caso di Milano. Con una lettera di raccomandazione risalente al 2015, Al Qaradawi sollecitava la “Qatar Charity” a offrire supporto finanziario al CAIM, il Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano e Monza e Brianza, gestito da David Piccardo, figlio di Hamza, tra i fondatori dell’UCOII.

Non tutte le operazioni congegnate dalla “Qatar Charity” e dall’UCOII nel milanese sono andate però a buon fine. Lo stop alla costruzione della moschea di Sesto San Giovanni, cittadina di 80 mila abitanti, brucia ancora ai Fratelli Musulmani e sono valse da parte di Elzir l’epiteto derogativo di “populista” al sindaco leghista Roberto Di Stefano. La colpa di Di Stefano è stata quella di aver posto il veto alla realizzazione di un progetto rispondente a chiare ambizioni di proselitismo fondamentalista, che le precedenti giunte di sinistra avevano avallato.
Lo stanziamento di 10 milioni di euro, con un contributo della “Qatar Charity” pari a 1 milione e 200 mila euro, mirava alla costruzione su un’area di 5.200 metri quadrati di un mega-complesso a tre piani comprendente, oltre alla moschea, un centro culturale, una biblioteca e un centro per bambini: un polo d’attrazione con una capienza di 1.200 persone, la cui prima pietra avrebbe dovuta essere posta in corrispondenza dell’inaugurazione dell’Expo di Milano.
Intervistato da Chesnot e Malbrunot, Di Stefano ha ribadito la sua contrarietà a un progetto sovradimensionato rispetto alle reali esigenze di Sesto San Giovanni, nonché controproducente per l’integrazione dei musulmani residenti nella zona. Ma è appunto la non-integrazione l’obiettivo dei Fratelli Musulmani, che puntano a mantenere le comunità islamiche in Italia e nel resto d’Europa in uno stato di contrapposizione con le società dei paesi in cui risiedono. Il fatto che sul sito dell’associazione promotrice della costruzione della moschea fosse esplicitato che una quota dei finanziamenti sarebbe giunta dal Qatar, ha convinto definitivamente il sindaco di Sesto San Giovanni a bloccare il progetto, temendo che i fondi venissero utilizzati per attività sospette, come quelle d’indottrinamento e radicalizzazione. Alla richiesta di presentare i bilanci avanzata da Di Stefano, l’associazione non ha mai risposto.

Altro episodio significativo in cui le ambizioni in Lombardia di Doha e dei Fratelli Musulmani sono rimaste frustrate riguarda Bergamo, dove la “Qatar Charity” sembra essere incorsa in una truffa. Talmente grande era l’entusiasmo per l’edificazione di un centro culturale che avrebbe dovuto essere il “faro dell’Islam in Italia”, che tra il 2013 e il 2014 da Doha sono giunti ben 5 milioni di euro nelle casse di un’associazione islamica locale in sette rate. Tuttavia, la “Qatar Charity” ha poi scoperto che l’ingente finanziamento sarebbe stato utilizzato per altri scopi che spetta al giudice identificare nell’ambito del processo attualmente in corso. L’UCOII si è dichiarata parte lesa, ma lo è davvero? L’amarezza della “Qatar Charity” è espressa in maniera evidente nella lettera che il Direttore Esecutivo, Youssef Al Kuwari, ha indirizzato a Imad El Joulani, il presunto autore della frode, pubblicata in “Qatar Papers”.
Finora nessuna delusione invece dall’Italia meridionale, dove l’attenzione della “Qatar Charity”, pur non trascurando Campania, Puglia e Sardegna, è concentrata soprattutto sulla Sicilia. Gli investimenti di natura religiosa nell’isola servono a far rivivere i 472 anni della dominazione arabo-musulmana, “durante i quali la regione ha conosciuto sicurezza, stabilità e lo sviluppo di tutte le scienze umane”, come recita la brochure nella quale la “Qatar Charity” presenta il nuovo centro culturale islamico di Messina finanziato per 457 milioni di euro. Far rivivere questo passato mitico serve a promuovere il proselitismo dei Fratelli Musulmani in Sicilia finalizzato alla conversione.
In tal senso, il testo tratto da un’altra brochure della “Qatar Charity” è inequivocabile: “I progetti della QC in Sicilia mirano a radicare la cultura islamica nell’isola e a far conoscere il vero volto dell’Islam a tutti coloro che sono interessati in questa religione e che ad essa vorrebbero convertirsi. È per questa ragione che la Qatar Charity costruisce centri islamici polifunzionali”.
Il partner principale della “Qatar Charity” nell’isola è il Centro Culturale Islamico di Sicilia, anch’esso affiliato all’UCOII. Per la realizzazione della Moschea della Misercordia, nel cuore di Catania, la “Qatar Charity” ha donato 1.7 milioni di euro (il costo totale dell’opera è stato di 2.3 milioni). Alla sua inaugurazione nel 2012, sono intervenuti il numero uno dell’organizzazione, il cosiddetto Supervisore Generale, Sheikh Ahmad Al Hammadi, e il Direttore Esecutivo Al Kuwari, insieme al sindaco della città, al prefetto e ad altri notabili siciliani.

