Presentazione della nuova Charta minuta, guidata da Mauro Mazza, nuovo direttore editoriale della Fondazione.
Ottaviani: brigate russe in azione, oggi
Una guerra subdola, impalpabile, all’apparenza meno invasiva dell’orrore a cui stiamo assistendo in Ucraina, ma che sul lungo termine procura danni irreparabili. Un Paese, l’Italia, che per motivi storici ed economici viene percepito dai russi come particolarmente appetibile e malleabile e che adesso si trova davanti il rischio concreto di vedere il voto politico del 2023 influenzato indirettamente da Mosca. Marta Ottaviani nel suo libro Brigate Russe (edito da Ledizioni e pubblicato un mese prima lo scoppio della guerra in Ucraina) ha spiegato cosa sia la guerra non lineare e perché nessun Paese possa dirsi al sicuro.
Marta Ottaviani, come potremmo definire la guerra non lineare russa?
Riassumendo al massimo, si tratta di un insieme di misure volte a destabilizzare il nemico senza che questo se ne accorga, o lo faccia solo quando è troppo tardi. Le caratteristiche della guerra non lineare sono sostanzialmente due: la prima è che non si ferma mai, va avanti anche in apparente tempo di pace, la seconda è che è difficilissima da attribuire con esattezza in tempi rapidi, perché viene portata avanti soprattutto sulla rete, che è il campo dell’anonimato per eccellenza.
Quali sono queste misure?
Attacchi hacker, sciami di troll che hanno il compito di inquinare il dibattito pubblico, un sistema di soft power particolarmente aggressivo e, solo in alcuni casi, l’impiego di truppe non regolari. Sottolineo non regolari perché in Crimea nel 2014 sono riusciti a camuffare invasione proprio così. Ci sono voluti anni per capire quello che era successo veramente.
Perché dobbiamo interessarci alla guerra non lineare russa?
In questi mesi stiamo assistendo a una guerra di tipo convenzionale, novecentesca, scellerata, che sta trascinando in un gorgo l’Ucraina, la Russia e tutta la comunità internazionale. La guerra non lineare però è la guerra del futuro e dobbiamo davvero imparare a farci i conti perché sarà sempre più invasiva e sempre più difficile da individuare in tempi brevi.
Pensa che sia a rischio anche l’Italia?
L’Italia in questo momento è sotto un violento attacco di infowar, che non ha precedenti nel nostro Paese. Dall’analisi degli interventi degli ospiti nei talk show, l’attivismo sui social dell’Ambasciata russa e l’aumento degli account sulle varie piattaforme proprio in occasione di questa guerra mi fa pensare che ci sia una strategia precisa.
Quale?
Portare il nostro Paese dalla parte di Mosca e, se possibile, influenzare anche il voto politico del 2023, sul modello di quanto fatto negli Stati Uniti nel 2016 e in occasione del referendum sulla Brexit dello stesso anno. In Ucraina la Russia sta bombardando innocenti, con la guerra non lineare si bombardano le menti delle persone.
Come ci si difende?
In tanti modi, a partire da una corretta educazione digitale, che secondo me dovrebbe essere insegnata a scuola alle nuove generazioni per le quali i social e il metaverso diventeranno realtà con cui si confronteranno sempre di più. In secondo luogo, si parla giustamente del diritto all’informazione, ma troppo poco spesso del fatto che, nel momento un cui diffondiamo una notizia che abbiamo letto e che troviamo vera, diventiamo parte attiva. Quindi informarsi in modo corretto e approfondito, evitando fakew news, teorie complottiste o le uscite dell’opinionista improvvisato di turno, adesso è anche un dovere. E soprattutto tenere presente una cosa: per noi la libertà di informazione è un valore sacro e irrinunciabile, per la Russia di Putin un ventre molle in cui colpire. Va difesa con la censura, ma con la consapevolezza che qualcuno usa l’informazione per fare la guerra. Le parole d’ordine quindi sono approfondimento e selezione.
L’industria dei cavi sottomarini e gli interessi strategici del Paese
Intervento introduttivo del presidente Adolfo Urso al seminario della Fondazione Astrid su “Industria dei cavi sottomarini: tendenze di mercato e geopolitica”
Colgo in apertura l’occasione per ringraziare Astrid e Franco Bassanini per la possibilità di continuare ad imparare in seminari come questo odierno, perché credo fortemente sia fondamentale per me, ed in generale per la classe dirigente di questo Paese, non smettere mai di apprendere su temi strategici e prioritari di cui è necessario avere approfondita conoscenza se si vuole agire, in tempi rapidi, in un mondo in cui assistiamo a continue accelerazioni nello sviluppo dei principali settori economici e tecnologici. Quindi, cercherò in particolare di ascoltare i vari interventi, che saranno molto utili, così come sono stati già molto utili incontri passati che ho avuto con alcuni di voi per continuare ad apprendere su questa materia.
Si tratta di questioni fondamentali nell’ambito del ruolo di Presidente che svolgo presso il “Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica” (Copasir), soprattutto per allargare anche la prospettiva con cui in quella sede affrontiamo le tematiche della sicurezza nazionale. Il Copasir, infatti, non si occupa soltanto di intelligence, come accadeva in passato, e la stessa denominazione “Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica” indica l’ampio perimetro della politica della sicurezza nazionale nei suoi vari aspetti, anche quelli riguardanti l’industria e la tecnologia del Paese.
Nell’ambito del mio lavoro di parlamentare, tra l’altro, ho presentato in Parlamento una mozione che riguarda proprio la politica italiana sui cavi sottomarini. Una mozione
parlamentare che non è stata né esaminata né discussa dal Parlamento, presentata oltre un anno fa, e che affrontava i temi complessi di cui discutiamo oggi.
È di assoluta importanza sottolineare che noi abbiamo un’industria ed una tecnologia da tutelare e da rafforzare nel campo dei cavi sottomarini. Non siamo infatti secondi a nessuna altra realtà internazionale, e possiamo svolgere un ruolo importante e significativo sotto i diversi aspetti che riguardano, ad esempio, le tendenze di mercato.
Ritengo su questo punto molto significativo il documento che avete presentato, in particolare per come riassume le modalità con cui si è sviluppato il mercato dei cavi sottomarini, come ha avuto un’accelerazione e quali sono i soggetti privati e pubblici, imprese e Stati, che intervengono e che comportano quindi considerazioni di natura geopolitica.
Per quanto riguarda il Copasir, la parte geopolitica di maggiore interesse è ovviamente la parte della sicurezza, tenendo però ben presente che le ricadute nel sistema industriale sono altrettanto significative: se infatti l’Italia perde eccessivo terreno nel campo della tecnologia e dello sviluppo industriale, utilizzare tecnologie altrui ci renderebbe sempre più dipendenti ed – in alcuni casi – soggetti a rischi che riguardano la nostra sicurezza nazionale. Questo vale nel settore di cui stiamo discutendo oggi, come sul terreno più ampio della transizione digitale e della transizione ecologica.
Se, lungo il percorso di queste due transizioni, l’Italia diventa Paese meramente utilizzatore di tecnologia altrui, aumenta in maniera esponenziale la dipendenza da altri paesi, con le conseguenze che tutti conosciamo. In particolare, si tratta della sicurezza nazionale, la quale ruota intorno all’informazione e ai dati che passano attraverso i cavi sottomarini, come è evidenziato sempre nella nota che avete condiviso in preparazione del seminario, ma anche della capacità di sviluppo dell’industria e dell’economia e quindi del lavoro italiano.
Il rischio che davvero corriamo, in riferimento anche all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e di tutto quello che ne deve conseguire in termini di investimenti, è che l’industria ed i prodotti italiani – alla fine – non siano protagonisti
nei settori tecnologici di punta, non siano quindi attori protagonisti delle due transizioni – digitale ed ecologica – verso un’era moderna, verso un nuovo modello di sviluppo.
Parlando più specificatamente dei cavi sottomarini, è importante l’esempio degli hub del gas. L’Italia, infatti, è un hub europeo di gas coi suoi gasdotti, e questo è un elemento di forza del sistema, poiché ad esempio alla luce dei recenti rincari dei prezzi, consente all’Italia di essere abbastanza garantita, se non altro sotto l’aspetto dell’approvvigionamento. Non ovviamente dal lato dei prezzi, poiché su questo aspetto incidono altri fattori legati al settore energetico. L’Italia può però diventare un hub importante anche per quanto riguarda il sistema dei cavi sottomarini e dei cavi terrestri.
