Sembra incredibile, eppure esiste e resiste in Italia un gruppo – piccolo ma variegato e…rumoroso – che a poco meno di tre anni dalla vittoria elettorale del centrodestra ancora non riesce ad accettare quel chiarissimo responso delle urne. I più agguerriti non sono politici parlamentari o esponenti dei partiti ma intellettuali e “opinionisti”, che sembrano afflitti da una specie di Meloni-mania. Incolpano la presidente del Consiglio di ogni cosa he non va, in Italia, in Europa e nel mondo: dalle guerre in corso (“tace, non interviene, non manifesta, non protesta”) ai femminicidi (“incarna una cultura patriarcale”) … E via delirando. Ma questo atteggiamento, che rimbalza da molti talk tv, con ospiti che i conduttori (altro che giornalismo british) aizzano a spararle sempre più in alto, finisce per fornire comodi alibi al centrosinistra. È semplice: se il centrodestra di governo è delegittimato dai guardiani del tempio (e del tempo) democratico, la prossima volta tutto si rimetterà nel verso giusto. Basta aspettare, accusare, esorcizzare e sperare. Appunto: aspetta e spera…
Tutto questo aiuta oggettivamente Giorgia Meloni. Nella seconda metà della legislatura ci sarà molto da fare, ma non c’è alcun pericolo incombente per la tenuta della coalizione; nella politica estera la linea dell’Italia è solida e univoca; i parametri economici mettono il segno “più” e il governo, pur muovendosi in uno scacchiere agitato come mai, dopo ottant’anni, può lavorare senza condizionamenti o pressioni politico-sindacali.
Il sigillo sulla pietra tombale del terzo mandato ha chiuso un capitolo assai complicato che lascia in eredità a tutt’e due gli schieramenti una buona dose di problemi, risentimenti e polemiche. Le prossime regionali, tra autunno e primavera ’26, saranno importanti non solo per i territori, avranno anche un corposo valore politico. Fateci caso. Dopo il definitivo stop al terzo mandato, sembra improvvisamente più vicino il traguardo di fine legislatura, a fine estate del ’27: d’ora in avanti ogni mossa politica avrà in sé anche una proiezione elettorale. Si sceglieranno iniziative sicuramente gradite a consistenti gruppi sociali, campagne condotte dai singoli partiti si alterneranno a battaglie condivise da reali o potenziali alleati.
Se le forze della maggioranza di governo tenteranno di portare a compimento (o anche solo di avviare) riforme in linea con le promesse fatte agli elettori, i partiti di opposizione hanno da percorrere un lungo tratto di strada; e la necessità assoluta di comporre un mosaico di alleanze senza il quale – come oggi attestano tutti i sondaggi elettorali – il centrodestra a guida-Meloni vincerebbe nuovamente, e senza troppa fatica.
Non sarà facile costruire un campo largo e competitivo, che risulti convincente e vincente. In questi anni si sono accumulati troppi rancori, ogni questione – interna o internazionale – ha mostrato crepe profonde, contrasti e gelosie che, di fatto, hanno consentito a Giorgia Meloni di reggere nel tempo e di superare (molto più facile quando si governa) divergenze e lacerazioni che esistono, eccome, all’interno della sua coalizione.
La storia recente, ormai trentennale, del nostro bipolarismo all’italiana c’insegna che il fronte progressista è riuscito a vincere contro il polo berlusconiano, solo quando ha saputo realizzare due condizioni: a) un’alleanza larghissima dal centro alla sinistra; b) un candidato premier “esterno”, che non fosse espressione di un solo partito. Infatti, l’Ulivo nel 1996 e l’Unione dieci anni dopo chiamarono Romando Prodi come “federatore” e candidato dell’intera coalizione per la guida del governo.
Il quadro odierno è simile. La partita è complicata. Per costruire quel campo largo che non c’è – s’intravede in qualche competizione locale, ma è un’altra storia – sarebbe necessaria una comune buona volontà di compiere l’impresa. Ora, siccome lo sanno tutti – ma proprio tutti – che Giuseppe Conte non accetterà mai di sostenere Elly Schlein come anti-Meloni (e viceversa…) il problema è quello di trovare una soluzione diversa, che comporterà rinunce e sacrifici, ambizioni represse e velleità riposte nel cassetto.
Il lavoro è già cominciato. Dietro le quinte (ma ogni tanto fanno capolino su qualche palco) si sussurrano suggestioni e nomi tutti nuovi. Pochi mesi fa, s’era proposto l’ex capo dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, ma nessuno ne parla più. Ora è il turno di un paio di sindaci, che taluni sospingono verso il proscenio: quello di Napoli, Gaetano Manfredi; e quella di Genova, Silvia Salis (da non confondere con Ilaria, per carità). C’è chi scommette sulla potenzialità di movimenti civici, per muovere le acque al di fuori dei partiti e convincere una quota di elettori disamorati. E proprio su questo versante sta lavorando l’assessore romano Alessandro Onorato.
Siamo appena ai nastri di partenza. Di sicuro, al fronte delle opposizioni occorre un gran lavoro e tempo, molto tempo. E pazienza se il governo Meloni durerà ancora a lungo fino a conquistare il record di longevità dell’intera Italia repubblicana. Andreotti diceva che il potere logora chi non ce l’ha. E quel signore se ne intendeva…