Per quanto riguarda Roma, Qatar Papers richiama l’attenzione sulla moschea Al Huda nel quartiere di Centocelle, inaugurata nel 2015 e con una capienza di oltre mille persone, seconda solo a quella della Grande Moschea di Roma con cui è in aperta competizione. Si tratta di un complesso di 4 piani che oltre alla moschea ospita un centro culturale, una sala conferenze, una biblioteca e una ludoteca aperta a tutta la comunità del quartiere, spazi espositivi e aule per lo svolgimento di corsi di cultura islamica. Il contributo della “Qatar Charity” alla realizzazione di Al Huda è stato di 4 milioni, per un costo complessivo di 5.7 milioni di euro.
Nella documentazione raccolta da Christian Chesnot e Georges Malbrunot, è certificato che “la Qatar Charity ha reso la comunità musulmana dell’Italia, composta da 1.8 milioni di persone su 60 milioni di cittadini, il primo beneficiario dei suoi investimenti in Europa”. I due giornalisti hanno allora chiesto all’ex Ministro dell’Interno e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi d’informazione, Marco Minniti, in carica nel 2013 e nel 2014, come le autorità abbiano potuto lasciare che il Qatar e i Fratelli Musulmani promuovessero liberamente la propria agenda fondamentalista in Italia. “Il problema non è l’entità che finanzia, ma […] la trasparenza e la finalità [dei finanziamenti]”, ha risposto l’esponente del Partito Democratico (PD).
In sostanza, per Minniti non costituisce un problema che il Qatar eroghi finanziamenti volti alla diffusione dell’Islam fondamentalista e militante dei Fratelli Musulmani in Italia, basta che lo faccia seguendo canali legali: un’agevolazione per la “Qatar Charity”, che non deve quindi nemmeno preoccuparsi di occultare l’ingente flusso di fondi destinati all’UCOII. Su questi presupposti, non stupisce che l’UCOII abbia aderito al “Patto nazionale per un Islam italiano” fortemente voluto da Minniti quando era al Viminale, mentre si era rifiutata di firmare la “Carta dei Valori” emanata dalla precedente Consulta per l’Islam italiano.

Messo sotto pressione dalle rivelazioni di Qatar Papers, il nuovo Presidente dell’UCOII, Yassine Lafram, ha ammesso di aver ricevuto la somma di 25 milioni euro “per una trentina di progetti nel quadro di una collaborazione iniziata nel 2013 e andata avanti per un paio di anni”. Tuttavia, come comprovato da Qatar Papers, i finanziamenti ricevuti da associazioni legate all’UCOII sono stati impiegati per progetti che hanno come finalità il proselitismo e la conversione, non l’acquisizione di “33 capannoni in tutta Italia da adibire a sale di preghiera a beneficio di comunità che sono prevalentemente operaie”, come affermato da Lafram.
Per respingere le accuse di promuovere il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, il Presidente dell’UCOII ha imbracciato l’arma dell’islamofobia, utilizzata come clava per colpire chiunque osi denunciare le ambiguità che caratterizzano la sua organizzazione: “Quando lo Stato italiano fa affari miliardari sono tutte operazioni lecite, quando i musulmani in Italia ricevono briciole magicamente si parla di islamizzazione, si cerca in qualche di rappresentare la comunità islamica come una realtà assimilabile all’estremismo”. Tuttavia, i 25 milioni di euro ricevuti dalla “Qatar Charity”, non sono certo “briciole”. Inoltre, la documentazione contenuta in Qatar Papers dimostra che le somme realmente ricevute sono ancora più cospicue e che l’UCOII disponeva già di per sé di notevoli capacità di auto-finanziamento. Si tratta di milioni di euro per ogni singolo progetto: da chi sono stati donati?

