La Proxy War Theory, o teoria della guerra per procura, occupa un ruolo centrale negli approcci analitici allo studio delle relazioni internazionali e offre un modello fondamentale per comprendere le dinamiche di potere e i conflitti in diverse regioni del mondo. Questa teoria si concentra sulle relazioni tra attori statali egemoni, detti “mandanti” o “principali”, e attori non statali, detti “agenti”, che agiscono come intermediari per loro conto.
Questa dinamica è particolarmente evidente in contesti in cui un attore principale cerca di perseguire i propri interessi senza un coinvolgimento diretto in azioni tipicamente ostili ed è pertanto associata tipicamente alle guerre. Ma il modello di relazione implicito a questa teoria costituisce un approccio analitico fondamentale per comprendere tutte le complesse dinamiche delle relazioni internazionali, evidenziando come gli Stati possano influenzare gli eventi attraverso attori intermediari anche in tempo di pace relativa. La sua applicazione offre pertanto una prospettiva approfondita e oggettiva sulla natura delle alleanze, dei conflitti e delle strategie di potenza a livello globale.
Dal punto di vista formale, uno degli aspetti chiave della Proxy War Theory è la complessità delle relazioni tra gli agenti e i principali. Ad un livello elementare, gli Stati principali possono fornire sostegno finanziario, militare o politico ad agenti non statali, permettendo loro di agire in modo più efficace sul territorio. Questa relazione è però quasi sempre caratterizzata da un’asimmetria di potere e di informazioni. Un quadro in cui il principale cerca di massimizzare il proprio controllo e far sì che il mandatario agisca in base ai suoi interessi. In linea generale, la scelta di utilizzare i proxies può derivare da diverse ragioni, tra cui la volontà di mantenere una certa distanza da azioni dirette, ad esempio di tipo militare ma anche per risolvere empasse di natura diplomatica, la possibilità di sfruttare risorse locali e competenze specifiche dei gruppi non statali, la capacità di perseguire obiettivi attraverso attori terzi senza compromettersi direttamente, o infine quelle situazioni in cui il principale non dispone di risorse necessarie a perseguire i propri obiettivi.
Oggi queste dinamiche non possono sfuggire a tutti coloro che osservano il coinvolgimento dell’Iran in Medio Oriente. Qui Teheran ha sostenuto negli anni vari gruppi, attraverso i quali ha saputo influenzare gli sviluppi regionali senza essere direttamente coinvolta in operazioni militari. L’Iran ha infatti abilmente sviluppato una fitta rete di proxies in diversi paesi, utilizzandoli poi come strumenti per perseguire i propri interessi strategici di medio e lungo periodo. Questi proxies, o agenti, rappresentano al momento un elemento chiave della politica estera iraniana, consentendo a Teheran di estendere la propria influenza e di esercitare un impatto significativo sulle dinamiche regionali senza esporsi direttamente o necessitare risorse di cui al momento non dispone.
Iran ed Hezbollah
Tra i gruppi oggi controllati a vario livello dalla Repubblica Islamica è necessario menzionare i seguenti. Per prima cosa Hezbollah. Fondato nel 1982 durante l’occupazione israeliana del Libano, il movimento terroristico shiita Hezbollah è attualmente il proxy più influente dell’Iran. Questa organizzazione è nota sia per le sue capacità militari che per la sua ostilità nei confronti di Israele ed ha guadagnato notevole sostegno, sia politico che sociale, in Libano. Hezbollah è stato anche direttamente coinvolto in conflitti regionali, tra cui la guerra in Siria a sostegno del regime di Bashar al-Assad. Conosciute anche come Ansar Allah, le milizie Houthi sono sostenute dall’Iran nella loro lotta contro il governo yemenita appoggiato dall’Arabia Saudita, lo storico antagonista di Teheran. Il sostegno iraniano include fornitura di armi e addestramento, e questo gruppo ha rappresentato una fonte di tensione regionale, alimentando il conflitto in corso nello Yemen e le recenti tensioni nel Mar Rosso. In Iraq, altro paese di importanza fondamentale nel conflitto che si sta sviluppando in Medioriente, diverse milizie paramilitari sono sostenute dall’Iran e operano con una certa autonomia. Alcune di queste milizie sono emerse durante il periodo di occupazione statunitense in Iraq e hanno successivamente consolidato la loro presenza, partecipando attivamente alle operazioni in Siria e in altri contesti regionali. In Siria, l’Iran ha anche fornito sostegno a diverse milizie e gruppi armati locali che combattono a fianco del regime di Bashar al-Assad nella guerra civile siriana. Queste milizie hanno svolto un ruolo significativo nella difesa del governo siriano contro i ribelli e sono diventate una parte integrante della strategia iraniana nella regione. Infine, Hamas. La relazione tra l’Iran e Hamas è un argomento complesso. Sebbene ci siano prove evidenti del sostegno finanziario e logistico da parte dell’Iran a Hamas, la natura di questa connessione non è così chiara come nei casi di altri proxies. Hamas è un’organizzazione palestinese che ha origini, una storia e un sottostrato religiosi indipendenti e per certi versi antagoniste aall’Iran e ha guadagnato sostegno da diversi attori regionali nel corso degli anni. Mentre ci sono segnali incontrovertibili di un livello di supporto iraniano, la relazione non è così diretta come nel caso di Hezbollah o dei gruppi che operano in Iraq e Yemen. Alcuni analisti notano ad esempio come il sostegno iraniano a Hamas sia stato altalenante nel tempo, con fasi di collaborazione e fasi di distanziamento. Pertanto, sebbene ci siano indicazioni di interazioni tra i due, la definizione di Hamas come proxy dell’Iran richiede un approccio più sfumato rispetto ad altri gruppi che operano nella regione.
