L’aveva previsto quel sapientone di Salomone qualche millennio fa: c’è un tempo per distruggere e uno per costruire, c’è un tempo per strappare e uno per ricucire. Non si sa con certezza se gli attori che si muovono sulla scena contemporanea abbiano mai dato un’occhiata all’Ecclesiaste ma va da sé che senza scomodare l’intelligenza artificiale anche i meno perspicaci si possono rendere conto che dopo il tempo della rottura è ora di riparare le cose che si sono frantumate.
Calato il sipario sulla sceneggiata Zelensky -Trump protagonisti, con la partecipazione straordinaria di Vance il vice del Tycoon, necessario è ricomporre i cocci se non si vuole che la farsa continui in dramma e tragedia. Ogni giorno in più trascorso facendo chiacchiere in Ucraina e in Russia si continua a morire.
Si sono dati immediatamente da fare Macron da un lato e Starmer di là della Manica in una gara di attivismo concorrenziale con riunioni sostanzialmente fallimentari circa soluzioni concrete da adottare. Un bla-bla tutto orientato in difesa di Zelensky ora con la proposta di inviare militari in Ucraina, non si sa bene sotto quali insegne, ora sul rafforzamento degli arsenali per un esercito unico europeo non si sa bene al comando di chi. L’unica indicazione realistica che traspare in mezzo al vociare su un’ipotetica unità granitica dell’Unione Europea rimane quella del nostro Presidente del Consiglio. Non è il momento di dividersi nel tifo da curva per Trump o per Zelensky, piuttosto di interloquire con gli Stati Uniti, nel solco di una politica atlantica. Certo tutto più facile sarebbe se l’Unione Europea fosse stata a suo tempo concepita su solide basi e comuni ideali di civiltà giudaico-cristiana non su un prosaico vincolo monetario che sa di mortadella rancida.
“Vengo anch’io, vengo anch’io” non solo dalle confuse ambizioni di questo o quel leader europeo ma anche al nostro interno dove si agitano bandierine dell’una o dell’altra forza politica di opposizione, partiti divisi su tutto ma uniti in un coro inevitabilmente stonato che addebita a Giorgia Meloni le colpe di questo mondo e dell’altro. Anche nel recinto della maggioranza s’è vista una certa alacrità di chi, per farsi notare, è apparso un po’ più realista del re, semmai della regina.
Ma c’è un tempo per i politicanti e un tempo per gli statisti. In avaria irreparabile è la locomotiva europea franco-tedesca, gli equilibri politici francesi non splendono al sole, in Germania il parto doloroso di una maggioranza rocambolesca, fatta di popolari in buona salute e di socialdemocratici alla canna d’ossigeno, evoca l’immagine di un gatto in tangenziale; mentre la destra, in gran forma ma esclusa, resta a guardare sgranocchiando popcorn.
L’Unione Europea, frastornata, prova a battere un colpo ma non sempre i fantasmi riescono a far rumore: brutto viso a Trump e accanto a Zelensky ora e sempre, si però, nella misura i cui… già ma senza gli americani chi paga il biglietto? Un valzer sulle note di armiamoci e partite…
E allora? E allora si torna al realismo della politica e della diplomazia, si torna alla capacità di un governo stabile con un solido rapporto con la nuova amministrazione americana che può fare da mediazione e da unione tra le due sponde dell’Atlantico sia per la pace in Ucraina sia per la battaglia dei dazi. Tocca all’Italia, tocca a Giorgia Meloni.
“Ma dica da che parte sta, con Trump o con Zelensky”, s’agita la variegata compagnia di quel che fu il centrosinistra, “venga in parlamento, venga riferire” ripete ora questo o quel personaggio riemerso dal passato magari per poi chiedere le dimissioni di questo o quel ministro o del governo del suo insieme. È salutare che l’opposizione alzi la voce e che si faccia sentire, cioè in mancanza di proposte dimostri di non essere sepolta e chieda a gran voce dimissioni. Insomma fa movimento, anzi ammuina. È il “facite ammuina” comando ricondotto a un presunto regolamento da impiegare a bordo delle navi della real marina del regno delle Due Sicilie: “tutti chilli che stanno a poppa vanno a prora, chilli che stanno a sinistra vanno a dritta, chilli che stanno ‘ncoppa vann’abbascio passanno po stesso portuso”.
Fanno cosi i sopravvissuti della prima e seconda repubblica ricalcando comunque un falso, perché la marina borbonica era la più potente e moderna del Mediterraneo e il “ facite ammuina” era una storiella scritta dagli storici piemontesi. Si sa sono stati sempre i vincitori a scrivere la storia. Ma tutto questo avveniva tempo fa, un tempo remoto. Ora è tutta un’altra storia. Già, ma da che parte sta la Meloni? Come sempre dalla parte dell’Italia.