3. L’ITALIA DEI FRATELLI MUSULMANI
Dopo l’uscita di Qatar Papers non è più possibile negare l’esistenza di un progetto di conquista dell’Occidente da parte dell’Islam fondamentalista e militante dei Fratelli Musulmani finanziati dal Qatar. È tutto scritto, dimostrato. Eppure, i governi europei continuano a chiudere gli occhi e a lasciar fare, senza prendere provvedimenti contro le centrali di propagazione dell’estremismo che operano al suo interno in piena trasparenza, alla luce del sole, come i luoghi di culto, le associazioni e i militanti dei Fratelli Musulmani in Italia.
Come se non bastasse, all’indifferenza e all’immobilismo delle classi dirigenti, va ad aggiungersi una vera e propria opera di fiancheggiamento dei Fratelli Musulmani da parte di quelle forze che si definiscono progressiste, un alleato fondamentale per l’avanzata dell’agenda fondamentalista. È stato grazie al sostegno e alla legittimazione dei partiti politici e ambienti culturali di sinistra che i Fratelli Musulmani hanno potuto stabilire la propria egemonia sulle comunità islamiche in Occidente, rendendo possibile persino l’ingresso di esponenti dell’organizzazione nelle istituzioni. In particolare, il settore giovanile è un bacino da cui le forze progressiste europee e nord-americane continuano a reclutare ambigui personaggi da lanciare come leader politici, malgrado la loro malcelata affinità con l’estremismo.
Tutto come previsto nel “progetto”, i cui contenuti sono stati illustrati da Besson e nel mio ultimo libro. Tra i 25 punti che definiscono le linee guida per la realizzazione dell’agenda per l’Occidente dei Fratelli Musulmani, un posto di rilievo occupa infatti la formazione di alleanze con le varie anime del mondo progressista. La sinistra del politically correct e del malinteso multiculturalismo rappresenta per i Fratelli Musulmani la porta d’accesso a partiti politici, università e centri di studio, media, organizzazioni non governative, sindacati, da infiltrare e porre al servizio della causa islamista. Da questo punto di vista, un caso di scuola è rappresentato dall’Italia, dove alcuni recenti episodi confermano le relazioni pericolose del PD con organizzazioni e militanti legati alla Fratellanza.

3.1 MILANO CAPITALE DEI FRATELLI MUSULMANI
La sinistra milanese è in prima linea nell’offrire supporto ai Fratelli Musulmani. Il sindaco PD, Giuseppe Sala, ha garantito alla Fratellanza anzitutto potere politico, con l’elezione al Consiglio Comunale tra i ranghi del suo partito di Sumaya Abdel Qader, affiliata al Forum Europeo delle Donne Musulmane, braccio operativo della Fratellanza a Bruxelles. Sala avrebbe voluto conferire ad Abdel Qader l’incarico di assessore alla cultura e ha desistito solo di fronte alle polemiche scatenatesi su scala nazionale. Il sindaco si è comunque prodigato per la regolarizzazione di moschee abusive e per ottenere l’approvazione alla costruzione di nuovi luoghi di culto in diverse zone della città, che l’opposizione teme verranno date in gestione a realtà associative riconducibili ai Fratelli Musulmani.
Oltre all’espansione territoriale, Sala si è mostrato ben disposto a concedere lo spazio pubblico ai militanti della Fratellanza milanese per lo svolgimento di attività propagandistiche. Lo scorso 22 giugno, affiliati appartenenti a diverse organizzazioni si sono radunati in Piazza Duca D’Aosta, “in lutto per l’uccisione del presidente Mohamed Morsi”, morto in realtà di ordinario infarto all’età di 67 anni durante un’udienza in un tribunale del Cairo, dove era in corso uno dei numerosi processi che lo vedeva come imputato.
Il maxi-raduno non aveva unicamente scopi commemorativi, ma si è configurato in una maratona oratoria in cui al microfono si sono alternati sedicenti imam e militanti, che nei loro interventi hanno esaltato la figura di Morsi, il “primo presidente civile” nella storia dell’Egitto, un “martire” che ha “lottato per uno stato civile costituzionale e per l’esercizio della vera democrazia”. Nulla di più falso e manipolatorio, poiché Morsi condivideva la stessa agenda fondamentalista di Al Qaradawi, con l’obiettivo d’imporla attraverso gli strumenti della democrazia a tutti gli egiziani. Ma si tratta della narrativa tipica dei Fratelli Musulmani, la stessa adottata da Al Jazeera, Qatar e Turchia di Erdogan, a cui Sala ha offerto come palcoscenico una delle principali piazze milanesi.
Milano capitale dei Fratelli Musulmani, dunque, isola felice dell’islamismo arcobaleno di Sala e compagni. D’altro canto, Sala non è il solo primo cittadino o esponente politico-istituzionale di sinistra a non fare mistero della propria infatuazione per la Fratellanza. Il problema in Italia investe persino il Quirinale, che malgrado le numerose sollecitazioni non ha mostrato alcun ripensamento rispetto alla decisione di conferire l’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica alla Sorella Musulmana, Asmae Dachan, figlia del capostipite dei Fratelli Musulmani in Italia, Nour Dachan, fondatore dell’UCOII, il satellite della “Qatar Charity” in Italia.

