Governo, Immigrazione

Governare l’immigrazione

C’era una volta il giallo-rosso al governo. Non parliamo di calcio, né della Roma né del Lecce… Parliamo della partigianeria politica che, quando era al potere, non ha messo mano alla legge sulla cittadinanza, non ha approvato lo ius soli temperato, non ha gestito le tragiche complessità dell’immigrazione, non ha mai escogitato una via differente per contemperare le esigenze di sicurezza e legalità dei territori italiani con il rispetto del diritto internazionale, su cui pure si era rinunciato aprioristicamente ad aprire bocca.

Parliamo della stessa partigianeria politica che oggi si straccia le vesti sul referendum di giugno 2025, che strilla di fronte al Piano Mattei, che si autodefinisce “riformista” ma agisce in modo reazionario verso tutti i punti riformatori del governo Meloni. Come se non bastasse, è la stessa partigianeria che in modo illiberale, illibertario, antidemocratico e anti-garantista ha attaccato Giorgia Meloni per un presunto spionaggio nei confronti di Luca Casarini e Beppe Caccia, fondatori della Ong Mediterranea. Mentre invece il sistema d’intercettazione Paragon era stato utilizzato in seguito ad una richiesta fatta alla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma dai servizi segreti, ai tempi in cui era in carica il governo Conte-bis, alias governo giallo-rosso, e quindi ai tempi in cui la componente pentastellata era a capo dei servizi stessi, nel 2019.

Occorre pertanto fare un po’ di chiarezza politica, al di là delle narrativocrazie mediatiche. Dove per politica, nel 2025, possiamo finalmente intendere l’arte di curare l’interesse nazionale attraverso una visione ampia e aperta, strategica, sul piano globale.

Le migrazioni sono un fenomeno certamente non nuovo dell’umanità, e ormai dovremmo riconoscere con maturità quando, come e perché accogliere, o non accogliere, e soprattutto chi accogliere. Ciò va fatto a garanzia della sicurezza urbana, finanziaria (e umana) che deve sempre ispirare lo Stato di diritto post-contemporaneo.

Un governo liberale e securitario, di fronte ad una tendenza immigrazionista fortemente viziata da traffici criminosi paragonabili alle tratte di esseri umani, deve garantire il giusto equilibrio tra ordine e humanitas. Non è infatti più possibile governare come si è fatto per quasi tutto il decennio degli anni Dieci del nuovo, corrente secolo: non è più possibile illudere chi scappa dalle proprie terre disagiate, da un lato, né deludere le aspettative di alleggerimento fiscale di chi lavora e paga regolarmente le imposte in Italia, dall’altro lato. Si sa bene che i flussi migratori dipendono da cause esogene rispetto alla pura volontà degli Stati nazionali occidentali, e si sa altrettanto bene che essi dipendono da cause esterne rispetto agli enti sovranazionali come l’Unione europea. Non ci sono Leviatani né Cassandre in materia. Ma se non è possibile fare cose nuove, né miracoli immediati, è possibile fare nuove le cose. Il governo Meloni sta provando a pensare ad una specie di rivoluzione diplomatica internazionale nella gestione dell’immigrazione con il Piano Mattei, attraverso gli strumenti di una cooperazione bilaterale o multilaterale fra Stati.

Si ricorderà l’evento paradigmatico del summit Italia-Africa tenutosi presso la sede del Senato della Repubblica italiana a Palazzo Madama all’inizio del 2024. In quella occasione Moussa Faki, non uno qualunque bensì il presidente della Commissione africana, aveva sostenuto che l’Italia “è il principale punto di arrivo dei flussi migratori”, e che con l’Africa “l’Italia condivide la preoccupazione di contenere i flussi migratori, la fuga di forza-lavoro giovane”. Secondo Faki, per fermare le ingestibili migrazioni di massa la via è quella di “trasformare in prosperità le aree economicamente depresse dell’Africa”.

