Oltre 2.300 miliardi euro, questo il valore del “Made in Italy” secondo la rilevazione di Brand Finance che stila anche una classifica del Soft Power Global Index dove, su 100 Paesi, l’Italia è posizionata al nono posto con una crescita importante nell’ultimo quadriennio superiore al 30%, la più alta tra i Paesi del G7. In realtà non è un tema nuovo e me ne occupai già in un articolo di Charta Minuta del 2020.
Allora perché ritornare sull’argomento? Per un semplice motivo: ancora oggi non a tutti è chiaro quanto questo sia un patrimonio comune e, cosa ancora più importante, che questo patrimonio rappresenta la migliore dote da lasciare alle generazioni future perché parla di cose concrete, prodotti, ma anche di una cultura unica che non può in alcun modo andare dispersa o, peggio ancora, dissipata. Il rischio c’è, lo dicono due fattori concomitanti: il basso tasso demografico e l’emigrazione giovanile, quella cosiddetta fuga dei cervelli.
Nascono pochi italiani e di quei pochi, una volta cresciuti e formati, in troppi decidono di andare all’estero convinti di trovare migliori opportunità, non sapendo che proprio qui possono realizzare i propri sogni sotto quella bandiera riconosciuta in tutto il mondo (ma ancora poco percepita in patria), del “bello, buono e ben fatto” italico. Ecco, quindi, che l’azione di promozione e valorizzazione del “Made in Italy”, posta in essere con maggior forza ed efficacia nell’ultimo anno e mezzo, non rappresenta un atto di vanità o, peggio ancora, di bieco nazionalismo ma deve essere percepita come una priorità per fermare il declino e ridare speranza e consapevolezza alle giovani generazioni.
C’è molta domanda di Italia e di italianità nel mondo, gli oltre 600 miliardi di euro di export dell’ultimo anno ne sono testimonianza, eppure tutto ciò non basta. C’è ancora un enorme mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Le imprese non trovano manodopera adeguatamente formata sia sul piano tecnico che culturale. Da qui la necessità e l’opportunità dei Licei del “Made in Italy”, che non sono un capriccio o una trovata pubblicitaria ma uno strumento concreto e innovativo per colmare quel gap.
Come tutte le innovazioni, anche per questa ci sarà bisogno di tempo affinché si affermi ma non c’è dubbio sulla necessità e validità dell’impianto, che troverà affinamento ed evoluzione in corso d’opera come è naturale che sia. Certamente i giovani che sceglieranno questo nuovo percorso vedranno ripagati la curiosità e il coraggio con un inserimento non solo dignitoso ma appagante nel mondo del lavoro, forti delle competenze acquisite in segmenti ad altissimo valore aggiunto. E qui sarà determinante il ruolo della Fondazione “Imprese e competenze per il Made in Italy”, prevista anch’essa dalla Legge Quadro, quale catena di trasmissione tra mondo della formazione e azienda, tra sapere e saper fare. Ma non un saper fare generico, bensì specifico e caratteristico delle molte eccellenze italiane.
Ecco quindi la valenza del progetto che è sicuramente ambizioso e non privo di difficoltà, tanto quanto alta è la posta in gioco, che riguarda ciascuno di noi e tutti: il futuro dell’Italia, dei nostri figli. Un patrimonio comune che merita un grande impegno collettivo, possibilmente per una volta senza inutili polemiche, ritrosie e gelosie di parte, per costruire un avvenire migliore basato sull’unico giacimento di cui la Penisola, da nord a sud, è ricca: la propria millenaria cultura del sapere e del fare bene, con quel gusto e con quello stile apprezzato e desiderato in tutto mondo. Un giacimento potenzialmente inesauribile, a patto che venga ben tutelato, protetto e tramandato.