In una interrogazione che presentai in Parlamento, prima di divenire Vice Presidente e poi Presidente del Copasir, posi la questione della necessità di una strategia italiana in materia di industria dei cavi, contemplando l’utilizzo dello strumento del golden power nel caso dell’azienda Interoute, una multinazionale europea che possedeva il più esteso backbone in fibra ottica presente sul continente europeo, frutto del lavoro delle imprese italiane, che avrebbe potuto essere recuperato al sistema Italia se il governo avesse attuato la stessa strategia che aveva attuato in passato. Lo strumento della golden power sarebbe infatti determinante per recuperare a sistema anche un’importante dorsale di telecomunicazione, di trasmissione di informazione europea.
Reputo pertanto che manchi all’Italia un “progetto Paese”, in cui lo Stato sappia difendere i propri interessi in settori strategici, in particolare in quelli innovativi dal punto di vista tecnologico. Recentemente, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato, molto correttamente, che lo Stato, nella frontiera tecnologica, deve essere presente. Le sue parole erano riferite alla frontiera tecnologica del digitale, nel campo della green economy e del settore energetico.
Nei settori di frontiera tecnologica, lo Stato deve svolgere un ruolo attivo, come viene svolto ad esempio dalla Repubblica Popolare Cinese o dagli Stati Uniti, secondo un modello di “capitalismo di Stato”. Un esempio è come gli Stati Uniti si stanno muovendo nel settore dello spazio, tema a cui ci stiamo interessando molto anche noi.
Sarebbe pertanto utile che il nostro Paese si dotasse finalmente di una strategia anche nella politica riguardante i cavi sottomarini. Una strategia necessaria perché, come è stato giustamente sottolineato nella nota introduttiva al seminario, ben il 99% delle informazioni e dei dati globali passano attraverso questa infrastruttura. Peraltro, diventa ancor più fondamentale svolgere un ruolo importante in questo settore, in un momento storico in cui connettere le varie aree geografiche è fattore determinante per il modello economico dominante.
In questo contesto, ci auguriamo inoltre che la strategia di cui si deve dotare l’Italia – ma anche l’Europa – consenta al Mediterraneo di svolgere un ruolo importante nel connettere l’area atlantica con l’area del Pacifico, il continente americano e quello europeo e, queste due ultime aree, con le zone in forte sviluppo dell’Africa e dell’Asia.
Il Mediterraneo rappresenta infatti il centro strategico che può connettere tutte queste realtà, uno snodo fondamentale che sarebbe auspicabile, tramite ad esempio gli hub di Palermo o Genova e non solo di Marsiglia, potesse svolgere un ruolo da protagonista nell’ambito dello scambio e della trasmissione di dati e informazioni a livello globale.
La competizione è molto forte anche sulla scelta delle aree dove i cavi sottomarini si ricollegano a quelli terrestri; per questo è importante avere una posizione dell’Italia decisa e in grado di favorire i propri hub e quindi di creare una dorsale italiana strategica a livello internazionale. È necessario quindi porre grande attenzione che le nuove infrastrutture di cavi sottomarini che stanno nascendo e nasceranno nel Mediterraneo non “saltino” i nostri hub, in favore di hub tedeschi (Francoforte) o francesi (Marsiglia), favorendo quindi le economie e gli interessi di altri paesi a discapito dei nostri.
In conclusione, l’Italia deve recuperare al più presto il terreno perso in questo settore strategico anche a causa, e lo dico senza intenti polemici, di alcune privatizzazioni di grandi imprese nazionali che hanno di fatto impedito all’Italia di avere un ruolo importante nella costruzione delle infrastrutture dei cavi sottomarini. Motivo per cui, ad esempio, per altre grandi imprese italiane come Enel ed Eni, fu scelto un modello
diverso, che ha oggettivamente funzionato, in cui il ruolo del pubblico rimaneva centrale. Per altre aziende, come ad esempio Telecom Italia, purtroppo furono fatte scelte diverse: meno di tre decenni fa Telecom Italia era una delle più grandi aziende di telecomunicazione globali ed oggi abbiamo quel che il mercato ci ha riservato.
Si tratta purtroppo di errori del passato che hanno conseguenze importanti sul presente. Nell’ambito del settore di cui discutiamo oggi, quello dell’informazione e dei dati, della loro trasmissione, circa trent’anni fa furono fatte scelte sbagliate, non considerandolo strategico al pari di quello dell’energia, del gas o del petrolio. Non si è avuta la capacità di comprendere che invece si trattava di settori probabilmente ancor più strategici di quelli citati, che – se affrontati con politiche economiche e industriali adeguate – oggi non ci avrebbero posto nella condizione di dover gestire e superare le enormi difficoltà con cui invece dobbiamo confrontarci.
È importante però recuperare il tempo perso e rimediare agli errori fatti in passato, poiché è ancora possibile ritagliarsi un ruolo importante a livello internazionale, applicando un’unica logica in quello che è lo sviluppo del sistema digitale in questo Paese. Lo Stato può avere una sua strategia che può poi declinarsi di volta in volta secondo strumenti diversi: ad esempio, tramite la golden power per difendere i propri interessi nazionali, o tramite la Cassa Depositi e Prestiti, per intervenire in maniera attiva in alcuni settori strategici, o infine attraverso la politica regolamentare.
A monte di tutto ciò, è però decisivo che lo Stato si doti di una strategia ben precisa ed organica, in grado di fare dell’Italia una piattaforma digitale e di connettività tra contenimenti nel Mediterraneo e in Europa. Per questo, è necessario che anche le aziende svolgano un ruolo attivo e centrale nel settore dei cavi sottomarini, ragionando e operando in una logica di sistema. Soltanto ragionando in questi termini, si può giungere ad accordi internazionali che tutelino gli interessi italiani ed europei. Il nostro Paese, ovviamente, non può aderire direttamente a consorzi internazionali, né è dotato di imprese in grado di fare da sole quello che sono in grado di fare le grandi Big Tech americane o cinesi, ma può mettere in campo una strategia di sistema Italia, in cui le
nostre imprese sono incentivate ad aderire a consorzi di imprese internazionali, delineando un piano nazionale che renda la nostra penisola una piattaforma strategica, interconnessa con cavi sottomarini al resto d’Europa e, attraverso l’Europa, all’Atlantico, interconnessa nel Mediterraneo con i paesi africani. In particolare, l’Italia deve mirare a rappresentare un hub centrale tra i paesi della sponda sud del Mediterraneo, che dovranno interconnettersi con la piattaforma europea, e quei paesi che vorranno connettersi con i paesi asiatici, dove nei prossimi anni, è prevista la maggiore produzione di informazione.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che l’Europa resta il continente che produce la maggior quantità di dati ed informazioni, e di conseguenza non dobbiamo dimenticare quanto sia importante preservare questi dati e queste informazioni. Questi elementi, infatti, oggi rappresentano il campo da gioco dove si svolge la partita della geopolitica, ed è estremamente importante per l’Italia svolgere un ruolo centrale. Dotarsi di una gestione strategica dei dati oggi consente, da una parte, di garantirsi maggiore sicurezza nazionale, e, dall’altra parte, di sviluppare i settori dell’industria, della ricerca della tecnologia, incentivando e attraendo investimenti internazionali.
Credo quindi che il seminario che Astrid ha organizzato oggi sia molto importante anche per lanciare un messaggio alle istituzioni, che devono rendersi conto della grande velocità con cui certe dinamiche si stanno sviluppando, anche a seguito della recente pandemia e del lockdown a cui siamo stati costretti. Abbiamo infatti scoperto tutti quanto sia importante il lavoro a distanza, e quanto sia importante la rete Internet. L’uso della rete ha raggiunto livelli incredibili, rendendoci consapevoli sia degli aspetti positivi, sia di quelli negativi in termini di sicurezza e vulnerabilità (ad esempio in ambito sanitario).
Ci rendiamo quindi conto, e mi rivolgo in particolare all’amico Bassanini, quanto sia importante creare una rete in Italia che giunga all’ultimo miglio nel più breve tempo possibile. Se non abbiamo una rete italiana di banda ultra larga, se non abbiamo un Cloud nazionale della pubblica amministrazione che preservi i nostri dati, se non
abbiamo investimenti significativi, una connessione di cavi marittimi e cavi terrestri per farci diventare piattaforma digitale europea nel Mediterraneo e quindi nel mondo, anche le risorse, il PNRR, subiranno una dispersione e andranno a beneficio di altri, non certamente a noi.
*Adolfo Urso, presidente Fondazione Farefuturo
Macron- Le Pen al duello finale
Parigi, 30 marzo
“Rien n’est joué, il faut mouiller la chemise”. “I giochi non sono finiti, bisogna bagnarsi la camicia”, cioè diamoci da fare perché la vittoria al secondo turno non è scontata. La preoccupazione è stata espressa da Emmanuel Macron mercoledì scorso all’ultima riunione del Consiglio dei Ministri, secondo quanto riferisce uno dei presenti.
