Politica

Il senso del voto italiano del 9 giugno Ecco il nuovo bipolarismo

Tanto tuonò che piovve. E nulla sarà più come prima. Doveva essere una tornata elettorale importante e lo è stata davvero.

Salvo catastrofi improvvise la legislatura andrà fino in fondo: altri tre anni con il governo a trazione-Meloni. Le elezioni del 9 giugno – vero e proprio voto di midterm – hanno dato un responso chiarissimo; incoraggiante per FdI e per i partiti del centrodestra (un po’, anzi molto meno per la Lega ora in piena autoanalisi con esiti tutt’altro che scontati). Quello di Giorgia Meloni può diventare governo di legilaslatura e non sarebbe un risultato da poco. Se realizzasse anche le riforme già “messe a terra” – fisco e giustizia; premierato e autonomia – avrebbe buone carte da giocare anche per il successivo quinquennio.

L’analisi sul centrodestra è semplice. Dall’altra parte la situazione è maledettamente più complicata. Il centro è stato bocciato nella duplice versione: Renzi-Bonino e Calenda in solitaria. Impensabile che dopo un simile fallimento quei politici abbiano ancora voglia d’insistere. I rischi sono molteplici. Forza Italia, che si credeva in articulo mortis, potrebbe calamitare altri consensi da quelle parti, mentre la capacità di attrazione che il Pd potrebbe esercitare da sinistra sarebbe fatale per calendiani e post-radicali. Problema ulteriore (non trascurabile) è la consolidata trasformazione del Pd-Elly in partito radicale di massa, paladino di eutanasie, uteri in affitto, Lgbt eccetera.

L’immagine di Elly allegra ballerina sul carro del Pride romano vale più di tanti discorsi: la linea-Zan è ormai nel Dna del Pd, ne costituisce il cuore. Il dirittificio ha trovato una sua nuova casa rendendo del irrilevante il microcosmo radicale con annessi e connessi (seggi parlamentari e finanziamenti sorosiani). L’altra faccia della medaglia è l’innegabile incompatibilità tra questa sinistra ellyzzata e quella parte del mondo cattolico (quel che ne resta) non del tutto rassegnato alla resa – in politica e nella vita – sui principi non negoziabili e, quindi, obbligato a cercare altrove attenzioni e possibili sintonie.

Il capitombolo dei Cinque Stelle somiglia a uno sfarinamento irreversivile (e veloce) che – attenzione! – non prelude affatto a una obbligata intesa con il Pd. Gli stellini sono piuttosto tentati da un ritorno alle origini con la voglia matta di dare il benservito a Conte e alle sue ambizioni personali ormai naufragate.

L’indubbia affermazione del Pd apre un capitolo nuovo. Impegna Schlein & C. a cercare alleanze per una credibile alternativa. Ma sarà molto difficile coordinare, federare, unire tutte le forze in campo. Quella della sinistra è una storia molto particolare. Ha avuto in passato leader di partito diventati presidenti del Consiglio (D’Alema, Letta, Renzi) ma mai alla guida di un governo legittimato dal voto popolare. Eccolo, il punto.

Solo Romano Prodi riuscì (per due volte) nell’impresa: dapprima con l’Ulivo, poi con l’Unione imbarcò praticamente tutti e sconfisse Berlusconi. Prodi non era un capo-partito e la sua debolezza divenne la sua forza. Se l’opposizione vuole ambire ad essere maggioranza deve fare altrettanto: individuare un nuovo Prodi e affidarsi a lui, mettendo insieme Pd e M5S, centrini e Verdi-Sinistra. Da Ilaria Salis alla Boschi. Un ex di lusso, Francesco Rutelli ha già detto no grazie. Avanti un altro!

Più in generale le europee hanno confermato la potente spinta egli elettori italiani verso una polarizzazione / semplificazione del quadro politico. Accadde così nel  1994 e per tutto il quindicennio della sfida Berlusconi/Prodi, allora con una legge elettorale che favoriva coalizioni e intese pre-elettorali.

Stavolta è ancora più significativo il favore degli elettori per una a prospettiva bipolare, perché la legge proporzionale (a parte lo sbarramento al 4 per cento) spinge piuttosto a dividere e distribuire a più soggetti la rappresentanzai. Le indicazioni elettorali non lasciano spazio a diverse interpretazioni: gli italiani preferiscono che per la guida della Nazione si fronteggino due poli o coalizioni, meglio ancora – in prospettiva – due partiti con i rispettivi programmi e leader, impegni e “squadre”.

A lungo termine è destinata a prevalere chi, tra destra e sinistra, risponderà meglio a queste aspettative. L’elezione diretta del Premier sarebbe un ulteriore passo nella giusta direzione. C’è tempo per questo. Ma chi saprà mostrare prontezza e capacità di iniziativa politica (promuovendo omogeneità programmatiche e federazioni politiche) avrà messo a segno punti preziosi in vista delle nuove decisive scadenze.

 

Autore

  • Mauro Mazza

    Mauro Mazza è direttore editoriale di FareFuturo. Ha diretto Tg2 e RaiUno. Ha scritto numerosi libri. Il romanzo più recente è “Diario dell'ultima notte. Ciano Mussolini lo scontro finale” (La Lepre) e l'ultimo saggio “Lo Stivale e il Cupolone. Italia-Vaticano, una coppia in crisi” (Il Timone) Nel giugno '23 è stato nominato Commissario straordinario per l'Italia, che sarà ospite d'onore alla Buchmesse di Francoforte 2024

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