Teheran e i suoi proxies
Ma mentre l’Iran vede sicuramente in questi gruppi lo strumento ideale per perseguire i propri interessi strategici in Medioriente, dall’analisi di queste relazioni emergono anche dinamiche complesse e sfide legate alla gestione di alleanze e alla ricerca di una coerenza di obiettivi tra Teheran e i suoi proxies. La presenza e l’azione di questi proxies contribuiscono certamente a ridefinire gli equilibri di potere nella regione, e a influenzare le dinamiche geopolitiche su scala globale. Ciononostante, essa sottende un rapporto complesso in cui Teheran, nonostante il sostegno finanziario e militare fornito ai suoi proxies, sembra non poter contare sul loro completo controllo. L’intelligence statunitense stima infatti che diversi gruppi, tra cui le milizie Houthi e le milizie che operano in Iraq e Siria agiscano ormai in maniera relativamente autonoma, mostrando interessi e ambizioni che divergono nettamente da quelle di Teheran e che rischiano di portare il paese sull’orlo di un conflitto che non può certo permettersi.
Se chi si avvicina a questa teoria con l’idea che esista una relazione deterministica e verticistica tra il principale e l’agente fatica a comprendere le ragioni di questa contingenza, per la Scienza Politica questa non è certo una novità. L’emergere di conflitti di interessi tra il principale e i proxies può portare a divergenze operative e decisioni autonome da parte di quest’ultimi. Inoltre, le informazioni asimmetriche e la mancanza di controllo sui processi decisionali possono complicare la gestione delle necessità operative di breve periodo e generare incertezze nelle risposte di tutti gli attori coinvolti, compresa la comunità internazionale. Questa situazione è nota in Economia come il “problema principale-agente”, ovvero una circostanza in cui possono emergere conflitti di interessi dovuti a divergenze di priorità che portano gli agenti ad agire in modo autonomo e indipendente dal principale. Le potenziali implicazioni della mancanza di controllo sono significative sia per la situazione geopolitica della regione che per determinare i parametri di risposta delle potenze occidentali, ad esempio nel caso degli attacchi ad imbarcazioni commerciali o contro le loro truppe presenti nel teatro operativo. L’intelligence americana e dei paesi NATO, pur riconoscendo il sostegno iraniano e la natura della relazione principale-agente, non attribuisce direttamente a Teheran la progettazione e l’esecuzione di tali attacchi. Ciò da un lago genera incertezza sulle contromisure da adottare, poiché non è chiaro fino a che punto l’Iran sia coinvolto o responsabile, ma dall’altro riduce la probabilità di un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti e dell’Europa in un conflitto aperto con l’Iran. Questo scenario complica pertanto la reazione politica e le decisioni operative degli attori occidentali, che devono considerare la disparità di interessi tra Teheran e i suoi proxies. Infine, la mancanza di un controllo totale su gruppi come gli Houthi suggerisce che la cessazione di conflitti specifici, come quello a Gaza, potrebbe non portare automaticamente a una pausa delle ostilità da parte dei proxies iraniani.
Quest’ultima considerazione è estremamente importante in quanto mette in discussione alcuni luoghi comuni che sono diventati dei veri e propri dogmi dell’analisi geopolitica che si interessa dei conflitti in Medioriente. Tra questi, lo studio della Proxy War Theory indebolisce particolarmente la presunta natura causale della correlazione tra gli attacchi nel Mar Rosso e in Iraq e la guerra tra Israele e Hamas. Se è pur vero infatti che l’estensione del conflitto nell’area si deve probabilmente all’avvio delle operazioni dell’IDF nella Striscia di Gaza, l’idea che con la fine delle ostilità tra Israele e i palestinesi comporti automaticamente la cessazione dei conflitti nelle zone limitrofe è ingenua e totalmente priva di fondamento. Prima di tutto perché il contesto delle operazioni di questi agenti nel teatro precede gli eventi del 7 ottobre 2023, sebbene l’intensità e la natura dei loro obiettivi sia cambiata. In seconda battuta, non si deve escludere il fatto che l’Iran abbia comunque interesse a prolungare gli scontri creando un nuovo status quo che permetta maggior spazio di manovra sul lato della sua politica nucleare. Dobbiamo poi anche tenere conto che altri attori internazionali, come la Russia o la Cina che sono in qualche modo “principali” dell’Iran, potrebbero ritenere la situazione utile a raggiungere i loro obiettivi strategici – per esempio quello di indebolire le economie occidentali, testare o logorare le capacità militari della NATO. Infine, come si evince dalla discussione precedente, non è nemmeno scontato che siano proprio i proxies Iraniani a non sentire ragioni.