Nessun problema al primo turno che si terrà domenica 10 aprile. Tutti i sondaggi danno il Presidente quasi al 30%, 9 punti avanti alla probabile sfidante Marine Le Pen che supera a sua volta Jean-Luc Mélenchon, candidato della sinistra, fermo al 14% ed Eric Zemmour, estrema destra, all’11%.
Ma il secondo turno, il 24 aprile, non sarà una
passeggiata per Macron. A preoccupare molti esponenti di En Marche, è l’astensionismo che potrebbe toccare il record del 30% e penalizzare principalmente il partito del Presidente. Molti elettori che al primo turno dicono di votare per la sinistra, non sono sicuri al secondo turno di convergere su Macron, piuttosto pensano di non recarsi alle urne.
Il malcontento a sinistra viene alimentato anche dalla riforma che porterà gradualmente da 62 a 65 anni l’età pensionabile. Una misura questa duramente criticata da Marine Le Pen che reclama “il diritto al riposo per le persone più fragili”. Aggiungi la rabbia non del tutto sopita dei gilet gialli e il quadro si complica per Macron.
I sondaggi degli ultimi giorni che danno in salita Le Pen preoccupano Il Presidente. Lei, la leader di Rassemblement National, ha impostato la campagna elettorale in difesa dei più deboli, un “patriottismo sociale” che le vale nel suo ambiente il titolo di “petit mer” del popolo.
Il ministro dell’Interno Gerard Darmanin ha candidamente espresso a France 5 il timore che la destra possa vincere le elezioni. Un timore o una speranza manifestati da numerosi osservatori politici.
Finora Macron ha coltivato la sua immagine a livello internazionale come presidente di turno del Consiglio Europeo e nel ruolo prestigioso che si era ritagliato nella trattativa per fermare la guerra.
Ma si osserva che le fasce più deboli colpite economicamente dalla crisi si preoccupano più del potere d’acquisto che dell’Ucraina.
Solo da lunedì scorso, 28 marzo, Macron si è immerso anima e corpo nella campagna elettorale. Tre punti principali nel programma del Presidente: lavoro, giovani, ecologia. E la rivendicazione delle cose fatte soprattutto nella sanità: rimborso delle spese per occhiali, cure dentarie e apparecchi acustici.
Maggiori aiuti a chi è in difficoltà, nel programma di Marine Le Pen, lotta alla criminalità e certezza della pena. Quanto basta per sperare di cavarsela questa volta nel duello finale per l’Eliseo, l’ultimo duello perché se perde , ha detto, non si ripresenterà più. Quella attuale è per lei una condizione migliore rispetto al 2017 quando uscì con le ossa rotte dal confronto televisivo con Macron. Stavolta le riconoscono una maggiore padronanza degli strumenti mediatici. Non solo. La presenza alla destra estrema di Zemmour, impegnato principalmente a frenare l’immigrazione, fa da parafulmine alle accuse che pendevano in precedenza sulla testa della figlia di JeanMarie Le Pen. Certo, si contesta a Marine il suo rapporto con Putin. Ma lei minimizza: se c’è un presidente francese che non ha avuto rapporti con Putin lanci la prima pietra.
*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare
Una macchia per la Francia l’assassinio di Yvan Colonna
Parigi“La Corse sous tension après la mort de Colonna”. La morte dell indipendentista corso sui media francesi è al centro delle analisi e delle polemiche. In piena campagna elettorale quella dell’assassinio in carcere di un uomo simbolo dei Corsi è una macchia sul governo e sulle istituzioni. Colonna è deceduto lunedì sera a Marsiglia dopo tre settimane di coma. Il 2 marzo scorso era stato aggredito nel carcere di massima sicurezza di Arles, dove scontava l’ergastolo, da un altro detenuto che lo ha strangolato procurandogli un arresto cardiaco. Viene tacciato di debolezza uno Stato che non riesce a garantire la vita anche a chi è in carcere.
Colonna, 69 anni, era in cella per l’assassino del prefetto Claude Erignac, gli sparò la sera del 6 febbraio 1998 nel centro di Ajaccio. Ma per i Corsi , Yvan, che si è sempre dichiarato innocente, era un prigioniero politico e un’icona.
“En Corse, l’heure est su recuelliment” titola Le Parisienne, è l’ora del raccoglimento. Il silenzio in attesa dei funerali ancora da fissare. Ma dopo i giorni del lutto e del rispetto la protesta potrebbe esplodere violenta nell’isola ferita.
Da anni ogni estate frequento la Corsica. È una forte identità che caratterizza quel popolo. E un profondo senso di orgoglio e di giustizia che colgo negli aspetti quotidiani.
Se vuoi cogliere l’anima profonda della Corsica non fermarti alla costa o ai ritrovi sul mare. Ci sono posti che ti fanno vivere lo spirito vero dell’isola, come “A Filetta” (La Felce). A pochi chilometri dal Canyon di Baracci, Inerpicato su una salita sterrata costellata di buche e avvallamenti a prova di trazione integrale. Scopri questo che non è proprio un ristorante, forse neppure una trattoria, è un luogo per stare insieme, tra Corsi. C’ entri con rispetto e respiri il fascino di un covo. Tavoli in legno ruvido all’aperto, il fuoco, il fumo col profumo di carne alla brace o forse di libertà. Davanti agli occhi i boschi e una valle incantevole; guardi e capisci che Dio esiste. Nel sottofondo i canti popolari in una lingua che ti sembra simile alle cadenze dei nostri dialetti. Canti che parlano di amore e tradimenti, di onore e di vendette. E parlano di giustizia, di patria, di libertà, e di Nazione Corsa.
Leo, il padrone della baracca (che ora di definisce chef), ti tratta con gentilezza e squisita cortesia forse anche perché sei italiano, non so se è così anche con i francesi.
Quando a sera tarda te ne vai, senti quella musica ribelle che diventa una ninna nanna dolce e aspra insieme:
“Pighianu ali’usciu/ So li gendarmi fora Cercanu a Babbitu/ Ma quist’è u n a trist’ura Babbitu è in campagna Duvè lu farà dimora./ Fa la ninna, e fa la nanna Figliulellu dilla mamma”.
Racconta di un bandito inseguito dai gendarmi che si rifugia nella sua casa. La moglie lo nasconde sotto una tela che ha tessuto. Con la tela fa un rotolo e lo stringe in petto come se cullasse un bambino. Quando i gendarmi entrano nella stanza lei intona la ninna nanna. Le guardie se ne vanno senza aver scoperto l’uomo nascosto.
Lungo la strada cartelli bilingue, in corso e in francese. Quasi dovunque è cancellata la scritta in francese.
A cento metri dalla cattedrale di Propriano vedi una scritta gigantesca che nessuno da anni cancella: “Arabi fora”.
Se ti fermi a fare il pieno al Chez Mimì, distributore Esso automatico di Propriano ti avvicini alla pompa e senti partire una musica di sottofondo. No, , non è possibile… è “Brigante se more”:
Amme pusate chitarre e tammure
Pecchè sta musica s’ha da cagnà
Simme brigant’ e facimme paura
E ca sch’uppetta vulimme cantà
E mo cantam’ ‘sta nova canzone
Tutta la gente se l’ha da ‘mparà
Nui simmo co re nuosto burbone
A terra è a nosta e nun s’ha da tuccàL’avevo già ascoltato questo canto, tradizionalista, voce del nostro profondo Sud.
Note che cantano l’identità.
Identità, come quella dei Corsi.*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare
Francia, divisi non si vince
False le accuse di Putin alla Nato
A fronte delle immagini di morte e desolazione che quotidianamente ci giungono dall’Ucraina ( “la dove fanno il deserto la chiamano pace ”, scriveva Tacito circa duemila anni fa……) numerosi commentatori continuano a sforzarsi di accreditare la tesi secondo la quale la brutale invasione russa della limitrofa Repubblica altro non sarebbe che una dopo tutto comprensibile risposta da parte del Cremlino alla minaccia esistenziale che avrebbe potuto costituire per la Federazione Russa un ingresso di Kiev nella NATO, nonché l’installazione a poche centinaia di km dalle proprie frontiere di missili con testata nucleare ( sviluppi ambedue dati naturalmente per prossimi e scontati … dalla propaganda di Mosca ). Si cerca in sostanza di far passare la narrativa ( una sorta di nuovo e pervasivo “senso comune” nell’accezione gramsciana del termine) in base alla quale non vi sarebbe un Paese aggressore ( la Russia di Putin) e uno aggredito ( l’Ucraina ) quanto , piuttosto, una Russia per così dire obbligata a difendersi da un’ Ucraina in mano a “nazisti” ( costante è il richiamo di Putin alla necessità di “denazificare “ il vicino Paese ) e , di fatto, base avanzata delle mire statunitensi e della Alleanza Atlantica su quello che la Russia ( grande, si badi, circa 28 volte l’Ucraina) rappresenta in termini di territorio, risorse e patrimonio spirituale.
