Gli anni successivi alla pandemia avevano segnato un record per il Canale di Suez, in termini di navi, di merci transitate e di ricavi per l’Egitto.
Le oltre 23.400 navi passate nel 2022, avevano portato le entrate del Canale a 8 miliardi di dollari con un incremento del 25% rispetto al 2021.
L’aumento dell’inflazione ha spinto anche gli egiziani a rivedere le tariffe, da gennaio 2023 aumento del 15% per tutte le tipologie di navi.
D’altra parte l’incremento dei diritti di transito deriva della strategicità del canale di Suez rispetto a rotte marittime di più lunga percorrenza e con maggior consumo di carburante.
Suez è da sempre un snodo strategico per i traffici nel Mediterraneo continuando a rappresentare il 12% del traffico mondiale e circa il 5% del traffico di greggio, il 10% dei raffinati e l’8% del GNL.
Anche una importante quota del commercio alimentare mondiale passa da qui: il 14,6% delle importazioni mondiali di cereali e il 14,5% delle importazioni mondiali di fertilizzanti.
Tra il 2001 e il 2022 il traffico container tra Europa e Asia (che passa dal Canale di Suez) è cresciuto a un tasso medio annuo del 4,4%, mentre la rotta transatlantica appena del 2% e quella transpacifica (la principale in termini di volumi) del 4%.
I porti del Mediterraneo sono molto migliorati negli ultimi anni soprattutto in competitività e capacità attrattiva, in primis quelli italiani.
Il divario con i porti del Nord Europa è in costante riduzione, la rilevanza del Mediterraneo è testimoniata anche dall’interesse da parte degli investitori esteri.
Dal 2013 la Cina ha investito circa 75 miliardi nella sponda meridionale del Mediterraneo e 16 miliardi in Turchia. Il 30% degli investimenti cinesi si è concentrato su trasporti e logistica e il 24% sull’energia.
Tutto questo ha giovato al sistema marittimo italiano dall’essere area di passaggio al crescente ruolo di hub euro-mediterraneo.
Nel 2021, l’economia marittima in Italia ha superato i 52 miliardi di euro crescendo di oltre 10 miliardi in un decennio ed è una volta e mezzo quello dell’agricoltura e quasi l’80% del valore aggiunto dell’edilizia, con una base imprenditoriale di oltre 228mila imprese e una occupazione di oltre 900mila addetti. I porti svolgono un ruolo fondamentale di supporto all’internazionalizzazione dato che in Italia circa il 40% degli scambi di import-export avviene via mare per 377 miliardi di euro a fine 2022 con un aumento del 66% in 10 anni.
L’Italia importa via mare prevalentemente dalla Cina ed esporta soprattutto verso gli USA. L’industria italiana fa viaggiare su mare verso l’estero principalmente i settori dei macchinari, raffinati, prodotti chimici e mezzi di trasporto, che costituiscono circa il 60% dell’import-export marittimo totale.
I porti italiani nel 2022 hanno movimentato oltre 490 milioni di tonnellate di merci, con un incremento dell’1,9% sul 2021 e +0,2% sul 2019. Nel corso degli ultimi 10 anni la movimentazione dei porti italiani si è mantenuta pressoché costante.
L’aumento decennale complessivo è stato infatti di circa il 7%.
La nuova sfida dei porti italiani è diventare hub della transizione energetica, integrati con le aree produttive così come più volte ribadito dal governo italiano e varie volte dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy Urso.
Per il nostro paese molte delle iniziative devono tener conto dell’attività dei porti che possono diventare dei veri e propri “hub energetici” per lo stoccaggio e/o produzione di GNL, biocarburanti e idrogeno.
Il tempo stimato è di circa 5 anni per fare dell’Italia il ponte mediterraneo del gas attraverso 7 rigassificatori in prossimità dei porti e 5 gasdotti da sud volti a far transitare circa 50 miliardi di metri cubi di GNL e fino a 90 miliardi di gas (a pieno regime) per un totale di 140 mld.
I porti del Mezzogiorno si confermano una leva strategica; l’import-export via mare nel 2022 ha raggiunto 84,4 miliardi di euro con un balzo del 41% sull’anno precedente; si tratta di una percentuale superiore all’Italia (37,6%).
Gli stessi giocano un ruolo chiave sul comparto “Energy” (petrolio greggio e raffinato) rappresentando il 48% dei rifornimenti e delle esportazioni petrolifere via mare del Paese ed essendo il terminale di importanti pipeline dal Nord Africa e dall’Asia.
Le 8 ZES (Zone Economiche Speciali) del Mezzogiorno stanno attirando già cospicui investimenti.
Tuttavia, da una situazione in netto miglioramento e con buone prospettive di ulteriore crescita purtroppo si sono manifestati negli ultimi 3 mesi altri focolai di guerra e di tensioni internazionali che, se non risolte in breve tempo, potrebbero portare a danni notevoli.
La crisi mediorientale e la guerra Israele- Palestina, acuita dalle tensioni favorite dall’Iran nello Yemen hanno provocato in poche settimane il dimezzamento dei passaggi da Suez.
La media dei passaggi dal canale tra l’1 gennaio e il 14 dicembre 2023 è stata di 71 navi al giorno. Dal 15 dicembre 2023 all’11 gennaio 2024 le navi sono state 58. Nei primi undici giorni del 2023 i transiti sono stati 143; nello stesso periodo del 2024 sono stati 65, con un calo del 55%.
Siamo già al dimezzamento dell’attività.
A causa degli attacchi nel Mar Rosso, i costi di trasporto di un container medio da Shanghai a Genova sono quadruplicati nel giro di un mese e mezzo (+350%).
A metà gennaio il traffico di portacontainer, petroliere e metaniere dallo stretto di Bab el-Mandeb (fra Gibuti e lo Yemen) si era ridotto di quasi la metà (-46%), riflettendosi sul traffico dal canale di Suez più a nord (-35%).
Attualmente, l’Egitto rischia di vedere il proprio PIL ridursi dello 0,8% per le cause dirette della crisi.
I primi effetti purtroppo si cominciano a vedere anche nei maggiori porti italiani, che da fine dicembre sono arrivati a far segnare una riduzione dei traffici commerciali superiore al 20%.
Anche il passaggio di gas naturale liquefatto (GNL) dal Qatar attraverso Suez è crollato, e a gennaio l’Italia potrebbe vedere una riduzione delle consegne di gas del Qatar del 70% rispetto alla media del 2023.
Quest’ultimo conta per circa il 10% del gas consumato in Italia quindi non vi sono rischi grazie a stoccaggi molto elevati per questo periodo dell’anno.
Gli effetti di questa crisi sull’inflazione però, se duraturi, potrebbero essere significativi, soprattutto per l’Europa.
Il ritardo di consegna delle merci, ad oggi, è di 10-15 giorni ma con il passare del tempo i rallentamenti potrebbero crescere parecchio. Il pericolo reale è la mancata consegna dei container che non potranno essere utilizzati per il viaggio inverso.
La catena logistica del just in time è organizzata così ed è impossibile cambiarla in corso d’opera.
Di fatto le navi mercantili sono magazzini che hanno sostituito quelli fisici delle imprese; in loro assenza, il processo produttivo si paralizza.
Lo abbiamo visto con il Covid, con le porta-container ferme in rada nei porti cinesi. Una situazione estrema, che, si spera, non si ripeta più.
Urge intervenire in fretta, anche/soprattutto per evitare danni peggiori ad industria e attività commerciali.