Tra i vari temi presenti nel programma di governo rientra anche quello delle riforme istituzionali. Al momento il Governo ha presentato un progetto di legge costituzionale che interviene sulla nostra attuale forma di governo, con ciò intendendosi quel complesso di regole, scritte o anche consuetudinarie, che disciplinano i rapporti tra i poteri dello Stato. Alla luce delle varie (e anche opposte) reazioni che esso ha provocato, sembra opportuno cercare di mettere a fuoco la questione isolando alcuni punti fermi.
1.La questione delle riforme istituzionali è tema in agenda da quarant’anni, da quando cioè si istituì la prima commissione incaricata si predisporre un progetto per la revisione della parte seconda della Costituzione (si trattava della commissione “Bozzi”, risalente appunto al 1983). A questa esperienza ne seguirono molte altre -come ci spiega Davide Rossi nel suo contributo- sulle quali non ci si soffermerà se non ricordando che nelle ultime occasioni i progetti di riforma furono dapprima approvati dal Parlamento ai sensi dell’art. 138 Cost. e di poi bocciati in sede di referendum “confermativo”. Una indicazione che pare emergere è quindi la difficoltà di procedere a riforme organiche della seconda parte della Costituzione. Una serie così lunga di precedenti negativi forse spiega la proposta di un intervento di portata più circoscritta.
2.I modelli di forma di governo sono molto vari: forme di governo di tipo parlamentare, come la nostra attuale, presidenziale, semi presidenziale, neo-parlamentare… Si tratta di modelli che, in ogni Paese, assumono forme diverse tra loro dato che molte sono le variabili che contribuiscono a conformarli: ad esempio la disciplina dei sistemi elettorali e l’assetto del sistema dei partiti politici (come tra i primi ebbe a rilevare Leopoldo Elia). Inoltre ogni sistema non funziona solo sulla base di regole scritte in Costituzione ma è fortemente condizionato dalla prassi, che talora dà luogo a vere e proprie consuetudini. Questo significa che ogni ipotesi di “trapianto” deve tenere conto di questi dati. Se si pensa, ad esempio, ai tentativi di esportazione del modello presidenziale statunitense in diversi Paesi dell’America latina, si può constatare che la resa non è stata certamente la stessa.
3.Anche nella recente campagna elettorale del 2022 è stato a più riprese evocato il “presidenzialismo”. Si tratta di un sistema praticamente sconosciuto in Europa che comporterebbe cambiamenti radicali dell’impianto costituzionale: basti pensare al fatto che il Presidente della Repubblica non sarebbe più un organo di garanzia ma il vertice dell’esecutivo. Si è anche fatto riferimento alla forma di governo semipresidenziale, il cui archetipo è costituito dal modello francese. Si tratta di un modello che è parlamentare, nella misura in cui è prevista l’esistenza di un rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento, ma che contiene un elemento tipico del modello presidenziale, l’elezione diretta del Presidente, al quale sono attribuiti svariati poteri tra cui la nomina del capo del Governo, oltre a diverse prerogative meglio individuate dalla Costituzione (ad esempio il potere scioglimento dell’Assemblea nazionale). Anche in questo caso, il distacco dal nostro sistema risulterebbe sensibile e le modifiche della Costituzione non sarebbero di lieve momento alla luce proprio del ruolo che il Presidente della Repubblica in quel modello riveste.
4.In diverse occasioni, nel passato come di recente, si è ragionato di una qualche forma di “premierato”. Non esiste una forma di governo specifica di “premierato”, nel senso che con questa formula si fa spesso riferimento a modelli anche diversi tra loro, accomunati da un potenziamento dei poteri del capo del governo, che tendenzialmente gode di un legittimazione popolare, anche se non necessariamente realizzata attraverso l’elezione “diretta”, e dal tentativo di realizzare una certa stabilità degli esecutivi.
