Mancano ormai meno di tre mesi alle elezioni americane. È quindi forse utile analizzare i due ticket che si stanno fronteggiando.
In un certo senso, sono entrambi politicamente piuttosto omogenei: un fatto, questo, piuttosto raro. Solitamente i ticket più efficaci sono quelli costituiti da rappresentanti di galassie politiche differenti: essi permettono infatti di estendere la base di consenso. L’ultimo ticket omogeno che riuscì a conquistare la Casa Bianca fu quello costituito da Bill Clinton e Al Gore in un contesto politico tuttavia assai differente da quello odierno. La strategia vincente di Clinton fu quella di puntare al centro dei due principali partiti, isolando le ali estreme: il che gli permise di vincere sia nel 1992 sia nel 1996. Da allora le cose sono molto cambiate. Eppure oggi si sta verificando un fenomeno parzialmente simile.
Scegliendo JD Vance, Donald Trump ha sicuramente puntato su un profilo piuttosto simile al suo. Tanto che, secondo molti, oltre a ottenere il ruolo di running mate, il senatore dell’Ohio sarebbe de facto stato quasi investito come successore dello stesso Trump. L’ex presidente ha quindi adottato una strategia molto diversa rispetto al 2016: all’epoca, puntò su Mike Pence. In quel caso, Trump aveva urgente bisogno del sostegno della destra evangelica: un mondo che, all’epoca, ancora non si fidava completamente di lui. Puntando su Pence, tese quindi una mano a quelle galassie, riuscendo a conquistare alla fine la loro fiducia. Il 2024 è però un’altra storia. Al di là dei rapporti deterioratisi con Pence, Trump sa ormai di aver praticamente blindato il voto della destra religiosa: nonostante qualche malumore per il fatto che dalla nuova Platform repubblicana sia stato espunto dopo quarant’anni il divieto federale di aborto, gli evangelici (e molti cattolici) sono grati all’ex presidente per aver nominato tre giudici originalisti alla Corte Suprema. Va considerato inoltre il fatto che Kamala Harris è storicamente una ferrea fautrice dell’aborto: un elemento, questo, che le rende ben difficile cercare di attrarre il voto della destra religiosa.
Sentendosi ormai coperto su quel fronte, Trump ha quindi deciso di puntare quasi tutte le sue carte sul voto operaio della Rust Belt: d’altronde, le prossime elezioni saranno in gran parte decise proprio dai colletti blu di Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. Scommettendo su Vance, l’ex presidente spera di rompere l’asse portante del cosiddetto Blue Wall: il “pacchetto” di Stati che, dal 1988 al 2012, ha ininterrottamente votato alle presidenziali per i dem. Vance, per attività parlamentare e per storia personale, è un nome potenzialmente attrattivo per il mondo operaio della Rust Belt. Trump spera che quindi sia di aiuto per riconquistare Wisconsin, Pennsylvania e Michigan, blindare l’Ohio e, magari, riuscire a portare elettoralmente la guerra in casa della Harris, “aggredendo” efficacemente il Minnesota. È dunque in quest’area che il candidato repubblicano sta concentrando tutte le sue forze. Certo, puntare su un ticket omogeneo resta rischioso. Ma il calcolo che sta facendo Trump poggia su un’indubbia razionalità, anche perché la sua avversaria non è mai stata particolarmente brillante nel voto operaio.
E qui veniamo al ticket dem. C’è chi sostiene che, scegliendo il governatore del Minnesota Tim Walz come running mate, Kamala Harris avrebbe compiuto una mossa particolarmente astuta. A ben vedere, c’è da dubitarne. La vicepresidente è storicamente in difficoltà con i colletti blu della Rust Belt, essendo lei espressione di un liberal progressismo che trova la propria principale base di consenso nei ceti urbani altolocati di California e New England. Inoltre, la Harris viene accusata dai repubblicani di essere un’estremista di sinistra. Eppure, anziché puntare su un vice più pragmatico e vicino al mondo operaio come il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, ha preferito alla fine scommettere su Walz: un profilo decisamente progressista che di certo non la aiuterà a disinnescare le accuse di estremismo. Certo, qualcuno sostiene che il governatore del Minnesota sarebbe una carta vincente per il voto operaio della Rust Belt. Eppure, secondo Nbc News, quando fu rieletto nel 2022, non ottenne una particolare spinta elettorale da parte dei colletti blu. E’ dunque tutto da dimostrare che Walz possa rivelarsi più forte di Vance in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin.
In realtà, la Harris ha scelto il governatore del Minnesota, sperando di tenere calma l’estrema sinistra filopalestinese, che non voleva Shapiro in quanto ferreo sostenitore dello Stato di Israele. Tuttavia, pur cedendo ai radicali del suo partito, la vicepresidente non si è messa al riparo dalle loro manovre ostili. Lo scorso 7 agosto, durante un comizio a Detroit, la diretta interessa è infatti stata platealmente contestata da un gruppo di attivisti pro Palestina. Quegli stessi attivisti che, durante le ultime primarie democratiche, avevano orchestrato una campagna per boicottare la riconferma di Joe Biden, da loro considerato troppo favorevole a Israele. Per la Harris si profila un incubo all’orizzonte. La scelta di Walz non ha calmato i filopalestinesi, che potrebbero inscenare proteste durante la Convention di Chicago, oltre che rendere alla Harris la vita elettoralmente difficile in uno Stato cruciale come il Michigan. Inoltre, come se non bastasse, la vicepresidente ha anche irritato l’ala centrista e filoisraeliana del Partito democratico, che aveva significativamente sostenuto la candidatura di Shapiro a suo running mate. Insomma, contrariamente a Trump, la Harris aveva estremo bisogno di un ticket bilanciato e disomogeneo, per schermirsi dagli attacchi dell’avversario e, soprattutto, per allargare la sua base di consenso a operai e indipendenti. Ha invece scelto di arroccarsi sull’autoreferenzialità liberal-progressista, finendo con lo scontentare tutti. Una circostanza, questa, che – al netto dei sondaggi nazionali attualmente favorevoli e dell’ottima raccolta fondi fin qui condotta – potrebbe azzopparla seriamente tra settembre e ottobre.