3.2 PREMIATA O CANDIDATA PERCHÉ VELATA
Mentre il mondo arabo continua a combattere per liberarsi dei Fratelli Musulmani e della loro nefasta influenza politica, sociale, culturale e religiosa, in Italia gli esponenti della Fratellanza ricevono non solo incarichi politici grazie al sodalizio con il PD, ma anche premi e riconoscimenti dal Capo dello Stato, già mostratosi particolarmente ossequioso verso il Qatar nel corso della cena ospitata al Quirinale lo scorso 19 novembre in onore dell’emiro Tamim Al Thani.
A proporre il conferimento ad Asmae Dachan, legata a doppio filo ai Fratelli Musulmani, del titolo di Cavaliere al Merito dell’Ordine della Repubblica è stato l’Ordine dei Giornalisti delle Marche, sostenuto dai deputati marchigiani PD Mario Morgoni, Alessia Morani e Francesco Verducci. Ma i presunti meriti giornalistici e di operatrice di pace della giovane, vantati dai peroratori della nomina, servono volutamente a oscurare la dimensione religiosa e culturale a cui la neo-Cavaliere appartiene: quella dell’UCOII, fondata guarda caso ad Ancona nel 1990 dal padre di Asmae, Nour Dachan, membro del ramo siriano dei Fratelli Musulmani.
Non dovrebbe stupire, pertanto, che le attività di reporter che hanno conferito una qualche fama ad Asmae Dachan si siano svolte in zone della Siria a suo tempo controllate da gruppi jihadisti, come il Fronte Al Nusra, legato ad Al Qaeda e supportato da Qatar e Turchia. E neppure il fatto che la giovane giornalista avrebbe avuto contatti con foreign fighters transitati in Italia dalla Siria e con altri militanti estremisti.
Ciononostante, la benedizione del Quirinale all’ordinazione cavalleresca della figlia d’arte su spinta del PD, conferma l’esistenza della cieca volontà politica da parte della sinistra di elevare i Fratelli Musulmani a interlocutore privilegiato, se non unico, dello Stato italiano in rappresentanza dell’intera comunità islamica. Inoltre, segnala la compiacenza della sinistra nei confronti degli obiettivi della Fratellanza, che punta a imporre figure come Asmae Dachan quale modello di donna musulmana in Italia, principalmente perché velata.
Il fenomeno delle forze di sinistra che accolgono nei loro ranghi e promuovono l’immagine e la carriera di donne musulmane a condizione che portino il velo è purtroppo comune a tutto l’Occidente. Basti pensare al PD americano e a Ilhan Omar, la deputata del Congresso che fa sfoggio dell’hijab e non fa mistero dei suoi addentellati fondamentalisti, tra i quali figura il presidente turco Erdogan. In Italia, dopo la candidatura nel Movimento 5 Stelle di Nasri Assiya al Consiglio Comunale di Montoro, provincia di Avellino, il PD ha perso l’esclusiva del “velismo” in politica, che aveva conquistato con Sumaya Abdel Qader,
Naturalmente, Nasri Assiya, giovane laureanda in matematica, ha fatto del proprio capo coperto un simbolo di democrazia e libertà, sebbene ciò non sia bastato a garantirle preferenze sufficienti ad essere eletta. Non bisogna comunque dubitare della sua sincerità, che è frutto della manipolazione ideologica, psicologica ed emotiva subita dal contesto socio-culturale d’appartenenza, improntato alla dottrina dei Fratelli Musulmani. Velata e felice insomma, anche se il velo è sottilmente utilizzato per sancire la condizione di sottomissione della donna.
Con ciò non si vuole in alcun modo denigrare o delegittimare le donne di religione islamica che lo indossano. Il problema è la politicizzazione dell’indumento ed è quello che i Fratelli Musulmani continuano a promuovere in Occidente grazie a partiti come PD e 5 Stelle, i quali, consapevolmente o meno, si pongono al servizio dell’avanzata dell’agenda fondamentalista dei Fratelli Musulmani in Italia finanziata dal Qatar.

4. UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA PER FERMARE IL “PROGETTO” DEL QATAR E DEI FRATELLI MUSULMANI
In Italia, partendo da sinistra, il Qatar e i Fratelli Musulmani sono arrivati a travolgere il sistema-paese nel suo complesso. Fare affari con il Qatar, lasciando campo libero al proselitismo dei Fratelli Musulmani, non si è rivelato un buon affare e liberarsi dal giogo islamista è ormai un’impellenza per l’Italia. Come riuscire nell’impresa? Il primo passo significativo da compiere è quello d’istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta che in collaborazione con la magistratura faccia luce sui finanziamenti del Qatar ai Fratelli Musulmani in territorio italiano. In particolare, occorre accertare scrupolosamente l’identità degli effettivi destinatari dei finanziamenti elargiti dalla “Qatar Charity”, verificando che non vengano o che non siano già stati utilizzati per attività d’indottrinamento e radicalizzazione.
In tale ambito, la Commissione dovrebbe chiamare l’UCOII a fare chiarezza sui restanti 25 milioni di euro che la “Qatar Charity” ha versato nelle sue casse, smentendo se vi riesce la documentazione fornita da Qatar Papers, che conferma il versamento di 50 milioni di euro nel biennio 2013-2014. L’UCOII dovrebbe poi spiegare in che modo sono stati impiegati i 5 milioni di euro oggetto del processo in corso a Bergamo e di cui la “Qatar Charity” ha chiesto la restituzione. La Commissione dovrebbe anche indagare sulle donazioni ricevute dall’UCOII negli anni successivi a quelli considerati da Qatar Papers. Dal 2015 a oggi, l’UCOII ha ricevuto nuovi finanziamenti dalla “Qatar Charity”? Inoltre, oggetto d’indagine per la Commissione dovrebbero essere i legami dell’UCOII con Al Qaradawi e le numerose organizzazioni islamiste in Europa e Medio Oriente riconducibili, direttamente o indirettamente, ai Fratelli Musulmani e supportate dal Qatar e dalla Turchia di Erdogan.
La Commissione, nell’ambito della lotta al terrorismo jihadista, dovrebbe promuovere l’adozione da parte del governo e delle procure di misure volte a stroncare le attività di proselitismo dei Fratelli Musulmani, a cominciare dal divieto per il Qatar di trasferire fondi in Italia e dall’introduzione di controlli stringenti sui bilanci e le movimentazioni di denaro ad associazioni sospette. I Fratelli Musulmani, infatti, occultano le donazioni che ricevono dall’estero attraverso il rodato sistema dell’hawala, che si avvale d’intermediari basati in territorio italiano apparentemente non legati al movimento, mentre con lo stesso sistema contribuiscono al cosiddetto “jihad per procura”, trasferendo somme a gruppi estremisti e terroristici nei vari teatri di crisi. Secondo la Direzione Investigativa Antimafia, le località con il primato delle rimesse verso l’estero nelle quali si nascondono finanziamenti a organizzazioni islamiste sono Milano e la Lombardia, dove la presenza della Fratellanza è in forte ascesa.
In una recente nota basata su informazioni provenienti dalle agenzie dell’Unione Europea, i servizi d’intelligence hanno messo in guardia dalla minaccia sempre incombente dell’ISIS, pronto a colpire strade, stazioni, aeroporti, aree di servizio. Tuttavia, nessun riferimento alla necessità di prosciugare la fonte ideologica del terrorismo: i Fratelli Musulmani, che continuano a seminare la cultura dell’odio con i finanziamenti del Qatar. Si riconosce l’esistenza di attività d’indottrinamento volte a reclutare nuovi adepti da utilizzare per attacchi terroristici, specie tra i giovani della seconda e della terza generazione, ma questa realtà sembra essere accettata passivamente e ogni intervento è rimandato a radicalizzazione avvenuta. L’Italia e l’Europa vogliono davvero sconfiggere l’ISIS? Le centrali di propagazione dell’estremismo non devono essere scoperte. Sono già tutte localizzate e per neutralizzarle bisogna solo decidere di passare all’azione.

*Contributo di Souad Sbai al Rapporto sull’islamizzazione d’Europa della Fondazione Farefuturo