La scarsa maturità digitale delle micro, piccole e medie aziende italiane costituisce un freno pericoloso in termini di competitività sui mercati globali.
Le tecnologie sono state acquisite, ma manca una implementazione strategica, una vera e propria riorganizzazione aziendale improntata ad una cultura digitale e per realizzare ciò occorre estendere la digitalizzazione ai diversi processi di business rendendoli integrati.
Le PMI sono ricche di dati ma il loro utilizzo è ancora limitato; il mondo digitale ci permette un accesso rapido a questi dati e sono tanti i settori che beneficiano di decisioni misurate.
Tuttavia macchine, algoritmi di IA e nuove forme di visualizzazione di dati digitali sono un importante supporto. Ma non sono tutto; resta fermo il fatto di dover conoscere il mercato, monitorare social e web, avere coscienza della qualità della propria produzione e della sua efficienza.
Implementare linee produttive, sistematizzare processi, informatizzare un sistema non vuol dire avere portato la propria imprese ad un livello 4.0: la vera innovazione che permette la vera competitività sui mercati globali, è data da un modello di azienda capace di includere il know how legato all’innovazione degli impianti e dei processi focalizzati ad alta qualità, valorizzazione dei dati, razionalizzazione degli sprechi, certificazione in termini di sicurezza e sostenibilità.
Uno strumento potente
L’intelligenza artificiale è un potente strumento per abilitare nuove funzioni di supporto alle decisioni e di previsione di andamenti futuri delle organizzazioni. Ne sono esempi reali l’automazione delle attività di marketing digitale, i sistemi intelligenti per la logistica, le previsioni di vendite a supporto dell’ottimizzazione della produzione.
La competenza delle PMI al riguardo qui gioca un ruolo fondamentale e qui siamo indietro; ad esempio l’Osservatorio sul Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano ha realizzato uno studio che mostra la poca dimestichezza delle PMI manifatturiere con le tecnologie IOT in fabbrica.
L’Internet of Things (IoT) è una rete di oggetti e dispositivi connessi dotati di sensori e altre tecnologie che consentono loro di trasmettere e ricevere dati, da e verso altre cose e sistemi.
Oggi l’IoT è ampiamente utilizzato in ambito industriale ed è sinonimo di Industry 4.0.
Sebbene l’interesse sia in aumento il 65% ammette di non conoscerle e solo il 9% le applica; la stessa situazione si presenta per l’uso del digitale nei rapporti lungo la Supply Chain: anche qui il fenomeno è in crescita ma resta percentualmente molto basso (software 35%, sensoristica 7%).
Molto meglio va l’utilizzo dei dati relativi alle vendite, discrete le performance del digitale a supporto di amministrazione, finanza e controllo con tuttavia, una scarsa integrazione fra i processi.
Si tratta naturalmente di trovare le risorse umane e capaci di sviluppare questo importantissimo ambito.
L’Intelligenza Artificiale sta crescendo velocemente; molte attività basilari, ripetitive e spesso poco soddisfacenti, possono essere svolte in automatico, con gli umani che possono limitarsi a un ruolo di controllo e verifica.
E’ un salto tecnologico fondamentale per le aziende, perché permette di spostare le risorse umane di più elevato livello su obiettivi più premianti, rivedendo i processi e aumentando i risultati aziendali e la soddisfazione interna.
Certamente, questa evoluzione potrebbe anche essere un problema nel breve, non tanto a livello di singola azienda, ma di società: è già certo infatti, che centinaia di milioni di posti di lavoro rischiano di sparire, per essere sostituiti da quantità ancora più elevate di nuove capacità professionali, ma dopo un periodo transitorio probabilmente doloroso e con difficoltà di adattamento e conversione.
Oltre ai possibili effetti sociali, non vanno trascurati i possibili impatti etici.
In questo contesto regolamentare l’utilizzo dell’AI è utile e obbligatorio.
L’Unione europea, prima di altri, si sta attivando con l’AI Act, il regolamento per lo sviluppo e l’utilizzo dell’AI.
Già preliminarmente approvato nel dicembre 2023, si attende che entri in vigore tra circa due anni.