Senza addentrarsi in riflessioni di più ampia natura – che pur meriterebbero di essere svolte, ma non è questa la sede- sul retroterra storico e culturale della narrativa putiniana ( nonché sui suoi evidenti obiettivi propagandistici e di ricerca di consenso interno, ma le coraggiose manifestazioni di protesta contro l’”operazione speciale” in Ucraina che continuano a registrarsi in varie città della Russia mi portano a credere e sperare… che tale scommessa del regime potrebbe rivelarsi sbagliata) vorrei qui limitarmi a illustrare perché le asserzioni del nuovo Zar nel senso che ho sopra descritto sono ben lontane dalla realtà e , in quanto tali, fuorvianti. La prima considerazione che mi sento di svolgere – a smentita della affermazione secondo la quale, a partire dalla fine dell’URSS, le aspettative di Mosca di essere coinvolta in un dialogo serio con l’Occidente sull’architettura di sicurezza europea sarebbero state sistematicamente disattese da parte nostra – è quella che ha tratto a quel documento fondamentale nella storia delle relazioni tra l’Alleanza e la Russia post- sovietica ( frutto di lunghi e dettagliati negoziati tra la Federazione Russa e la NATO e, non casualmente, quasi mai menzionato da quanti desiderano alimentare invece la percezione di una Russia scientemente marginalizzata dai vincitori della “guerra fredda”) che è il “NATO- Russia Founding Act”. Si tratta di documento di ampio respiro e di forte valenza politica firmato, in occasione del Vertice alleato di Parigi del maggio 1997, da Eltsin e dall’allora Segretario Generale dell’Alleanza, Javier Solana . La prima sezione del testo precisa, non a caso, i principii stessi che dovranno, da quel momento in poi, improntare il divenire delle relazioni tra la NATO e la Russia.
Tali principii ( al lettore valutare se la parte russa li stia o meno rispettando….. ) includono tra l’altro “ l’ impegno a conformare la propria condotta alle norme del diritto internazionale come riflesse nella Carta delle Nazioni Unite e nei Documenti dell’OSCE “ così come altri ,più espliciti, quali quelli del “ rispetto della sovranità degli Stati e della loro indipendenza, oltre che del diritto di questi ultimi a scegliere le modalità più idonee a garantire la propria sicurezza”. A ciò si aggiunge l’impegno delle Parti “ a rafforzare l’OSCE al fine di creare uno spazio comune di sicurezza e stabilità in Europa”.
La mia seconda riflessione – a smentita della tesi sostenuta da Putin secondo la quale non esisterebbe e non sarebbero mai esistiti un’identità e, tanto meno, un popolo ucraino distinto da quello russo – riguarda ( ma è solo uno tra i tanti Documenti internazionali di analoga valenza che si potrebbero citare) il “Memorandum di Budapest “ del 5 dicembre 1994. L’accordo cioè con il quale Mosca – in cambio della cessione alla Federazione Russa da parte di Kiev, ai fini del successivo smantellamento, dell’imponente arsenale nucleare ereditato dall’Unione Sovietica, e dell’adesione ucraina al Trattato di non-proliferazione (TNP) come poi puntualmente avvenuto – si impegna insieme con Stati Uniti e Regno Unito ( Stati ai quali si sono poi aggiunti , sempre come “potenze garanti”, Francia e Cina) : a) a “ rispettare l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina ; b) “ astenersi da qualsiasi minaccia o uso della forza contro l’Ucraina”, c) “ astenersi dall’esercitare pressione economica sull’ Ucraina per influenzarne la politica”. Inoltre – e vengo, come terzo punto, alla “minaccia esistenziale” che rappresenterebbe per la Russia, sempre secondo Putin e quelle alte sfere militari , un ingresso dell’Ucraina nella NATO ( questione peraltro che , a parte le generiche aperture di cui alle Conclusioni del Vertice di Bucarest dell’ormai lontano 2008, non è mai stata veramente sul tavolo del Consiglio Atlantico ) – mi sembra doveroso ricordare che la NATO è sorta come alleanza squisitamente difensiva e , come tale, si è comportata in ogni occasione nel corso della sua ormai più che settantennale storia. Negli ultimi 30 anni poi l’Alleanza ha sempre cercato un dialogo costruttivo con Mosca.
Nel 2002, con lo storico vertice di Pratica di Mare , è stato ad esempio avviato un nuovo organismo di dialogo a tutto campo con Mosca : il Consiglio NATO- Russia che conferiva al rappresentante russo, seduto allo stesso Tavolo degli Ambasciatori dei Paesi NATO , un livello paritetico con quello dei membri dell’Alleanza nella discussione dei più rilevanti temi securitari e geo-politici di interesse comune . Aggiungo che la collaborazione NATO- Russia è proseguita anche durante i più recenti periodi di allargamento verso est dell’Alleanza , senza particolari recriminazioni da parte russa. L’Alleanza ha correttamente ritenuto di dover sospendere tale interazione pratica con la Federazione Russa solo nel 2014, in risposta all’illegale annessione da parte di quel Paese della Crimea. Ma le riunioni, sempre su iniziativa della NATO, sono riprese a Bruxelles nel 2016, proseguendo nei tre anni successivi e sino a poche settimane fa. L’ultima ha avuto luogo il 12 gennaio del corrente anno. E’ stato del resto solo in risposta alle azioni militari russe in Crimea e nel Donbass che, dal 2016, la NATO ha dispiegato in Polonia e nei tre Paesi baltici – su richiesta, dunque, di Alleati che comprensibilmente si sentivano minacciati- 4 Batllegroup multi- nazionali ( su base peraltro non permanente ma- come convenuto nel “ Founding Act” – di periodiche rotazioni ), mentre sino ad allora non vi erano unità della NATO schierate sul confine orientale dell’Alleanza. Inoltre , anche dopo la crisi del 2014, la NATO ha sempre tenuto ad affiancare alle misure di difesa e deterrenza un’apertura al dialogo con Mosca , anche al di fuori del Consiglio NATO- Russia, come rilevabile del resto dalle Conclusioni dei più recenti vertici dell’Alleanza : dal 2016 ( Vertice di Varsavia ) a oggi. Il Segretario Generale Stoltenberg ha invitato anche recentemente le controparti russe – ovviamente prima del brutale attacco all’Ucraina – a una seria di incontri sulla sicurezza europea anche per discutere , in buona fede, delle preoccupazioni di Mosca in materia. Mi sembra dunque evidente che mentre l’Alleanza si confrontava in buona fede con Mosca , quella dirigenza già stava pianificando un’ingiustificata e ingiustificabile invasione dell’Ucraina. E’ dunque la Russia , e non la NATO, a essersi rivelata non interessata a un dialogo serio con l’Alleanza.
Da ultimo, a conferma della linearità del comportamento dell’Alleanza nei confronti di Mosca, va rilevato che il rispetto degli impegni dalla stessa assunti ha riguardato anche la questione del dispiegamento di armi nucleari sul territorio dei nuovi membri. In sostanza – a smentita questa volta delle ricorrenti affermazioni di Putin circa i gravi pericoli che un ulteriore allargamento della NATO farebbe gravare sul suo Paese sotto tale profilo – nessuno può contestare che gli Alleati hanno dato, e stanno continuando a dare piena attuazione , al relativo passaggio del “Founding Act” : “ Gli Alleati ribadiscono il loro statement del 10 dicembre 1996 in base al quale essi non hanno intenzione né vedono ragione di di dispiegare armi nucleari sul territorio dei nuovi Stati membri , né di modificare la postura o la politica nucleare dell’ Alleanza”. Tutto questo – merita sottolineare – a fronte della presenza, invece, di missili “dual use….” a medio e corto raggio nella exclave russa di Kaliningrad : nel cuore cioè del dispositivo NATO in Europa , a ridosso della Polonia e degli stati baltici . Paesi piccoli per dimensione, ma grandi per il coraggio mostrato nel corso della loro travagliata storia e per il loro senso di identità, nei confronti dei quali Putin sta inviando segnali decisamente inquietanti : a cominciare dall’esplicito sostegno da lui fornito lo scorso 4 marzo all’aspirazione “ dell’amica Bielorussia” di disporre di un accesso al Mar Baltico.