Ciò accade ad esempio in Gran Bretagna, ove il voto popolare non investe direttamente il capo del governo: capo del Governo sarà nominato il leader del partito che ha vinto le elezioni. Si noti che, secondo una consuetudine costituzionale da tempo affermata, la permanenza in carica del premier dipende dal fatto che lo stesso conservi la leadership del partito: perdendo questa, le dimissioni sono inevitabili. Se si pone l’accento sui poteri del Capo del Governo, anche la forma di governo tedesca è connotata dalla centralità della figura del vertice dell’esecutivo, tanto è vero che tale forma di governo assume la denominazione di cancellierato, rimarcando in tal modo il “peso” del Cancelliere nelle dinamiche dei rapporti tra i vari poteri dello Stato. Il Cancelliere, eletto dal Bundestag, dispone di poteri più ampi del nostro Presidente del Consiglio, potendo nominare e soprattutto revocare i ministri e potendo, a certe condizioni, chiedere che il Presidente federale proceda allo scioglimento del Bundestag. Ogni tentativo di togliere il sostegno parlamentare al Governo deve poi passare attraverso la “sfiducia costruttiva”, la mozione di sfiducia dovendo essere accompagnata dall’elezione di un altro Cancelliere da parte del Bundstag.
5.Con la formula “premierato” si è anche fatto riferimento ad una forma di governo con elezione popolare diretta del capo del Governo in un contesto in cui il Governo deve comunque avere la fiducia delle Camere. Si tratta di un sistema che dà luogo al cosiddetto modello “neo parlamentare”. Tale formula è oggi molto poco presente nel panorama diritto comparato. Nel 1992 fu adottata in Israele ma una decina d’anni dopo fu poi abbandonata, non avendo tale forma di governo realizzato gli obiettivi ad essa sottesi. Può essere anche previsto che, in caso di cessazione dalle funzioni del Presidente del consiglio, si determini lo scioglimento delle Camere, con un meccanismo simile a quello che nel nostro ordinamento è stato adottato per i Comuni a far data dal 1993. Anche nelle Regioni a statuo ordinario dalla riforma del titolo V è stato previsto un meccanismo in base al quale il Presidente della Regione viene eletto dal popolo insieme con il Consiglio regionale; in caso, poi, di mozione di sfiducia, dimissioni o morte del Presidente, è previsto lo scioglimento automatico del consiglio (art. 126 Cost.).
6.Quelle descritte sono solo alcune linee essenziali di alcuni modelli conosciuti. Vi sono poi ulteriori aspetti che contribuiscono a conformare ogni forma di governo e che sono legati alle caratteristiche di ciascun Paese e alle vicende storiche che ne hanno caratterizzato l’evoluzione. Le forme di governo vivono in determinati contesti storici e politici che in vario modo influenzano i modelli “astratti”. Il meccanico trapianto di paradigmi costituzionali non potrà dare luogo a sistemi che abbiano la stessa “resa” che ciascun modello esibisce in altri contesti: nel bene e nel male. Il sistema presidenziale, come si è inverato negli Stati Uniti, difficilmente potrà realizzarsi altrove, così come il sistema parlamentare britannico o il sistema neoparlamentare israeliano. Il fatto che tali sistemi abbiano funzionato in un certo modo in un certo contesto nulla dice di come funzionerebbero in altri Paesi. Conta la storia, contano le istituzioni, contala prassi. Ciò trova conferma nel fatto che molti ordinamenti si sono modificati in modo anche significativo nel tempo, in ragione del mutamento del contesto politico e istituzionale, pur in assenza di formali cambiamenti del quadro costituzionale.
7.Sul progetto di legge presentato dal Governo molte cose sono state dette. Tenuto conto anche del fatto che lo stesso Ministro per le riforme costituzionali ha fatto riferimento ad un testo “aperto” alle modifiche, si possono fare alcune rapide considerazioni, anche alla luce delle obiezioni sollevate.
Si è ragionato di una eccessiva concentrazione di poteri in capo al Presidente del consiglio. Di certo tale organo appare rafforzato dall’elezione popolare e dal fatto che tendenzialmente la sua cessazione conduce (pur non immancabilmente) ad elezioni, ma il Presidente del consiglio non dispone di poteri previsti in altri sistemi e contemplati in altre ipotesi di revisione costituzionale avanzate nel passato. Solo per fare un esempio, nell’ambito dei lavori della Commissione d’Alema, in una proposta di modifica della parte seconda della Costituzione presentata da Salvi e altri era previsto che il Presidente del consiglio, non eletto direttamente ma indicato in sede di elezione delle Camere, disponesse di un potere di nomina e revoca dei ministri e potesse chiedere al Presidente della Repubblica di procedere allo scioglimento delle Camere.
