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Papa Leone, Trump e noi

Una certa vulgata tende a ripetere che Leone XIV sarà un papa “anti-trumpista”. A sostegno di questa tesi viene sovente citato il fatto che, alcuni mesi fa, l’allora cardinale Robert Francis Prevost ebbe una sorta di scontro social con il vicepresidente americano, JD Vance, sulle politiche migratorie dell’amministrazione Trump. Il punto è che, se analizziamo la situazione più in profondità, le cose risultano più complesse e articolate di come appaiono.

Partiamo dagli aspetti geopolitici. Il papato di Francesco, soprattutto nella sua seconda metà, aveva spostato il baricentro della politica estera vaticana sempre più a Oriente. Non dimentichiamo che il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, aveva firmato, su mandato di Jorge Mario Bergoglio, il controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi: un accordo che, originariamente siglato nel 2018, è stato rinnovato finora per tre volte.

Al contempo, il papato precedente aveva raffreddato notevolmente i rapporti con gli Stati Uniti intesi sia come Chiesa americana (da Bergoglio più volte tacciata di “indietrismo”) sia come governo. La prima amministrazione Trump si era duramente opposta all’intesa tra la Santa Sede e la Cina. Nell’ottobre 2020, l’allora segretario di Stato americano, Mike Pompeo, cercò invano di bloccare il rinnovo di quell’accordo. La situazione non mutò in sostanza con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Nonostante i rapporti con la Santa Sede si fossero parzialmente rasserenati, va ricordato che, nel giugno 2021, l’allora segretario di Stato americano, Tony Blinken, ebbe un incontro con Parolin in Vaticano in cui si parlò, tra le altre cose, di libertà religiosa in Cina.

Quello cinese rappresentava del resto uno dei principali dossier al centro dell’ultimo conclave. I porporati statunitensi erano contrari alla politica estera di Parolin. E, da questo punto di vista, Prevost era l’unico cardinale su cui avrebbero potuto convergere i voti sia dei nordamericani che dei latinoamericani: l’attuale pontefice è infatti statunitense ma è stato a lungo vescovo in Perù. Ebbene, la sua elezione ha rappresentato una oggettiva sconfitta per Parolin e per la linea di politica estera da lui portata avanti durante il pontificato di Francesco. È evidente che, a Pechino, l’ascesa al soglio di un cardinale statunitense non sia stata vista con eccessiva gioia. Il che certo non dispiace tanto al governo quanto ai vescovi d’Oltreatlantico.

Attenzione: questo non significa che Leone sarà un papa “occidentalista” o pedissequamente schiacciato sulle posizioni geopolitiche degli Stati Uniti. Ha infatti pienamente confermato l’attenzione al Sud Globale. È tuttavia verosimile che abbia intenzione di portare avanti una linea meno arrendevole nei confronti di Pechino: lo ha d’altronde già dimostrato durante il Regina Coeli del 25 maggio, quando, dopo aver ricordato un martire polacco del comunismo, ha affermato che i cattolici cinesi sono sottoposti a delle “prove”, riconoscendo così implicitamente le difficoltà in cui versano i fedeli nella Repubblica popolare. Non è del resto un mistero che, oltre violare più volte l’intesa sui vescovi, il regime di Pechino abbia continuato ad arrestare i prelati non allineati e a sottoporre i cattolici a un processo d’indottrinamento sulla base dei principi del socialismo (la cosiddetta “sinicizzazione”).

Più in generale, al di là della questione cinese, non è affatto escludibile che, dal punto di vista diplomatico, possa registrarsi una sinergia tra l’attuale pontefice e la Casa Bianca su Gaza e l’Ucraina. È noto che Trump ha auspicato che gli eventuali colloqui tra russi e ucraini si tengano in Vaticano. Lo stesso pontefice, in una recente telefonata con Giorgia Meloni, ha dato la propria disponibilità in tal senso. Ovviamente ciò non vuol dire che Leone sarà un papa “trumpista”. È possibile attendersi un suo rapporto dialettico con la Casa Bianca sull’immigrazione irregolare. Così come è verosimile aspettarsi una convergenza con Trump su temi, come la lotta all’aborto e la libertà religiosa.

D’altronde, etichettare il papa come “conservatore” o “progressista” ha ben poco senso. Leone è pregno di cultura agostiniana. E proprio il pensiero di Sant’Agostino rappresenta uno dei fondamenti del principio della libertas Ecclesiae: la libertà, cioè, della Chiesa dalle intromissioni dei poteri mondani (sia quelle persecutorie che quelle più subdolamente sottili). Leone non è un papa che si lascerà politicizzare né cooptare da agende mediatiche di qualsiasi genere.

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