In conclusione – e per riprendere la felice formulazione di un recente editoriale sul Corriere della Sera del Professor Galli della Loggia – “ La storia della NATO ( NdR: quale fattore alla base dell’aggressione russa all’Ucraina ) è un puro pretesto . L’Ucraina attuale va spenta perché da il cattivo esempio, perché Putin deve dimostrare alla sua opinione pubblica che l’unico destino possibile per la Russia è quello che lui incarna . Che dopo il comunismo la storia della Russia non prevede che possa esserci la libertà”. Sono parole nelle quali pienamente mi riconosco pur senza rinunziare a sperare che possa trattarsi di previsione destinata a essere smentita dai fatti. Perché ciò avvenga è però indispensabile che la solidità del “vincolo transatlantico” emerso con tanta evidenza sin dai primi giorni della drammatica crisi in atto ai confini orientali del perimetro dell’Alleanza si mantenga e , se possibile, ancor più si rafforzi a fronte della sfida lanciata da parte russa non solo alla coraggiosa e libera Ucraina ma anche all’insieme dei valori intorno ai quali si è costruita, nei secoli, l’identità del nostro continente cosi come quella dei nostri imprescindibili alleati d’oltre-oceano: Canada e Stati Uniti.
*Gabriele Checchia, ambasciatore, responsabile per le Relazioni internazionali della Fondazione Farefuturo
La sicurezza della Repubblica per fronteggiare la “guerra ibrida”
Pubblichiamo il testo dell’intervento in Aula del 15 marzo del senatore Adolfo Urso in occasione del dibattito sulla relazione annuale del Copasir
Signor Presidente, cari colleghi, intervengo per la seconda volta in quest’Aula da quando sono stato eletto Presidente del Copasir nel giugno dell’anno scorso. L’ho fatto solo durante le comunicazioni del Governo sulla guerra in Ucraina, per dar conto proprio degli allarmi che il Comitato aveva espresso nelle sue relazioni sulla postura aggressiva della Russia in Ucraina e, più in generale, in Europa e nel Mediterraneo allargato, nei Balcani, in Libia e nel Sahel, in Africa; una minaccia accresciuta nel tempo, tesa ad accerchiare l’Europa, anche attraverso il controllo dell’energia e delle materie prime, pronta a utilizzare ogni mezzo in una moderna, terribile e pervasiva guerra ibrida.
Avevamo evidenziato il dispiegamento militare russo intorno all’Ucraina, così come le conseguenze del referendum costituzionale in Bielorussia, che avrebbe cancellato la neutralità di quel Paese, permettendo, quindi, alle truppe russe di agire, anche con dispositivo nucleare, dalla Bielorussia.
Avevamo evidenziato nel tempo, anche nelle precedenti relazioni, l’azione di spionaggio e di reclutamento russo nel nostro Paese; la pervasività della penetrazione russa in Europa, tesa a condizionare le istituzioni democratiche; l’azione aggressiva realizzata nei nuovi domini bellici, nello spazio e nel cyber e l’uso sistematico dei mercenari della Wagner, non soltanto in Africa.
Avevamo scritto, tra l’altro, e cito testualmente: «(…) un’escalation militare in Ucraina potrebbe comportare un ulteriore peggioramento della situazione, che risulterebbe rovinosa anche e soprattutto per l’Italia, che deve a Mosca oltre il 40 per cento delle importazioni» di gas. L’avevamo scritto.
Peraltro, proprio sulla sicurezza energetica il Copasir ha realizzato una specifica relazione al Parlamento il 13 gennaio di quest’anno, al termine di oltre sei mesi di indagine conoscitiva. In quella relazione abbiamo evidenziato la necessità di affrancarci dalla dipendenza estera, tanto più da Paesi come la Russia, che utilizzano l’energia quale fattore di potenza.
In quella relazione indicavamo alcune soluzioni, che sono poi quelle che ora il Governo si appresta a varare incalzato dall’emergenza. Già allora parlavamo della necessità di raddoppiare la produzione nazionale di gas, di diversificare le fonti, di utilizzare il potere sostitutivo dello Stato per gli impianti solari ed eolici che erano bloccati. Già allora parlavamo del nucleare di quarta generazione e dell’ipotesi di fusione nucleare, che il presidente Draghi ha citato pochi giorni fa alla Camera dei deputati. Erano tutte indicazioni già contenute nella nostra relazione sulla sicurezza energetica.
Così come, nella conclusione della relazione, abbiamo indicato con chiarezza l’assoluta necessità di realizzare un piano nazionale di sicurezza energetica al fine di raggiungere un’autonomia strategica, tecnologica e produttiva nel quadro europeo occidentale, di cui finalmente si parla a fronte dell’emergenza.
Cari colleghi, oggi finalmente discutiamo in modo compiuto di sicurezza nazionale sulla base della relazione annuale del Copasir del 9 febbraio. È una novità importante. Onorevoli colleghi – come abbiamo detto nell’incipit della relazione – in passato non è mai accaduto che una relazione annuale del Copasir o una relazione annuale della Presidenza del Consiglio fossero esaminate in Assemblea. La legge n. 124 del 2007, di quindici anni fa, prevede queste due relazioni che non sono state mai esaminate in Parlamento, né in Assemblea, né in Commissione. Per tale ragione, a nome del Comitato, ringrazio la Presidenza e i Gruppi parlamentari di averne condiviso la necessità – come spero accada ogni anno – con una specifica sessione parlamentare. Era questo ciò che chiedevamo nella premessa della nostra relazione annuale; una sessione parlamentare come quella che si svolge ogni anno sulla giustizia, con conseguenze poi legislative.
In questi anni in Assemblea si è svolto soltanto un dibattito su un argomento di competenza del Copasir, nel 2009, con l’allora presidente Rutelli. Si trattava del caso delle intercettazioni su cui peraltro – guarda caso – tanti anni dopo, il 21 ottobre dello scorso anno, siamo stati costretti a fare noi stessi una relazione al Parlamento. Nella nostra relazione sul sistema di intercettazioni abbiamo denunciato come perduri una situazione di assoluta discrezionalità sulle modalità e i criteri con cui vengono affidati i mandati a eseguire le intercettazioni giudiziarie anche in merito alla conservazione o alla distruzione delle stesse.
Ricordo a tutti che siamo sotto procedura di infrazione europea, perché le procure non intendono attuare quanto previsto in una precisa direttiva europea e quanto stabilito dalla legge italiana. Aspettiamo che il Ministro della giustizia mantenga quel che si era impegnato a fare nel corso dell’audizione.
In altri casi, invece, alle nostre relazioni sono seguite azioni concrete. Mi riferisco – per esempio – alla sicurezza cibernetica, che è stata oggetto della nostra prima relazione al Parlamento a inizio legislatura. Essa ha portato all’estensione del golden power al settore delle telecomunicazioni, alla realizzazione del perimetro nazionale sulla sicurezza cibernetica, alla nascita, seppure solo nel giugno scorso, con oltre dieci anni di ritardo, dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Non è stato dato seguito, invece, alla nostra richiesta di allora volta a individuare una fattispecie di reato che consentisse di perseguire gli autori degli attacchi in modo adeguato e di predisporre una difesa attiva; cosa di cui ovviamente si parlerà nei prossimi giorni.
In questa relazione evidenziamo a tal proposito anche la necessità di realizzare al più presto il cloud nazionale della pubblica amministrazione, la rete unica a controllo pubblico, una politica strategica per la connessione marittima, l’autonomia tecnologica e produttiva europea nell’economia digitale.
Purtroppo – cari colleghi – non vi è stata sufficiente attenzione nemmeno quando notavamo che la Russia è lo Stato più attrezzato nella guerra cibernetica e oggi dobbiamo pensare a come eliminare le criticità che possono emergere dal fatto che software antivirus russi siano utilizzati come cavalli di Troia. In queste ore il Governo – ovviamente anche dietro nostra sollecitazione – prenderà altre necessarie misure di cui siamo stati correttamente informati – come sempre accade – in un confronto pieno e leale tra gli organi istituzionali. Lo stesso vale – anzi di più – per la tecnologia cinese, di gran lunga più pervasiva, come abbiamo ampiamente dimostrato tre anni fa e ribadito in questa relazione, chiedendo, purtroppo senza successo, di inibire l’uso della tecnologia cinese nel sistema delle telecomunicazioni.
Altre indicazioni del Comitato sono state recepite e ne diamo conto in questa relazione, per esempio con l’estensione del golden power al settore finanziario e bancario e ad altri importanti asset strategici del Paese, anche alla filiera sanitaria; o con la norma penale che punisce la detenzione di materiale a fini terroristici. Penso altresì all’indicazione contenuta nella nostra relazione su come contrastare la radicalizzazione islamica e le nuove forme di terrorismo jihadista, che abbiamo presentato a seguito della caduta di Kabul nel regime talebano. Questa indicazione è stata di recente recepita dalla Commissione affari costituzionali della Camera e, quindi, abbiamo fatto un passo in avanti.
