Dal 2024 la Zona Economica Speciale per il Mezzogiorno (Zes unica) comprenderà Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna e sostituirà le Zes attuali.
La costituzione di un’unica ZES consentirà di massimizzare nello scenario internazionale l’impatto competitivo dell’intero Mezzogiorno con il suo già rilevante apparato produttivo, che rappresenta un potenziale da valorizzare nelle sue molteplici articolazioni settoriali e territoriali, con riconoscimento di uguali chance di sviluppo a tutti i territori dell’Italia meridionale e a tutte le imprese già insediate nel Sud o che in esso volessero insediarsi (Dipartimento per le Politiche di Coesione).
Mentre il Paese fa i conti con un evidente rallentamento dell’economia (caro energia, guerra in Ucraina e inflazione galoppante), si registrano nel Mezzogiorno duraturi segnali di vivacità.
Li rileva il Centro Studi sul Mezzogiorno: sfide e opportunità per le imprese manifatturiere.
L’indagine, concentrata sulle società di capitale con più di dieci dipendenti è stata avviata nel 2021e comprende l’intero periodo post-pandemico e del conflitto armato in Ucraina ancora in corso, due eventi che hanno scosso fortemente gli equilibri economici globali, cambiando lo scenario di riferimento per le imprese italiane in questo inizio di decennio.
Già nel 2022 (rispetto al 2021) era stata evidente in Italia la tendenza a realizzare investimenti. Quest’anno è vero che si fanno i conti con una riduzione della quota di imprese investitrici su tutto il territorio nazionale, ma il Sud si distingue in positivo.
E infatti, la quota di imprese meridionali che ha realizzato investimenti nel 2023, pur se in sensibile calo (dal 49% al 43%), resta superiore al dato medio dell’Italia (40%).
È poi significativa la quota degli investimenti che le imprese meridionali destinano alla innovazione e alle nuove tecnologie: il 44,6% del Sud (stabile rispetto al 2021) contro il 41,8% della media in Italia, in sensibile calo rispetto al 2021 (-4,5%).
Nell’ambito degli investimenti innovativi, poi, le imprese, sia nelle regioni meridionali che nelle altre aree del Paese, dedicano una quota maggiore di risorse al digitale , ma comunque più alta al Sud (38,8% contro il 37,2% in Italia).
A seguire, gli investimenti in sostenibilità, la cui quota risulta in crescita.
Come spiegare la vivacità degli operatori meridionali?
Senza dubbio c’era la necessita di fare investimenti che da anni erano stati rimandati, quindi le imprese del sud dovevano recuperare competitività.
In altre parole si arriva alla fase in cui cresce la spesa pubblica che a sua volta alimenta anche quella privata.
Le previsioni per il prossimo triennio ripropongono una maggiore vivacità del Mezzogiorno. In particolare, per quel che riguarda gli investimenti in digitale, si stima una crescita media nel prossimo triennio pari al 10,6% per le imprese del Mezzogiorno e dell’8% a livello nazionale.
E per gli investimenti in innovazione sostenibile, si stima possano avere una crescita media nello stesso periodo del 10,1% nel Mezzogiorno e del 7,4% mediamente in Italia.
Altra voce importante sono gli investimenti in formazione e ricerca. Per questi la stima è di una crescita pari al 9,2% nel Mezzogiorno e al 7% in Italia.
L’Osservatorio dedica un capitolo a parte al Pnrr per misurare l’effettiva partecipazione delle imprese alle iniziative già avviate: nel Mezzogiorno aumenta la quota di imprese coinvolta in tali progetti (+3%) rispetto a quella di imprese che lo scorso anno avevano previsto di partecipare a queste iniziative.
Anche il tema Zes appassiona di più le imprese meridionali: il 50% di queste si dichiara molto o abbastanza informato, contro il 37% in Italia.
E ancora, quanto al grado di coinvolgimento effettivo all’interno delle ZES, nel Mezzogiorno la quota di imprese che già partecipa a progetti (9%) o si aspetta di partecipare (35%) è maggiore che a livello nazionale.
Si osservano, poi, i rapporti delle imprese con i fornitori esteri, partendo dalle forniture energetiche, che sono un fattore importante di competitività nell’attuale scenario di forte crescita dei prezzi dell’energia: la capacità di auto-produrre energia per le proprie esigenze produttive risulta cruciale per la riduzione dei costi.
Riguardo alle forniture dall’estero in generale, il 60% delle imprese meridionali (54% in Italia) studia programmi di reshoring per contrastare i problemi legati a eccessiva distanza dai fornitori e insicurezza.
Viceversa circa un quarto del sistema produttivo (24% nel Mezzogiorno, 27% in Italia) non ritiene di dover intervenire sugli assetti di fornitura attuali.
Se invece si considerano export e grado di internazionalizzazione, si registra una quota di imprese internazionalizzate consolidata, con circa i 2/3 del sistema produttivo meridionale che esportano sui mercati esteri, un dato in linea con la media nazionale.
Per il Mezzogiorno, le imprese dell’alimentare sono più internazionalizzate: il 53% vende all’estero almeno il 20% del fatturato e per il 24% delle imprese il fatturato estero supera il 50%, una quota certamente ragguardevole.
Nel Sistema Moda, invece, la percentuale di imprese fortemente esportatrici (almeno il 50% di fatturato estero) tocca il 21%, al secondo posto tra i settori.
Quindi, le stime dell’effetto potenziale ZES indicano in 83 miliardi l’incremento del valore aggiunto del Sud Italia pari al 23% complessivo.
E’ certamente una grande opportunità.