E’ vero che in uno dei pochi sistemi dove è stata prevista l’elezione diretta del capo del Governo, in Israele come detto, tale forma di governo non ha dato i frutti sperati. Ciò è dipeso anche dalla frammentarietà del sistema politico. Dato che il progetto di legge costituzionale fornisce indicazioni sulla legge elettorale, il rendimento del sistema dipenderà anche da come essa verrà disegnata. Al di là di una indicazione di fondo contenuta nel progetto, molte e diverse tra loro sono le caratteristiche che potrà avere la legge elettorale e ciò potrà influire sul “rendimento” del sistema, il quale dipenderà anche -ovviamente- dalla reazione delle forze politiche in campo e dei partiti in particolare.
L’elezione diretta del Presidente del consiglio inevitabilmente riduce in qualche misura i poteri del Capo dello Stato nel procedimento di formazione del governo. Tuttavia, anche nell’attuale assetto, il conferimento dell’incarico in certi casi risulta un atto vincolato a seguito dell’esito delle elezioni ed anche lo scioglimento delle Camere di fatto è stato considerato in dottrina, più che un atto presidenziale in senso stretto, un atto “complesso eguale” o “duumvirale” (in quanto nato dal concorso della volontà del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio). Nel sistema prefigurato l’atto di conferimento dell’incarico è di fatto sempre vincolato e, in caso di cessazione dalla carica del Presidente del consiglio, la discrezionalità del Capo dello Stato è limitata dal fatto che un eventuale nuovo incarico può essere conferito “al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto”. La maggioranza che sostiene il nuovo Governo potrebbe essere in astratto anche diversa da quella che sosteneva il primo governo, fermo il vincolo ad “attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”. Forse il punto potrebbe essere chiarito in sede di discussione dato che la finalità di evitare i cosiddetti “ribaltoni” potrebbe non realizzarsi del tutto. Gli altri poteri del Presidente della Repubblica rimangono praticamente inalterati, cosa che non avrebbe potuto essere al cospetto di forme di governo di tipo semipresidenziale o, va da sé, presidenziale.
Con riguardo alla previsione relativa al sistema, elettorale si sono avanzati dubbi di vario tipo. Tutto dipende da come la diposizione verrà attuata, essendo l’inserimento del premio di maggioranza in Costituzione un fatto del tutto inedito nel nostro sistema. La Corte costituzionale, quando è intervenuta sul sistema elettorale, ha avuto modo di osservare, in relazione al premio di maggioranza, due cose: la prima è che le finalità di assicurare “stabilità del governo del Paese” ed “efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare” sono costituzionalmente legittime; la seconda è che il mezzo utilizzato per raggiungere tale scopo deve essere caratterizzato da proporzionalità. In altre parole deve essere prevista una soglia minima ragionevole (per fare scattare il premio di maggioranza) in modo che non si determini -sono ancora le parole della Corte- “una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della rappresentanza politica nazionale” (sent. n. 1 del 2014).
8.La proposta di modifica appare quindi piuttosto circoscritta, per lo meno se paragonata ai progetti di riforma precedentemente avanzati che, forse anche per la loro complessità, non sono stati avallati in sede di referendum popolare. Questo approccio è stato ora dismesso e il progetto di riforma si presenta molto meno ampio come portata. Forse sarebbe bene discutere e precisare sin d’ora per lo meno le caratteristiche della legge elettorale da cui la “resa” del sistema potrebbe dipendere, ovviamente seguendo le indicazioni tratte dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e sopra richiamate. Altri interventi migliorativi potrebbero poi essere immaginati per assicurare una migliore funzionalità al sistema. Anche alla luce del fatto l’agenda politica dei prossimi mesi appare piuttosto fitta, caratterizzata dall’approvazione della legge sull’autonomia differenziata ex art. 116 Cost. e dalla discussione sulle riforme -anche di livello costituzionale- che investono il mondo della giustizia, un approccio in qualche modo perimetrato rispetto al plesso di norme che disciplinano la forma di governo potrebbe essere una scelta che ha maggiori chances di successo.