Sicuramente vi è molto altro da fare. Nella nostra relazione annuale abbiamo evidenziato quali siano alcuni asset strategici del Paese di cui ci siamo occupati nella nostra attività annuale: dalla ricerca all’università, alla tutela dei brevetti della tecnologia, dall’economia digitale alle infrastrutture portuali, dalla filiera siderurgica a quella automobilistica, dai semiconduttori alle batterie, dall’idrogeno al riciclo dei minerali preziosi, dalla nuova competizione duale sullo spazio all’industria della difesa. Sullo spazio come fattore geopolitico – oggi si parla di guerra interspaziale – e sulla difesa europea stiamo per concludere, dopo mesi di indagini, due apposite relazioni che vi presenteremo nei prossimi giorni; indagini che non a caso abbiamo attivato dopo la sciagurata ritirata dall’Afghanistan.
Nella relazione annuale, però, vi abbiamo già anticipato alcune osservazioni sulla difesa europea. Nello specifico, vi abbiamo anticipato come già a noi appariva insufficiente, ben prima dell’invasione russa in Ucraina, una previsione di appena 5.000 militari come forza rapida europea, a fronte del fatto che solo l’Italia impiega 9.200 militari in missioni internazionali. Anche in questa relazione vi abbiamo anticipato come ci sono apparse del tutto inadeguate le risorse previste nel quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea; risorse che sono state dimezzate rispetto a quanto prevedeva il precedente bilancio. Ora ovviamente tutto cambierà sotto l’incalzare della guerra – come ha fatto la Germania – e, se lo ha fatto la Germania, capite che dobbiamo farlo anche noi.
Chiediamoci però se la minaccia russa non sia anche frutto della distrazione europea, del nostro non voler vedere quello che accadeva. Non possiamo più permettercelo. Anche per questo un ampio capitolo della relazione riguarda l’intelligence economica, tanto più importante a fronte della guerra ibrida che è in corso da anni, non da oggi, e di cui il principale terreno di contesa è proprio il nostro Mediterraneo allargato. Si tratta di una guerra ibrida in cui sistemi autoritari (Cina e Russia in testa, ma non solo) aspirano alla supremazia tecnologica ed economica anche attraverso il controllo delle risorse energetiche e alimentari del pianeta, dal gas all’acqua, di materie prime, minerali preziosi e terre rare, di tutto ciò che serve all’economia digitale ed ecologica – lo dobbiamo assolutamente realizzare – che però sta cadendo sotto il loro controllo.
Chi non ha notato (noi lo abbiamo notato) che negli ultimi mesi si sono svolti sei golpe militari, di cui cinque riusciti, in quattro Paesi del Sahel, in due dei quali ovviamente hanno chiamato i mercenari della Wagner?
Intelligence economica e intelligence cibernetica si legano l’una all’altra. Per sottoporlo alla vostra attenzione, abbiamo condotto un confronto con alcune democrazie occidentali, con le nostre democrazie occidentali, Stati Uniti, Francia, Giappone, Svezia, che da tempo hanno sviluppato una intelligence economica, per capire cosa si possa fare, di più e meglio, nei Paesi democratici, a tutela della nostra tecnologia e delle nostre imprese, della nostra scienza e creatività, della nostra società e, quindi, delle nostre libertà.
Qualcosa è stato fatto a normativa vigente, su nostra richiesta pienamente condivisa dal Governo, e ne diamo atto anche al sottosegretario Gabrielli, come abbiamo fatto nella nostra relazione. Ma è necessario fare ancora di più, con apposite modifiche legislative, perché quanto è stato fatto finora è a legislazione vigente. Cambiare la legge è compito del Parlamento.
In questo contesto, abbiamo evidenziato come lo strumento del golden power sia utile, necessario, ma non sufficiente. Serve anche una politica industriale che punti a preservare e, se possibile, rafforzare gli asset strategici del Paese. Lo stesso strumento del golden power, notevolmente rafforzato in questi anni, è ancora poco usato. Guardate le relazioni al Parlamento sul golden power. Lo diciamo perché, talvolta, il Parlamento è distratto. Lo stesso strumento del golden power, notevolmente rafforzato in questi anni proprio su impulso del Comitato, va ulteriormente adeguato alle evidenze emerse nella sua applicazione. Il caso di Alpi Aviation, una piccola impresa ad alto contenuto tecnologico, che abbiamo esaminato e di cui vi diamo conto nella nostra relazione, sulla quale il Governo è recentemente intervenuto, bloccando la vendita a una società cinese statale, ci ha determinato nel chiedere che lo strumento del golden power contempli anche un’azione preventiva di monitoraggio, a tutela proprio delle piccole e medie imprese ad alto contenuto tecnologico, come accade in altri Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti. Questo è nella nostra relazione.
La nostra relazione ha sempre un preciso metodo di lavoro empirico: parte da un caso specifico, come quello sopracitato e dà conto delle nostre sollecitazioni al Governo ad agire nei limiti della legislazione vigente. Ciò avviene nel corso di audizioni (guardate il numero di audizioni fatte lo scorso anno, soprattutto nella seconda parte dell’anno) oppure attraverso note informative specifiche alle autorità competenti (leggete le note informative specifiche che abbiamo inviato e a chi le abbiamo inviate). Infine, attraverso le relazioni al Parlamento, sollecitiamo il legislatore a intervenire.
Ad esempio, nel campo del controllo sull’operato del comparto, cioè dell’Intelligence, sul quale c’è un intero capitolo e che è compito precipuo del Comitato, abbiamo riscontrato il caso Marco Polo Council. La nostra attività in proposito ha consentito all’autorità del comparto di predisporre un primo provvedimento sulla incompatibilità dei vertici dell’Intelligence dopo la cessazione del servizio. Provvedimento pubblicato in via straordinaria nella Gazzetta Ufficiale, affinché terzi ne fossero a conoscenza.
Ora occorre migliorare l’impianto legislativo, il che è compito del Parlamento. Così come, verosimilmente, mi auguro facciano anche altri organi dello Stato per quanto di loro competenza.
Nella parte conclusiva della relazione forniamo pertanto alcune indicazioni su ciò che riteniamo necessario modificare nella legge 124. Una legge ottima, ma approvata nel 2007, quindici anni fa, quando la guerra ibrida non era nemmeno immaginabile, quando la Russia sostanzialmente era ancora nello spirito di Pratica di Mare.
Nella relazione diciamo che è necessario fare già da subito una cosiddetta manutenzione ordinaria, ma assolutamente necessaria, e vi elenchiamo anche i punti in cui occorre intervenire.
Nel contempo, però, abbiamo evidenziato come la normativa abbia bisogno di una revisione più significativa anche per quanto riguarda l’architettura e le competenze delle agenzie di intelligence. Per tale motivo, abbiamo preannunciato che, nella prossima e conclusiva relazione di fine legislatura, al termine di ulteriori approfondimenti, forniremo le nostre relative informazioni in un confronto preventivo al Copasir con il Governo. Tra l’altro, abbiamo affrontato una tematica, emersa sia in questa legislatura che nella precedente, relativa alla composizione del Comitato nel momento in cui muta la collocazione parlamentare maggioranza-opposizione.
Nella precedente legislatura si era supplito con una leggina transitoria, incrementando il numero dei parlamentari componenti il Comitato: ce lo siamo dimenticato? Ebbene, noi non lo abbiamo dimenticato; ragion per cui abbiamo proposto in questa relazione una soluzione normativa che consenta ai Presidenti delle Camere di intervenire quando cambia la ripartizione maggioranza-opposizione per regolare l’attività del Comitato che di fatto, nei primi sei mesi dello scorso anno – si veda il numero di audizioni e di interventi – si era praticamente ridotto a un numero esiguo, quasi paralizzandosi rispetto a quello che abbiamo fatto nella seconda parte dell’anno. Non si può paralizzare l’attività del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica; non lo si può fare, ovviamente, tantomeno oggi.
Cari colleghi, leggendo il combinato disposto della relazione annuale e della relazione sulla sicurezza energetica, qualcuno ha scritto che il Copasir aveva previsto quel che sarebbe accaduto – alcuni giornalisti si sono sbizzarriti su questo – con l’aggressione militare in Ucraina. Qualcosa di significativo avevamo detto nei modi in cui potevamo dirlo, ovviamente, sulla base delle audizioni segretate che avevamo tenuto e, quindi, delle informazioni che noi stessi ricevevamo, perché la nostra fonte di informazione sono le audizioni: l’Intelligence, il Governo, le autorità che convochiamo, non altro, a scanso di equivoci.
