Scienza

Produttività, la carta del “nuovo” nucleare

L’Italia ha da sempre un problema di produttività. Tuttavia spesso ciò è riferibile principalmente al settore della pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda la manifattura è vero il contrario anche se le nostre imprese devono sopportare costi energetici molto più alti dei loro concorrenti europei.

I dati vanno però distinti a seconda della composizione del nostro tessuto industriale tipico e particolare.

La spiegazione di queste affermazioni sarebbe difficilmente conciliabile con il fatto che L’Italia quest’anno si trova per la prima volta nella storia contemporanea in competizione strettissima con il Giappone e la Corea del Sud per la conquista del quarto posto nell’export mondiale;

contrariamente ai paesi appena citati tuttavia, il nostro paese ha un enorme numero di microimprese con meno di venti occupati caratterizzanti  la manifattura italiana.

Le microimprese manifatturiere, che nel nostro Paese sono oltre 328mila, hanno ovviamente una produttività un po’ più bassa rispetto ad aziende organizzate a livello industriale e  influenzano il dato medio aggregato della produttività italiana.

Esse tuttavia hanno generato nel 2022 circa 56 miliardi di euro di valore aggiunto, un dato di non poco conto che permette all’Italia di stare ampiamente davanti alla Francia.

Inoltre risultano fondamentali nelle reti flessibili di subfornitura delle filiere corte dei nostri distretti e ci hanno permesso durante e dopo il Covid di performare meglio di tutte altre industrie mondiali nostre concorrenti che hanno sofferto a causa delle interruzioni nelle catene globali lunghe.

Non meno importante è il fatto che, con quasi 1,3 milioni di occupati le microimprese manifatturiere famigliari italiane sono un elemento di stabilità sociale unico al mondo.

In realtà le microimprese con la loro minore produttività non contribuiscono a  “danneggiare” le nostre esportazioni perché esse partecipano solo marginalmente all’export italiano, che per la maggior parte è fatto da imprese con venti o più occupati estremamente competitive.

Le microimprese (meno di 20 dipendenti) di fatto sono al servizio delle imprese di più grandi dimensioni.

Si pensi che, in base ai dati Eurostat del 2022, anche rinunciando alle nostre microimprese l’Italia resterebbe la seconda manifattura d’Europa per valore aggiunto, sostanzialmente alla pari con la Francia.

L’Italia è prima in Europa per valore aggiunto per occupato sia nelle piccole, sia nelle medie, sia nelle medio-grandi e grandi imprese.

In particolare, nel confronto con la Germania la produttività delle nostre medie imprese è decisamente più alta: 89.530 euro per occupato contro 72.740; nel 2022 abbiamo clamorosamente superato la Germania perfino nelle imprese con 250 o più occupati: 118.970 euro contro 116.250 euro.

 

Se consideriamo tutto l’insieme delle imprese manifatturiere con venti o più occupati, la nostra produttività media, pari a 97.419 euro per occupato, è però inferiore a quella tedesca, pari a 102.235 euro.

Si potrebbe pensare che ciò dipenda dal nostro minor numero di grandi imprese, ma non è così.

Infatti, la Germania ci è davanti esclusivamente per la sua specializzazione nel segmento medio-alto delle vetture; escludendo però l’industria dell’auto, l’Italia è prima per produttività nel resto dell’intera industria manifatturiera: 97.487 euro contro i 96.758 euro della Germania.

In conclusione, immaginiamo quanto l’industria italiana potrebbe essere ancor più competitiva se potesse avere a supporto anche una capacità nucleare nazionale, specialmente nei settori più energivori.

L’attenzione oggi, in realtà non solo in Italia ma un po’ in tutto il mondo, è per i mini reattori nucleari modulari (SMR); come più volte detto dal Ministro delle Imprese Adolfo Urso, in Italia sono attesi fino a 40 SMR pari ad investimenti per 40 miliardi.

L’interesse è legato soprattutto alle grandi quantità di energia elettrica che sarebbe prodotta a costi ritenuti competitivi.

La strada per ridurre il costo dell’energia e mantenere la competitività dell’industria italiana passa inevitabilmente per un piano energetico che guardi al futuro.

La combinazione di rinnovabili e mini-nucleare può offrire una soluzione bilanciata, garantendo la transizione verso un’economia elettrificata e sostenibile. Tuttavia, per realizzare questo obiettivo, è cruciale affrontare le barriere burocratiche e logistiche che ancora limitano lo sviluppo delle infrastrutture energetiche nel nostro paese. Solo così l’Italia potrà liberarsi dalle pressioni del caro-energia e rilanciare ulteriormente il suo sistema produttivo in modo competitivo e sostenibile.

Poiché il tempo per “restituire” all’Italia una energia nucleare pulita si attesta in circa una decina d’anni, il problema più grosso è quello di gestire e trovare soluzioni alternative in questo arco di tempo.

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