L’8 luglio saranno due mesi dall’elezione di Leone XIV e più passa il tempo, più questo Papa piace ai cattolici. Si è fatto amare con poco sin dall’inizio, ripristinando quei paramenti che, come diceva Hans Urs von Balthasar, non appartengono a lui ma unicamente all’ufficio che impersona.
Prevost si sta rivelando molto rispettoso della tradizione: nella solennità di San Pietro e Paolo ha scelto di imporre personalmente il pallio agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno e poi ha deciso di tornare a Castel Gandolfo, storica residenza estiva dei Papi. Ormai è chiaro che Leone XIV non intende essere un Francesco II, pur mantenendo la sua venerazione per il predecessore che – a sorpresa – lo ha fatto vescovo, cardinale, prefetto e poi anche cardinale vescovo. Bergoglio non pensava ad un successore e certamente non immaginava un americano per quel ruolo, ma forse inconsapevolmente ha disegnato su misura l’abito proprio per il silenzioso agostiniano di Chicago.
Del precedente pontificato, per rassicurare i “nostalgici”, Leone XIV cita spesso il Sinodo, ma chi lo conosce specifica che la sua concezione sinodale è precedente a quella conosciuta negli anni di Francesco. Arriva dalla sua esperienza di missionario in Perù, dove si è dimostrato pastore vicino al popolo senza cadere mai nelle tentazioni ideologiche di una terra in cui è fertile il proselitismo della teologia della liberazione.
Di Prevost si può dire innanzitutto che è rimasto un agostiniano e in quanto tale immune a sbandate verso destra o verso sinistra. Ma la dimensione agostiniana si vede anche nel suo attaccamento al senso di comunità, nelle sue frequenti visite o momenti conviviali coi suoi confratelli che conosce tutti grazie ai due mandati da priore.
Sul fronte geopolitico non è stato fortunato, avendo dovuto affrontare sin da subito l’aggravarsi della situazione a Gaza e poi l’escalation tra Israele, Usa ed Iran. Il Papa statunitense poteva diventare un mirino per il mondo più anti-occidentale, invece ha scelto di parlare di pace e di stop al riarmo proprio come il suo predecessore, con toni e contenuti non formali. Sicuramente, però, a differenziarlo da Bergoglio è la posizione sul conflitto russo-ucraino: prima di essere eletto Prevost era stato molto netto nel condannare l’azione di Mosca definita “un’autentica invasione imperialista”.
Leone si sta rivelando il Pontefice dell’unità, capace di ricucire i numerosi strappi provocato dal complesso pontificato bergogliano. Tra le poche nomine effettuate, una delle più significative è stata quella del cardinale guineano Robert Sarah a inviato speciale nelle celebrazioni in Francia per il 400esimo anniversario delle apparizioni di Sant’Anna al contadino bretone Yvon Nicolazic. Non tanto per il peso del ruolo che è ridotto, ma per il segnale di distensione dato ad uno degli uomini-simbolo della difesa della dottrina e della Tradizione.
Ora Leone è atteso dalla complicata partita delle nomine in Curia che causeranno inevitabilmente qualche scontento, ma che daranno indicazioni sull’orientamento del suo pontificato così pieno di belle speranze fino ad ora.