Ora occorre reagire, consapevoli che siamo a un punto di svolta nella storia, a un passaggio epocale. Il mondo che sognavamo non c’è più e forse non c’era nemmeno ieri; vi è un prima e un dopo, e non serve a nulla recriminare o rinfacciare, o peggio ancora mettere in difficoltà l’avversario o l’alleato per quello che aveva dichiarato in altri tempi, in un’altra epoca storica, quando aveva altre informazioni. Questo è un gioco al massacro che non serve al Paese.
È il momento dell’unità e della responsabilità, come si sono realizzate (unità e responsabilità) nella risoluzione che definisce quale debba essere la posizione dell’Italia sulla guerra in Ucraina: una guerra che ci riguarda, perché è una parte della guerra ibrida che, con mezzi anche diversi, ma altrettanto devastanti, i sistemi autoritari hanno sviluppato nei confronti delle democrazie occidentali per sottometterci e, se volete, anche in qualche misura per toglierci le nostre libertà.
È un problema che riguarda anche l’Occidente. Vi pongo un esempio che deve essere chiaro a tutti, perché la tecnologia si sviluppa, e oggi la tecnologia consente agli algoritmi – attraverso il riconoscimento facciale e solo attraverso quello – di capire quali siano le opinioni politiche del cittadino che viene sottoposto al riconoscimento facciale, senza altre informazioni. Capite bene cosa ciò significhi rispetto a Paesi in cui è prevalente il controllo sociale del dissenso e in Paesi come il nostro in cui è fondamentale la privacy e le libertà degli individui, delle comunità e delle Nazioni.
Per questo mi auguro che la stessa unità e la medesima responsabilità si realizzino ogni qualvolta affrontiamo le tematiche della sicurezza della Repubblica, che non è soltanto il controllo sull’Intelligence; lo dico a scanso di equivoci.
Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, già nella sua denominazione, che il Parlamento ha scelto nel 2007, a differenza del Copaco precedente, non si limita al controllo dell’Intelligence – fa anche quello, ovviamente – e non si limita nemmeno agli apparati dello Stato, perché non parliamo di sicurezza dello Stato.
Nella denominazione si parla di sicurezza della Repubblica, che è qualcosa di più e di diverso – il legislatore è stato lungimirante – rispetto al controllo sull’intelligence o anche semplicemente al controllo sulla sicurezza dello Stato.
Per questo ci siamo occupati di relazioni tematiche: ne abbiamo fatte sei in questa legislatura, di cui tre negli ultimi sei mesi. Gli argomenti appaiono poco pertinenti a chi non guarda nell’ottica della sicurezza nazionale, ma oggi sappiamo quanto è importante la relazione che abbiamo fatto sulla sicurezza finanziaria e del sistema assicurativo del nostro Paese, a fronte delle decisioni che – per esempio – l’Europa e il mondo occidentale hanno dovuto assumere in materia di sanzioni finanziarie nei confronti della Russia. Allo stesso modo, ci rendiamo conto di quanto importante sia stata la relazione sulla sicurezza cibernetica di tre anni fa, rispetto alla possibilità che ci sia un attacco cibernetico nel nostro Paese e alle misure che devono essere prese per evitare che, attraverso il cavallo di Troia della tecnologia, si possano espropriare le nostre informazioni o, peggio ancora, scatenare una guerra cibernetica nel nostro Paese.
Mi auguro, quindi, che la stessa unità e la medesima responsabilità si realizzino ogniqualvolta parliamo di sicurezza alla Repubblica e che finalmente ogni anno si svolga una relazione, con una sessione con risoluzioni finali, in cui vengano esaminate e comparate la relazione della Presidenza del Consiglio che viene svolta ogni anno a febbraio e la relazione annuale del Copasir, in modo che il Parlamento e il Paese si possano rendere conto di come cambiano, rispetto ovviamente a quanto accade in ogni contesto internazionale, le necessità della sicurezza della Repubblica. Credo che questo sia utile al Parlamento per predisporre poi le misure necessarie.
Ritengo che in questo caso noi potremmo dire davvero di aver risposto alle necessità del Paese.
Concludo, cari colleghi, dicendo che dobbiamo renderci conto che non possiamo fuggire dalla storia, anche se forse lo vorremmo. Non possiamo fuggire dalla storia e la storia oggi ci impone di prendere da subito le misure necessarie per quanto riguarda la nostra difesa, la nostra sicurezza e gli asset strategici del nostro Paese per fronteggiare, insieme alle altre democrazie occidentali, nella nostra Unione europea e nella nostra Alleanza Atlantica quello che abbiamo di fronte.
Non possiamo fuggire dalla storia, possiamo però cambiare la storia.
*Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica
Il Copasir aveva denunciato l’aggressività della Russia
Pubblichiamo il testo dell’intervento del 1° marzo del senatore Adolfo Urso in occasione del dibattito in Aula sulla posizione dell’Italia sulla guerra in Ucraina
Signor Presidente, intervengo per la prima volta in quest’Aula da quando sono stato eletto Presidente del Copasir, utilizzando il tempo che mi è stato concesso dal mio Gruppo per evidenziare innanzitutto proprio quanto il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica abbia fatto in questi mesi proprio sulle questioni che ora dovremo necessariamente affrontare, in un clima di emergenza sull’onda della guerra nella nostra Europa. Sarà poi il senatore La Russa, in sede dichiarazione di voto, a esporre la posizione del Gruppo.
In questi mesi, con gli altri colleghi del Copasir abbiamo svolto un’intensa attività, come prescrive la legge, in vincolo di segretezza, con indagini, audizioni e analisi di cui abbiamo dato conto in relazioni specifiche al Parlamento – queste sì – pubbliche. In esse abbiamo evidenziato, tra l’altro, con estrema chiarezza proprio la postura aggressiva della Russia, non solo in Ucraina e nell’Europa orientale, ma in ogni area di interesse strategico italiano ed europeo: dai Balcani al Caucaso, dal Mediterraneo al Sahel, secondo una strategia volta al mantenimento della supremazia energetica, al controllo delle materie prime, anche al fine di accerchiare la nostra Europa.
Avevamo segnalato anche cosa stava accadendo in Bielorussia con il referendum costituzionale; le nuove minacce che si alzano in Bosnia e in Kosovo; il rafforzamento del dispositivo militare russo in Siria; la presenza dei mercenari della Wagner in Libia e i golpe militari – sei – nel Sahel, alla frontiera del nostro Mediterraneo allargato, che spianano la strada proprio alla Wagner. Significative peraltro le manovre navali militari congiunte di Russia, Cina e Iran svoltesi in gennaio nel Golfo dell’Oman.
Avevamo anche indicato con chiarezza la necessità di predisporre una vera difesa europea, come ha indicato il Presidente del Consiglio oggi, complementare alla NATO, per aumentare la difesa dell’Alleanza atlantica nel nostro continente e nel Mediterraneo allargato. Tra breve consegneremo la relazione sullo spazio, come fattore geopolitico su cui proprio Italia, sesta potenza spaziale civile al mondo, può giocare un importante ruolo. Difesa e spazio saranno peraltro oggetto delle decisioni che l’Europa dovrà assumere in marzo con lo Strategic compass e il progetto di autonomia strategica spaziale, oggi più che mai necessario. Abbiamo però già evidenziato nella recente relazione annuale come appariva già del tutto inadeguato il progetto di difesa europea, che allo stato prevede una forza di intervento rapido di appena 5.000 militari, quando la sola Italia ha un dispositivo di 9.200 militari in missioni internazionali. Agli asseriti impegni declamati in conseguenza della sciagurata ritirata dall’Afghanistan non è infatti corrisposto un maggiore impiego di risorse; anzi, nel nuovo bilancio europeo le risorse destinate ai diversi progetti di difesa europea sono state di fatto dimezzate.
Ora appare chiaro a tutti che occorre cambiare, perché l’Europa è sotto minaccia e noi sapremo come fare. Proprio per questo il nostro primo pensiero oggi va alla resistenza ucraina, alle famiglie nei rifugi che sui social chiedono aiuto; alle ragazze che confezionano le bottiglie molotov; agli operai che scavano le trincee per rallentare l’avanzata dei carri armati.