Si sta avendo a che fare con l’inizio di una rivoluzione tolemaica delle prospettive geopolitiche, partendo dal coraggio della politica interna italiana. E pertanto non dovrà essere più la disperazione africana a girare attorno alle coste italiane attraverso i viaggi organizzati dalle criminalità transnazionali (per sommarsi al disagio delle classi meno abbienti d’Italia). Ma sarà il knowhow gestionale nonché governativo dell’Italia a viaggiare, per insediarsi globalmente, e supportare gli ardui processi dialettici e produttivi delle democrazie, delle risorse naturali e dei capitali sociali di vari Paesi africani, e non solo. Se poi si pensa che, dopo la stagione apatica di Biden, Trump sembra direzionare l’interesse statunitense sul versante del Sud del mondo con un avvicinamento rilevante alle realtà dell’Africa, (anche) per non lasciare la Cina da sola a tessere strategie sul continente nero, l’Italia ha il ruolo di risvegliare l’Europa intera e di escogitare contenuti progressivi attraverso il Piano Mattei.

Le cose non sempre sono lisce. Soprattutto quando c’è il fermento del cambiamento da perseguire, e il volere popolare da onorare, con in mano sempre e comunque i nobili strumenti di mamma legalità.

In Italia appena un governo divergente intende riformare gli incrostati – e più volte incastrati – meccanismi di potere carsico, avallati da un buonismo internazionale militante, si agitano pulsioni partitico-corporative che di morale hanno ben poco.

L’Internazionale moralista e benpensante del buonismo, fra i suffumigi post-ideologici di un politicamente corretto nichilista capace di uccidere ogni evidenza politica, aggredisce l’empiricità dello Stato di diritto, per monopolizzare l’ermeneutica giudiziaria o dottrinaria, e applicare conseguentemente il diritto in modo distorto, e spesso costoso. Sempre più costoso per le tasche dei ceti medi e medio-bassi d’Italia. Si è giunti persino a piegare il tanto sacro garantismo costituzionale in un doppio binario procedimentale che, irragionevolmente, discrimina i requisiti d’accesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato a seconda della categoria umana a cui si appartiene.

Chi aspira ad ottenere il diritto costituzionale al gratuito patrocinio, inviolabile come il diritto di difesa in sé nonché essenziale al concreto realizzarsi di quest’ultimo, deve dimostrare di avere un reddito annuo imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, che non deve superare una determinata somma, così come fissata ed aggiornata periodicamente dalla decretazione del Ministero della Giustizia. Nel presentare una legale richiesta di gratuito patrocinio occorre il codice fiscale. La Corte di Cassazione, però, con una pronuncia paradigmatica del 22 ottobre 2024 ha affermato che lo Stato – e quindi la collettività degli italiani – può pagare le spese legali di un cittadino extracomunitario anche senza che questi abbia fornito un proprio codice fiscale.

Il fenomeno della rinuncia pubblicistica a chiedere conto dei conti personali, beneficiando i soli extracomunitari che agiscono davanti ai tribunali o alle corti giudiziarie, è apparentemente innocuo. Ma in realtà per le casse dello Stato, e quindi per le tasche degli italiani dei ceti medi e medio-bassi, questo nuovo corso papabile della giustizia risulterebbe concretamente problematico. Senza dubbio dannoso.

Nel 2022 si era arrivati ad una situazione in cui i gratuiti patrocini per gli stranieri a spese dello Stato (e della collettività degli italiani) erano 48.937, con 39.021 casi in più rispetto ai numeri che si registravano vent’anni prima. A parlare sono i dati di una nota relazione biennale del Ministero della Giustizia al Parlamento. Nel 2022, pertanto, la spesa solo per il gratuito patrocinio dello Stato nonché dei contribuenti d’Italia in favore di persone straniere, che hanno usufruito di assistenza e rappresentanza legali gratuite, è stata di circa 52 milioni di euro, rappresentando più del 24% del totale delle somme destinate al gratuito patrocinio in generale.

L’Italia, per aspirare ad essere patria italeuropea di fermenti da sviluppare senza sosta, dovrà far venire al pettine della legalità ogni dispendioso nonché irragionevolmente discriminatorio doppio binario di garanzie giudiziarie. I meccanismi dei poteri carsici, a braccetto con il buonisticamente corretto di quest’èra di post-verità, di nichilismi e post-ideologie, hanno un costo culturale e finanziario per le famiglie italiane.

Ma la nostra patria italiana ha l’ambiziosa missione di divenire patria italeuropea, in quanto pioniera di una via diplomaticamente divergente in Europa: al fine di garantire ai popoli nazionali uniti quella libertà, quella sicurezza e quei diritti che meritano (che meritiamo!), nel rispetto dei doveri e delle responsabilità. Nonché nel sacro rispetto della nostra identità culturale. Senza dubbio occidentale.

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.