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La Chiesa di Bergoglio tra divisioni e tormenti

Il 2023 è stato un annus horribilis per Francesco: il ritorno dell’incubo abusi con la vicenda dell’ex gesuita Marko Rupnik, lo strappo con i greco-cattolici ucraini e con il governo di Kiev per le parole di elogio alla “grande madre Russia”, lo scarso successo del Sinodo sulla sinodalità, la discussa condanna del cardinale Angelo Becciu, infine il via libera alle benedizioni delle coppie di fatto e arcobaleno che ha portato intere conferenze episcopali a ribellarsi. Inoltre, non sono mancati i problemi di salute per un Pontefice che lo scorso 17 dicembre ha spento le ottantasette candeline e di cui, a breve, ricorrerà l’undicesimo anno dall’elezione.

Il nuovo anno si è aperto forse peggio di come si era concluso il precedente: il gran rifiuto della Chiesa d’Africa di applicare le benedizioni non liturgiche delle coppie omosessuali imposte dal dicastero per la dottrina della fede nella Dichiarazione “Fiducia supplicans” ha segnato la clamorosa sconfessione del cardinale Víctor Manuel Fernández, l’uomo chiamato la scorsa estate come prefetto nel ruolo che nel ventennio wojtyliano fu di Joseph Ratzinger, La morte di Benedetto XVI, nell’ultimo giorno del 2022, sembra aver suggerito al círculo di stretti collaboratori del Papa argentino un’accelerazione che ha reso il 2023 uno degli anni più traumatici per la storia della Chiesa contemporanea.

Lo si è visto dalle epurazioni dei prelati meno in sintonia con la linea dell’attuale pontificato: prima è toccato a monsignor Georg Gänswein, storico segretario di Ratzinger rispedito senza incarico nella diocesi originaria di Friburgo, poi a monsignor Joseph Edward Strickland, vescovo conservatore statunitense rimosso d’imperio dalla guida della diocesi di Tyler a soli 65 anni, e ancora al cardinale Raymond Leo Burke, privato addirittura del sostentamento mensile e del canone agevolato per l’appartamento romano. A far penare Francesco, però, non c’è solo l’Occidente e l’Africa: in India, ad esempio, si trova a dover affrontare una gravissima frattura per questioni liturgiche all’interno dell’antica Chiesa siro-malabarese.

La pubblicazione di “Fiducia supplicans”, dopo che non senza difficoltà si era riusciti ad evitare di far finire la questione delle benedizioni arcobaleno nella relazione finale del Sinodo sulla sinodalità dello scorso ottobre, rischia di svuotare d’importanza l’ultima sessione sinodale attesa a Roma per ottobre prossimo.

In realtà, sulla tenuta dell’unità della Chiesa incombono due altri temi caldi: ordinazione femminile ed abolizione del celibato obbligatorio. Le risposte del Papa ai Dubia inviati da cinque cardinali la scorsa estate fanno capire che la porta di Santa Marta non è del tutto chiusa alla prima opzione che può essere, secondo il parere papale, oggetto di studio a differenza di quanto aveva stabilito San Giovanni Paolo II nella “Ordinatio Sacerdotalis”.

Anche sul celibato sacerdotale qualcosa si muove nella Chiesa come dimostra la recente dichiarazione di un prelato di peso in Curia, l’arcivescovo di Malta monsignor Charles Scicluna che è segretario aggiunto del dicastero per la dottrina della fede. Da sempre considerato un moderato, Scicluna è stato uno dei candidati a prendere la guida dell’ex Sant’Uffizio dopo il pensionamento del cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer. Francesco, però, gli ha preferito il teologo amico, l’ultra-progressista argentino Víctor Manuel Fernández che si è già messo in evidenza per “Fiducia supplicans” e per il clamore del suo vecchio libro “La Pasión Mística” con contenuti da bollino rosso. In ogni caso, monsignor Scicluna ha preso posizione sull’abolizione dell’obbligo di celibato in un’intervista a Times of Malta nella quale ha detto che è arrivato il tempo per “discutere seriamente la questione” e “prendere decisioni in merito”.

“Perché dovremmo perdere un giovane che sarebbe stato un ottimo sacerdote solo perché voleva sposarsi?”, si è chiesto l’arcivescovo maltese, facendo capire la sua preferenza. Non sembrano dichiarazioni casuali dal momento che vengono pronunciate da un prelato in Curia dal 1995 e che dal 2002 ricopre ruoli di grande responsabilità all’interno del dicastero per la dottrina della fede: è consapevole che il vento sta cambiando anche su questo e che il 2024 potrebbe essere l’anno dei preti sposati?

 

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Dottorando in Scienze giuridiche e politiche. Giornalista e saggista. Scrive di Chiesa, Santa Sede e Vaticano per "Il Giornale" e "La Nuova Bussola Quotidiana".

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