Il nostro pensiero va ai giovani che imbracciano un fucile pur non avendo mai fatto il servizio militare, a chi rientra in patria per difendere le proprie famiglie e la propria terra, a un popolo eroico che ha scoperto di essere finalmente una vera Nazione senza distinzione di lingue e di religione, come mai nella propria martoriata storia. Loro ci ricordano oggi, con il sacrificio della lotta, quali siano i nostri valori, risvegliando loro le nostre coscienze intorpidite. Putin ha fatto un azzardo che ha ottenuto l’effetto di sollevare l’opinione pubblica mondiale, unita come mai si era vista prima. Persino all’interno della stessa Russia c’è chi protesta rischiando il carcere e la repressione. Questa è la prima importante lezione, un monito per chiunque nel mondo pensi che anche la libertà abbia un prezzo, che sia misurabile in rubli, in dollari o in renminbi; un monito a chiunque nel mondo pensi che si possa togliere la libertà senza sollevare la reazione unanime di chi, come noi, crede e vive nella libertà.
La resistenza eroica degli ucraini segna una prima e un dopo nel conflitto globale tra le democrazie occidentali e i sistemi autoritari, un punto di svolta che sarà segnato nel calendario della storia. Quanto accaduto ci deve essere finalmente da lezione per affrontare tematiche che abbiamo da decenni accantonato, come se riguardassero altri, mentre riguardano noi e soprattutto i nostri figli che ne pagheranno il prezzo se non interveniamo subito.
Gli investimenti per la difesa sono certamente necessari, come ha appena fatto la Germania, ma lo sono anche gli investimenti in ricerca, tecnologia, formazione, nell’economia digitale e nell’intelligenza artificiale, nello spazio e nel cyber, per la sovranità energetica e la tutela degli asset strategici, senza cui nessuna autonomia e indipendenza si può più preservare.
Il Copasir ha presentato in questa legislatura sei relazioni tematiche e una relazione annuale in cui ha appunto affrontato ciò di cui oggi si discute. Cari colleghi, nessuna di queste relazioni è stata però ancora esaminata in modo compiuto dal Parlamento, anche se alcuni interventi importanti da noi indicati sono stati poi realizzati, dal sistema della golden power all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale che colma un ritardo decennale. Lo stesso destino nel vuoto hanno avuto le altre relazioni presentate nelle precedenti legislature, così come le relazioni annuali della Presidenza del Consiglio. Siamo stati troppo distratti sui temi della sicurezza nazionale, ora occorre prenderne atto. È necessario che si svolga presto una sessione del Parlamento, come abbiamo espressamente chiesto nel nostro documento inviato alle Camere prima che la situazione precipitasse.
Quanto sta accadendo ci fa capire infatti quanto importante sia la sicurezza della Repubblica e quanto ciò debba essere considerato in ogni decisione che prendiamo, anche quando affrontiamo i temi dell’energia o dell’economia digitale, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale, dello spazio come dell’acciaio, degli asset infrastrutturali come delle filiere industriali, ben sapendo che i nostri avversari sistemici, cioè i sistemi autoritari, li utilizzano appieno nel loro confronto con le democrazie occidentali. Tutto questo fa parte di quello che viene chiamato guerra ibrida. A tal proposito, abbiamo evidenziato la necessità di disporre di un’intelligence economica al servizio del sistema Italia, che sia proattiva a tutela della scienza e della tecnologia e degli asset produttivi del Paese.
Sì, è vero, le sanzioni stanno producendo i loro effetti devastanti, ma occorre anche fermare le armi, rispondendo alle accorate richieste di aiuto di chi è minacciato nella vita e negli affetti, come stanno facendo persino Paesi che sono stati sempre storicamente neutrali come la Svizzera e la Svezia. Ora è il momento delle scelte di campo per tutti. Certo, anche noi pagheremo i costi delle sanzioni, soprattutto come conseguenza del prezzo dell’energia o – se permettete, cari colleghi – come conseguenza delle nostre scelte energetiche errate che ci hanno resi più vulnerabili di altri partner europei.
Proprio sulla sicurezza energetica abbiamo presentato in gennaio una relazione al Parlamento, in cui abbiamo evidenziato le criticità del sistema e le sue pericolose vulnerabilità, sia a fronte della necessaria transizione ecologica, sia a fronte dell’azione egemonica degli attori statuali. In quella relazione individuavamo già alcune soluzioni che in queste ore sono state oggetto della decretazione d’urgenza e concludevamo come fosse necessario realizzare un piano di sicurezza energetico che riducesse la dipendenza dall’estero e soprattutto dalla Russia, con l’obiettivo dell’indipendenza energetica e dell’autonomia produttiva e tecnologica, in collaborazione con i partner europei occidentali, anche in considerazione dei fattori e dei rischi geopolitici sempre più evidenti già allora.
Nella relazione annuale per la messa in sicurezza della rete cyber. Ieri peraltro l’Agenzia ha lanciato un allarme particolarmente significativo, anche perché la Russia è lo Stato meglio attrezzato al mondo per la guerra cibernetica. Per completare questa linea difensiva abbiamo richiamato la necessità di realizzare al più presto il cloud nazionale della pubblica amministrazione e la rete unica a controllo pubblico.
Cari colleghi, la Russia si è preparata da tempo al confronto con l’Occidente. Sono dieci anni che investe sulle due armi che possiede: le risorse energetiche e le forze armate. Punta al controllo delle materie prime e delle frontiere d’Europa, a sottomettere l’Ucraina oggi, per sottomettere domani le Repubbliche baltiche, la Georgia e la Moldova. Ora tutti sappiamo perché e dobbiamo elevare il livello di difesa, anche a fronte di un mondo in cui emergono altri attori altrettanto aggressivi, innanzitutto la Cina, primaria potenza tecnologica e produttiva, capace, essa sì davvero, di aspirare alla supremazia globale. Non possiamo fuggire dalla storia, però possiamo cambiarla. Con la risoluzione unitaria che voteremo oggi cominci davvero una nuova fase nella vita politica del Paese, che ci veda sempre uniti quando è in gioco la sicurezza della Repubblica e, con essa, i valori fondamentali della nostra civiltà.
*Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica
Effetti collaterali
Fanno brutti scherzi gli effetti collaterali della terza dose del vaccino anticovid. Mi provocano allucinazioni, immagini assurde attraversano la mente. Ho creduto di sentire il Capo dello Stato intrufolarsi in qualche modo nella cornice del Festival di Sanremo, e – quel che è più assurdo – mi è sembrato vedere il Papa, come fosse la Littizzetto o un Burioni qualsiasi, ospite in un talk show della terza rete.
Segno tutto questo della mia età che avanza assieme alla demenza. Per non parlare degli incubi che turbano le mie notti. Se per cena indulgo in una pepata di cozze d’antipasto più una carbonara che al massimo raggiunge i due etti e per secondo tre peperoni farciti con pancetta e pecorino, il tutto bagnato da pochi calici di un leggero amarone, draghi e fantasmi si divertono poi a tormentare il mio sonno fino all’alba.
L’altra notte, pensate un po’, ho sognato di essere sul punto di morire. Ma non era questo l’evento più agghiacciante dell’onirica tragedia. Peggio: ho sognato che sarei morto democristiano. Ad accompagnarmi all‘altro mondo non era però quella familiare Dc di un tempo, quella degli Andreotti, Fanfani, Forlani, di quei democristri che furono in grado di governare e di fare anche qualcosa di buono per il Paese. No, nell’incubo prendeva corpo un’ incredibile dc dei tempi nostri, con leader improbabili eppure possibili: Di Maio, Conte, Renzi, Toti accompagnati da nipotini di Berlusconi. Insomma un’inedita balena bianca che era riuscita ad impossessarsi di un drago, anzi leggi al plurale: un Draghi, sì proprio di Mario Draghi.
Si era concretizzato nel mio incubo il progetto neocentrista, a coronamento dell’epico disinballaggio dei cartoni già da tempo pubblicizzati e pronti a essere trasferiti dal Quirinale nella casa in affitto.
In verità non avevano fatto tutto da soli i centristi novelli assieme al Letta minore. Una mano gliel’aveva data un irriducibile rivoluzionario barbuto, forse affascinato da un futuro libero dall’assillo inquietante di una donna che lo aveva fatto sentire come un uomo di secondo piano, un capitano sì, ma della riserva.
Nel mio incubo il resuscitato centro impossessandosi di Dragli, con l’aiuto della sinistra e l’astensione di qualche altro, aveva vinto le elezioni del ’23. Confermati a vita il presidente del consiglio e Mattarella al Quirinale fino all’ottantasettesimo compleanno e, perché no – non mettiamo limiti alla provvidenza – fino al novantaquattresimo. Poi chi vivrà vedrà, ne vedrà delle belle.
Basta con le cozze e i peperoni a cena. Basta con gli incubi. Voglio sognare. Giorgia, fammi sognare.
*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare