Tanti nella nostra storia repubblicana sono i misteri irrisolti, senza alcuna verità certa e senza che ci sia stata una ricerca puntuale sui fatti e sui motivi che portarono alle stagioni di sangue.
Il mistero più oscuro è quello legato alla vicenda del sequestro Moro. A renderla costantemente attuale concorre non solo il calendario, che ripropone ogni anno – tra il 16 marzo e il 9 maggio – riflessioni e dibattiti sul terrorismo, ma anche pomeliche legate alle tragedie vissute allora dal nostro Paese. Basti pensare alla recente scomparsa dell’ex terrorista Barbara Balzerani e a un messaggio social di una professoressa che ha espresso dolore e condivisione personale per quella rivoluzione perseguita dal terrorismo comunista con attentati, morti e violenze.
Tornando al caso-Moro, nonostante si siano succeduti tanti processi giudiziari, tante commissioni parlamentari d’inchiesta, tanti speciali tv – più recente quello di Report (in tale trasmissione furono raccontati nuovi particolari) – la storia si arricchisce di sempre nuovi caputoli. “Lo Stato – ha rivelato Report – venne a sapere dell’omicidio Moro alcune ore prime della telefonata da parte di un brigatista della presenza all’interno del bagagliaio di una Renault rossa targata Roma N56786 del corpo del presidente Aldo Moro; si accende il cicalino e dal cicalino la voce. Due messaggi, il primo: la macchina rossa eccetera….poi il secondo dopo qualche momento… la nota personalità, linguaggio burocratico del Ministero degli Interni, per personalità si tratta eccetera….a quel punto mi dice (Cossiga ministro degli Interni del quarto governo Andreotti) e io dico fai bene e ci abbracciamo”. Così ha raccontato il socialista Claudio Signorile (poi ministro dei Trasporti del governo Craxi). E’ tuttora avvolto dal mistero il tempismo del ritrovamento del corpo dell’onorevole Moro (in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, sede del Partito comunista italiano a poca distanza dalla sede della Democrazia Cristiana in via del Gesù) quando di lì a poco si doveva tenere la Direzione del Partito democristiano che aveva come punto all’ordine del giorno (proposto dal presidente del Senato Amintore Fanfani) l’apertura di una qualche trattativa con le Br per salvare la vita al presidente Moro.
Aldo Moro è stata la personalità che più di ogni altra ha segnato la storia repubblicana; stratega incessante, ha portato il suo partito, la Democrazia Cristiana, prima a chiudere la stagione del centrismo e aprire la stagione del centrosinistra, prima con l’alleanza parlamentare, non organica con il partito socialista (cosiddetto governo delle convergenze parallele, con presidente del Consiglio Fanfani) e poi direttamente nel governo con ministri del partito socialista, il cui vicepresidente del Consiglio fu Pietro Nenni, di cui lo stesso Moro fu presidente del Consiglio (legislatura dal 1963-1968, prima con un governo “balneare” presieduto dall’allora presidente della Camera e poi presidente della Repubblica dal 1971 al 1978, quando dovette dimettersi in anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato settennale, per lo scandalo Lockheed Giovanni Leone).
Dopo ben due legislature terminate anticipatamente, quelle dal 1968 al 1972 e poi quella dal 1972 al 1976), lo stratega democristiano si accorse che la Democrazia Cristiana da sola non poteva più guidare la Nazione, più che barca, una zattera in preda alle onde tempestose, non solo politiche, ma anche sociali ed economiche.
Nel febbraio 1976, Moro guidò il suo V governo della Repubblica, caduto per il venir meno dell’appoggio del partito socialista, guidato da Francesco De Martino sulla legge della tutela della stirpe (legge sull’interruzione volontaria della gravidanza), che doveva evitare il referendum abrogativo; la legge non fu approvata, doveva quindi tenersi luogo il referendum e per evitare la consultazione referendaria si procedette alla crisi del gabinetto Moro e alle elezioni anticipate.
Il presidente della Repubblica Leone, quindi, non ravvisando più nessuna maggioranza parlamentare, che potesse sostenere un nuovo governo procedette a firmare, controfirmati dallo stesso presidente del Consiglio Moro i decreti di scioglimento della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica; convocando i comizi elettorali per il rinnovo dei due rami del Parlamento della Repubblica fissati per il 20-21 Giugno 1976.
Fu una campagna elettorale molto aspra, simile a quella del 1948, quando la Nazione dovette scegliere quali forze dovessero governare la Nazione. Nel 1948 stravinse la Democrazia Cristiana, nel 1976 poteva esserci il sorpasso del partito comunista di Enrico Berlinguer, segretario dallo stile “borghese”. L’esito delle elezioni portò la Democrazia cristiana con segretario Benigno Zaccagnini al 38.7% e il partito comunista al suo massimo storico il 34.4%.
