Economia

Green Deal, si cambia

Dalla firma degli accordi sul clima di Parigi nel 2015 la transizione verde e la decarbonizzazione delle nostre economie sono state le parole chiave delle iniziative energetiche e climatiche dell’Unione Europea.

La narrativa sulla transizione è però ricca di malintesi a partire dalla definizione e dalle tempistiche della stessa.

L’Agenzia Internazionale per le Rinnovabili (Irena) definisce la transizione energetica, come un percorso verso la trasformazione del settore energetico, attualmente basato su combustibili fossili, fino alla neutralità climatica da raggiungere entro il 2050.

Il Green Deal è la tabella di marcia della transizione energetica europea lanciata nel 2019, è il quadro politico generale che incorpora le iniziative energetiche e climatiche dell’Unione Europea, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Già nel 2008 l’Unione Europea si era posta all’avanguardia nella transizione energetica con il cosiddetto pacchetto legislativo 20/20/20. Il pacchetto puntava a raggiungere per il 2020 una riduzione del 20% delle emissioni, un aumento del 20% dell’efficienza energetica e un contributo del 20% di rinnovabili al mix energetico.

Gli obiettivi fissati per il 2020 sono stati raggiunti: le emissioni fra il 1990 e il 2019 si sono ridotte del 23%.

Si può anche rimarcare come nel periodo fra il 1990 e il 2019, anche in presenza di una forte decarbonizzazione, l’economia dell’Unione Europea fosse cresciuta del 60%.

In altre parole, era stato possibile coniugare riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e crescita economica.

Negli anni successivi, obiettivi ancora più ambiziosi erano stati posti per il 2030 e in particolare: una riduzione del 40% delle emissioni, un contributo del 32% dalle energie rinnovabili e un aumento dell’efficienza energetica del 32,5%.

Alla fine del 2019 gli Stati membri avevano inviato alla Commissione europea i loro Piani Energetici e Climatici (Pniec), con iniziative per il raggiungimento degli obiettivi entro il 2030.

Nel 2020 la Commissione europea aveva pubblicato una valutazione positiva dell’impatto cumulativo dei Piani energetici e climatici dei 27 Stati membri, indicando che per il 2030, le energie rinnovabili avrebbero raggiunto il 33%, l’efficienza energetica avrebbe consentito un risparmio del 30%, e le emissioni si sarebbero ridotte del 41%.

L’Unione Europea era quindi sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi climatici fissati per il 2030.

Tuttavia, la Commissione europea, insediata alla fine del 2019, aveva considerato inadeguato l’obiettivo di decarbonizzazione del 40% entro il 2030 e aveva proposto nel dicembre dello stesso anno il Green Deal.

L’iniziativa proponeva traguardi ancora più ambiziosi puntando a una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 e alla neutralità climatica entro il 2050.

Tali proposte sono state analizzate, discusse, modificate e infine approvate dal Consiglio (composto dai Ministri degli stati dell’Unione Europea) e dai membri del Parlamento europeo.

Il raggiungimento della riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 dato dal Green Deal è estremamente ambizioso e richiederà un profondo cambiamento delle nostre fonti di energia e delle nostre infrastrutture energetiche.

Per fare una comparazione, in 29 anni, dal 1990 al 2019, le emissioni nell’Unione Europea si sono ridotte del 23%, mentre il Green Deal intende ridurle fino al 55% entro il 2030, cioè in un periodo molto più corto.

La Commissione europea indica quindi, seppure in maniera generale, una serie di politiche e obiettivi settoriali necessari al raggiungimento della decarbonizzazione del 90%, che risultano entrambe  poco credibili.

Una sostituzione quasi completa dei prodotti petroliferi, con biocarburanti, combustibili sintetici e veicoli elettrici, richiederebbe infatti una quasi completa sostituzione della flotta circolante di auto e trasporti di difficile realizzazione entro il 2040.

La Comunicazione indica che gli edifici contribuiscono a più del 40% del nostro consumo finale di energia e a più della metà del consumo di gas.

È però difficile credere che entro il 2040 il parco di edifici europeo venga rinnovato al punto da permettere una sua quasi completa decarbonizzazione, tenendo presente che il tasso di ammodernamento degli edifici stessi è di poco superiore all’1% all’anno.