I modelli di studio mostrano che l’uomo medio è spesso già oggi superato su compiti semplici intelligenti, mentre persone esperte e molto formate hanno ancora un notevole vantaggio in quasi tutti i campi, soprattutto per problemi legati al raggiungimento del cosiddetto “superalignment”, cioè la capacità, attualmente mancante, da parte delle AI, di fornire informazioni puntuali fondate su conoscenze reali.
OpenAI, l’azienda che ha creato ChatGpt, si è data come traguardo il 2027 per risolvere tale problema e altri simili (e, da indiscrezioni, potrebbe arrivarci già nel 2024-25)
La Ue è uno dei primi paesi al mondo a legiferare sull’AI e l’AI Act rappresenta un passo importante nella direzione di una tecnologia sicura e affidabile.
Le norme previste dall’AI Act sono in linea con le migliori prassi internazionali, e possono contribuire a proteggere i cittadini europei e a promuovere un’AI responsabile.
La concorrenza con Paesi nei quali l’AI non è regolamentata è una sfida concreta: di certo in futuro il rispetto dei diritti dovrà rappresentare una risorsa e non un costo per le aziende, trasformandosi in fattore competitivo (chi rispetta di più i diritti deve ‘vincere’ in uno scenario ideale).
L’AI Act non è pensato per sacrificare l’innovazione, ma piuttosto per promuoverla in modo responsabile. Le norme previste dall’AI Act sono progettate per garantire che l’AI sia sviluppata e utilizzata in modo sicuro e rispettoso dei diritti fondamentali, senza ostacolare il progresso (l’innovazione è un mezzo, il benessere il fine).
L’Europa in prima linea con l’AI Act
In questo contesto ovviamente non solo regolamentare l’utilizzo dell’AI è utile, ma è assolutamente doveroso. L’Unione europea, prima di altri, si sta attivando con l’AI Act, il regolamento per lo sviluppo e l’utilizzo dell’AI. Già preliminarmente approvato nel dicembre 2023, ci si attende che entri in vigore tra circa due anni. Il fatto che l’approccio risk-based del testo orienti più all’utilizzo che allo sviluppo potrebbe renderla non del tutto inutile, ma due anni, in questo campo, sono come 100 in altri contesti.
I benchmark mostrano che l’uomo medio è spesso già oggi superato dalle AI su compiti intelligenti, anche se gli esperti hanno ancora un notevole vantaggio in quasi tutti i campi, soprattutto per problemi legati al raggiungimento del cosiddetto superalignment, ovvero la capacità, attualmente mancante, da parte delle AI, di fornire informazioni puntuali fondate su conoscenze reali e non inventate.
OpenAI, l’azienda che ha creato ChatGpt, si è data come traguardo il 2027 per risolvere tale problema e altri simili (e, da indiscrezioni, potrebbe arrivarci già nel 2024-25). Ogni sei mesi cambia tutto in questo ambito, ogni tre esce qualche novità importante, ogni giorno chi lavora nel campo legge di nuovi importanti risultati scientifici. Il ritmo è mai visto: rapidissimo pure per chi ha assistito alla nascita del World wide web.
L’equilibrio precario tra regolamentazione e vantaggio competitivo
Se l’Ue, nell’abbracciare la necessità di regolamentazione di questa tecnologia, va nella direzione giusta, contemporaneamente tira il freno a mano: posizioni troppo conservative e blocchi di tecnologie, nella pratica, non ci faranno arrivare primi e certamente non ci faranno recuperare lo svantaggio tecnologico in cui ci troviamo rispetto a Stati Uniti e Cina. Le grandi aziende Usa che si occupano di AI stanno già autoregolamentandosi, almeno sugli aspetti legati alla trasparenza sui dati di training e sulle modalità per evidenziare i contenuti generati dalle AI, in modo agile e rapido, mentre continuano a evolvere (e non perché lo chiede una legge, ma il mercato).