Il sorpasso non ci fu, la DC grazie ai voti di grande parte del Meridione d’Italia riuscì a rimanere primo partito italiano. Il Partito socialista ebbe un crollo elettorale molto forte (il 9.6%, minimo storico), il partito di lì a breve elesse come nuovo segretario Benedetto Craxi.
Moro fu eletto presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, occorreva vedere se potesse esserci una nuova fase dei rapporti con il maggior partito politico di opposizione, dopo la strategia cosiddetta dell’attenzione verso il Partito comunista dei due anni precedenti (dal 1974 al 1976).
Si trovò una sintesi, ovvero un governo retto dalla non sfiducia. Moro decise di far affidare la guida di tale governo a colui che più di ogni altro conosceva la sala macchine della nave Italia, on. Giulio Andreotti; l’unico che poteva rassicurare la parte più conservatrice della Nazione, gli Stati Uniti e i nostri alleati europei.
Dopo solo due anni il terzo governo Andreotti entrò in crisi nel gennaio 1978 gli interrogativi ai quali rispondere erano sempre gli stessi, ovvero sul ruolo che dovesse avere il partito comunista nell’eventualità di una nuova maggioranza e sull’ingresso o meno direttamente nel consiglio dei ministri, quindi un ingresso organico dei comunisti nel governo.
La Nazione era in profonda crisi istituzionale, sociale ed economica, con la violenza politica da parte dell’organizzazione terroristica denominata Brigate rosse sempre più forte e che aveva come fine quella di destabilizzare il già fragile sistema politico.
Ancora una volta lo statista democristiano riuscì in un’impresa impossibile, quella di mantenere l’unità della Dc e nel portare il partito democristiano ad un’alleanza più forte con il partito comunista, senza però la diretta partecipazione dei stessi con propri esponenti nel governo.
Moro accettò di far modificare la squadra di governo ad Andreotti con l’uscita dei ministri più discussi fuori dalla compagine; al momento della presentazione della lista dei ministri Moro impose ad Andreotti di proporre al presidente della Repubblica gli stessi nomi del governo precedente.
Il partito comunista, quando fu a conoscenza della lista dei ministri ufficiale, si riunì nel Comitato Centrale in permanenza nella sede di via delle Botteghe Oscure per decidere quale linea adottare nell’imminente dibattito alla Camera fissato per il 16 marzo 1978.
La mattina del 16 marzo una notizia sconvolse il mondo istituzionale, politico e sociale della Nazione. A via Fani furono trucidati gli uomini della scorta del presidente Moro; lo statista democristiano fu prelevato dalla Fiat 130 sulla quale viaggiava, volto prima all’università per la discussione delle Tesi di laurea di quella mattina e poi per recarsi a Montecitorio per le comunicazioni del presidente Andreotti e la successiva fiducia dello stesso governo da parte della Camera dei deputati e rapito dalle Brigate Rosse.
Furono 55 giorni di comunicati, di falsi comunicati, di depistaggi di mezze verità.
Il sequestro terminò con la tragica fine dello statista democristiano, il corpo dello statista fu ritrovato nella Renault rossa, crivellato di colpi in via Caetani, la mattina del 9 maggio 1978, una traversa di via delle Botteghe Oscure e di via del Gesù sede del partito democristiano del noto statista.
Quale verità?
Innanzitutto occorre andare indietro con la mente e di ripartire, nell’incessante ricerca della verità, dai giorni antecedenti al sequestro ovvero all’opera strategica, politica dello statista. Qual era la vera strategia del presidente democristiano, veramente voleva portare il partito comunista nel governo con propri esponenti o voleva far in modo che la DC arricchisse il proprio patrimonio politico aprendosi di più alla società, ai nuovi ceti sociali che avanzavano e che reclamavano un più ampio spazio politico e sociale?
La verità è sempre illuminante e per fare piena luce sul sequestro e l’omicidio Moro occorre liberarsi da inutili strumentalizzazioni, illuminando la storia nei termini in cui si consumò quella tragedia in un clima politico-culturale che non vedeva affatto isolate le frange terroristiche rispetto a certi ambienti della sinistra (tutt’altro che minuscoli) che consideravano quei compagni delle avanguardie – ardimentose, coraggiose o disperate – della loro stessa famiglia. (E si potrebbe, quindi, riflettere sull’eredità pericolosa tuttora in circolo, di cui quel tweet dell’insegnante universitaria rappresenta una spia, voce dal se fuggita ma profondamente e pericolosamente sincera).
L’ombra di Aldo Moro aleggia sempre sulla nostra Nazione e solo la verità potrebbe portare la nostra Nazione a chiudere con il passato violento e ricominciare quella navigazione a vele spiegate verso mete più avanzate.