Gian Marco Grandi

Polveriera Medio Oriente, le ragioni di Israele

Le fazioni armate palestinesi hanno promesso a Israele e ai suoi leader che pagheranno «un prezzo elevato per il loro crimine». L’operazione “Scudo e freccia” – così denominata dall’esercito israeliano – è stata lanciata martedì 9 maggio con l’obiettivo di arrestare la pioggia di razzi provenienti da Gaza e indirizzati verso Israele. Circa il 90% dei razzi e colpi di mortaio sparati sulle città israeliane sono però stati intercettati dall’Iron Dome, il celebre sistema antimissile israeliano.

La morte di Khader Adnan, membro del gruppo radicale palestinese della Jihad Islamica, in prigione in Israele e deceduto dopo 86 giorni di sciopero della fame, ha scatenato le reazioni da parte dei sedicenti partigiani palestinesi. Khader in detenzione preventiva e in attesa del processo, aveva immediatamente iniziato uno sciopero della fame, considerando ingiusta la sua carcerazione perché, come raccontato dalla moglie ai media arabi, il suo nome non era mai stato coinvolto in processi riguardanti attentati terroristici.

Per tutta la durata del suo sciopero, Adnan ha rifiutato visite e cure da parte dei medici della prigione, fino alla sua morte avvenuta in data martedì 2 maggio. Da quel momento, sono stati lanciati i primi razzi verso lo Stato ebraico, con la conseguente risposta israeliana “Scudo e freccia” che a detta del Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu, dovrebbe riguardare unicamente le cellule della Jihad Islamica.

Finora infatti, la posizione di Hamas, organizzazione politica e paramilitare palestinese, islamista, sunnita e fondamentalista, contraria al riconoscimento dello Stato ebraico e molto radicata nella Striscia di Gaza, appare maggiormente defilata. La Jihad Islamica, al contrario, non ha lo stesso peso politico e la stessa popolarità di Hamas. Fondata negli anni Ottanta da Fathi Shaqaqi, politico palestinese considerato l’iniziatore del terrorismo suicida, è sempre stata attiva soprattutto sul fronte paramilitare e terroristico.

Molte volte Hamas e Jihad Islamica hanno cooperato ma attualmente come suggeriscono alcuni analisti, non sembra rientrare tra i piani di Hamas il coinvolgimento negli attacchi che in queste ultime settimane, hanno colpito lo Stato ebraico. Sul Times of Israel, il Portavoce dell’esercito Israeliano Daniel Hagari ha ribadito che l’operazione “Shield and arrow” (scudo e freccia) non dovrebbe riguardare Hamas; il vero obiettivo sembra dunque essere la Jihad Islamica. Il motivo principale è da individuare nelle tensioni nate negli scorsi mesi in Cisgiordania.

Il 26 gennaio, membri della polizia militare israeliana hanno fatto irruzione all’interno del campo profughi di Jenin con lo scopo di arrestare tre membri della Jihad Islamica ma l’azione si è trasformata in una guerriglia urbana che ha portato alla morte di dieci persone. Il giorno successivo, non si è fatta attendere la vendetta nella quale un ragazzo palestinese ha ucciso 9 civili israeliani in un quartiere di Gerusalemme.

Le tensioni sono poi proseguite nei mesi seguenti, quando altri componenti della Jihad hanno provocato gli scontri che il 5 aprile sono culminati con l’irruzione della polizia nella moschea di Al Aqsa, una delle più sacre di Gerusalemme. Il leader di Hezbollah, organizzazione paramilitare libanese, islamista, sciita e fortemente antisionista, Hassan Nasrallah, ha dichiarato di essere in costante contatto con li vertici della resistenza a Gaza e che Hezbollah non esiterà a fornire supporto in qualsiasi momento dovesse essere richiesto.

Lo sforzo diplomatico intrapreso dall’Egitto per portare a una mediazione tra le due parti, accolto con favore anche da Josep Borrell, non ha condotto a un cessate il fuoco e Muhammad al-Hindi, membro del comitato politico della Jihad Islamica, ha dichiarato all’agenzia palestinese Ma’an che una tregua potrebbe esserci solo se Israele smetterà di lanciare altri raid contro i leader del movimento, che conta già 3 vittime ma dallo Stato Ebraico, Netanyahu ribatte affermando che l’operazione terminerà unicamente se e quando Israele non sarà più sotto attacco.

Nella comunità israeliana a ridosso della Striscia – dove è stato dichiarato lo stato d’allerta – è in atto una migrazione di persone che fuggono per timore dei razzi: sono stati aperti i rifugi antiaerei pubblici per garantire la sicurezza dei cittadini, le strade che circondano la Striscia di Gaza sono state chiuse e le spiagge di Ashkelon e Ashdod sono inaccessibili al pubblico.

Finora, i Guardiani della Rivoluzione e i leader iraniani pur supportando le milizie di Gaza nel continuo tentativo di instaurare l’alleanza palestinese, libanese e iraniana ribattezzata “asse della resistenza” che si oppone allo Stato ebraico, non hanno rivendicato gli attacchi contro Israele. In seguito alla ripresa dei rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita, grazie alla mediazione di Pechino, Teheran cerca di guadagnare la leadership nel Golfo mantenendo una forte attenzione sulla politica estera.

Recentemente, gli Stati Uniti attraverso il Portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirbin, hanno dichiarato che la loro presenza militare nel territorio sarà incrementata. Il conflitto che minaccia Israele, apparentemente interminabile, non può dunque essere trascurato dall’Occidente ed è necessaria una leadership occidentale forte e coesa e che possa garantire sicurezza e stabilità allo Stato ebraico.