Le posizioni molto conservative dell’Europa stanno rallentando o inibendo l’utilizzo di modelli più avanzati di AI a chi lavora in Europa e l’ultimo esempio notevole di inizio 2024 è Google Gemini Ultra, che sarà a breve disponibile in quasi tutte le nazioni del mondo, escluse Ue e Gran Bretagna. Siccome (a meno di workaround utilizzabili solo per qualche prova, ma inibiti a un business serio) questo accade non in un singolo caso, ma per quasi tutti quelli importanti, una attesa anche solo di tre mesi rispetto al resto del mondo potrebbe tradursi in uno svantaggio competitivo che costerà recuperare. Quando tra due anni sarà tutto diverso, la legge indirizzerà problemi vecchi, ma la rigidità programmata in un momento in cui servirebbe maggiore flessibilità per comprendere le evoluzioni, avrà inibito ulteriormente i già scarsi finanziamenti europei su attività che, per ottenere risultati competitivi, richiederebbero importanti spinte legislative.
rmai noto a tutti: l’Unione Europea ha proposto nel 2021 un regolamento sull’Intelligenza Artificiale (AI) per garantire che i sistemi di AI siano sicuri, trasparenti e non discriminatori. Il regolamento (AI Act) è stato approvato dal Parlamento europeo nel giugno 2023 e dal Consiglio dell’Unione europea (Ue) a dicembre 2023. Il percorso verso il disciplinamento dell’AI nell’Ue è stato e sarà difficile, a causa di divergenze tra gli Stati membri su alcuni aspetti salienti e cruciali.
Molte sono le preoccupazioni per l’impatto che la normativa potrà sortire sull’innovazione e sulla competitività dell’Ue. Il voto finale di giugno 2023 poi, ha aperto la discussione coi Governi, stimolando il miglioramento del testo e sollevando istanze sempre più distillate. Un piccolo esempio di area di ‘emendamento’ è stato l’obbligo di verifica di impatto da parte degli utilizzatori intermedi dei foundation models (le aziende): l’Italia (e non solo) non è convinta che tale ulteriore previsione di ‘controllo’ possa giovare all’alveo normato.
Innovazione responsabile
Non tutto quello che è possibile è lecito, o democraticamente sostenibile, e non esiste soluzione perfetta alla tempesta perfetta dell’AI.
L’Ue è uno dei primi paesi al mondo a legiferare sull’AI (da non dimenticare: “Tech is global, law is local”), e l’AI Act rappresenta un passo importante nella direzione di una tecnologia sicura e affidabile. Le norme previste dall’AI Act sono in linea con le migliori prassi internazionali, e possono contribuire a proteggere i cittadini europei e a promuovere un’AI responsabile.
La concorrenza con Paesi nei quali l’AI non è regolamentata è una sfida concreta: di certo in futuro il rispetto dei diritti dovrà rappresentare una risorsa e non un costo per le aziende, trasformandosi in fattore competitivo (chi rispetta di più i diritti deve ‘vincere’ in uno scenario ideale, esattamente come nel caso del mercato delle auto a basse emissioni). Solo in questo modo le aziende saranno indotte a rispettare le regole per conquistarsi clienti, e sarà proprio il mercato a produrre questo risultato, se la cultura dei diritti ci spingerà verso la direzione giusta.
L’AI Act non è pensato per sacrificare l’innovazione, ma piuttosto per promuoverla in modo responsabile. Le norme previste dall’AI Act sono progettate per garantire che l’AI sia sviluppata e utilizzata in modo sicuro e rispettoso dei diritti fondamentali, senza ostacolare il progresso (l’innovazione è un mezzo, il benessere il fine). Sotto l’ombrello democratico, infatti, non c’è spazio per diritti tiranni, e nemmeno il diritto all’innovazione esula da questo assioma. Si arriverà dunque a un bilanciamento tra diritti.
Come analizzato, l’AI Act comporta una serie di eccezioni e deroghe che consentiranno agli sviluppatori di sperimentare nuove tecnologie e di ‘innovare’ nell’accezione più ampia di questo termine… del resto, i 24 mesi di ‘decompressione’ necessari a garantire la piena applicazione dell’AI Act apriranno scenari evolutivi ancora del tutto imprevedibili.
Stare fermi e inerti, vuol dire tornare indietro. Una lezione ancora più vera per l’Italia la cui struttura industriale deve fronteggiare le sfide della bassa produttività e l’incremento del numero di imprese ad alto contenuto tecnologico». Il titolare del Mef ha spiegato senza girarci intorno che oggi, con l’intelligenza artificiale, la posta in gioco è «la competizione mondiale», e l’accelerazione di questa tecnologia «può aprire scenari sorprendenti». E queste innovazioni «hanno una rilevanza geopolitica che richiede anche un presidio pubblico, pronto ad adattarsi ai cambiamenti».