Un livello così elevato di decarbonizzazione presupporrebbe l’abbandono quasi totale di caldaie alimentate da combustibili fossili e un rimpiazzo delle stesse da pompe di calore che dovrebbero essere alimentate da elettricità rinnovabile.

Tuttavia, per una completa decarbonizzazione del settore dovremmo considerare l’installazione di decine di milioni di pompe di calore anche in edifici che non sempre hanno le caratteristiche tecniche per utilizzarle.

Per concludere l’efficientamento energetico degli edifici è una politica sicuramente da perseguire, ma l’obbiettivo di una loro quasi completa decarbonizzazione al 2040, non sembra ragionevolmente raggiungibile.

Infine, risulta pressoché impossibile procedere alla decarbonizzazione del settore agricolo.

È importante altresì ricordare che alcuni stati dell’Unione Europea dipendono ancora pesantemente da combustibili fossili per la produzione dell’elettricità.

La Germania ha recentemente approvato un piano di rilancio della lignite, il combustibile più inquinante, per compensare, sia la mancanza di gas russo sia, un nucleare non più disponibile dopo la poco lungimirante decisione di chiudere tutte le sue centrali.

La Polonia genera ancora l’80% della sua elettricità bruciando carbone ed è impensabile che possa abbandonarlo quasi totalmente entro il 2040.

Da un reality check sull’implementazione del Green Deal negli ultimi mesi, voci critiche hanno evocato un eccesso di Green Deal e vari governi europei hanno proposto una revisione di alcune sue politiche.

Può quindi essere utile rivedere brevemente quali politiche energetiche e climatiche possano essere riviste per i prossimi anni, oltre all’opportunità di ripensare l’obiettivo di decarbonizzazione del 90% al 2040.

Prima di tutto è necessario sottolineare che l’obiettivo delle nostre politiche energetiche e climatiche dovrebbe essere lo sviluppo sostenibile e non soltanto la decarbonizzazione.

Sviluppo sostenibile significa: uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

Tale sviluppo poggia su tre pilastri: sostenibilità ambientale, economica e sociale.

Negli ultimi anni le politiche dell’Unione Europea hanno dato priorità alla decarbonizzazione, ma c’è da chiedersi se politiche così aggressive nella riduzione delle emissioni, non possano compromettere la competitività delle industrie europee.

L’obiettivo di decarbonizzazione al 90% entro il 2040, costringerà sicuramente alcune industrie europee a chiudere o a delocalizzare inducendo un fenomeno di deindustrializzazione certamente non sostenibile o auspicabile per “le future generazioni europee”.

È quindi necessario ripensare le politiche di decarbonizzazione per permettere la sopravvivenza dell’industria europea e garantire allo stesso tempo equità sociale.

Non tutti i cittadini e le imprese, soprattutto quelle energivore, possono permettersi una decarbonizzazione del 90% entro il 2040.

Così’ come ribadito dal Governo Meloni e recentemente dal Ministro delle Imprese Adolfo Urso, gli annunci di Trump sulle politiche climatiche con il ritiro americano dall’accordo di Parigi, impongono una analoga velocità di decisione nel rivedere il percorso del Green Deal, confermando l’obiettivo del 2035 o oltre, ma creando tutte le condizioni perché’ questo obiettivo sia davvero raggiunto con un’industria europea competitiva puntando sulla neutralità tecnologica.

Tale velocità si è manifestata proprio in questi giorni ed è un grande successo per Roma.

La stessa Ursula von der Leyen ha affermato che proporrà presto un emendamento mirato al regolamento sulle emissioni di CO2 per le auto per far sì che le aziende automobilistiche abbiano tre anni di tempo invece di uno per adeguarsi agli standard di conformità, evitando così le sanzioni che sarebbero scattate da quest’anno.

Il presidente della Commissione Ue, pur ribadendo la necessità di “attenerci agli obiettivi concordati”, ha però sottolineato l’esigenza di “ascoltare le voci che chiedono più pragmatismo in questi tempi difficili”.

Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha accolto positivamente la notizia: «E’ stata salvata l’industria auto europea, la Commissione dà ragione all’Italia, è stata eliminata la tagliola delle multe che avrebbe determinato il collasso del settore. Ora avanti con la piena neutralità tecnologica, l’autonomia strategica nella produzione di batterie e un piano incentivi europeo».

 

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