Con la scomparsa di Giorgio Napolitano l’Italia perde l’ultimo protagonista di una lunghissima stagione politica che si dipana dalla seconda metà del Novecento sino ai giorni nostri. Un arco di tempo che ha visto la progressiva evoluzione delle istituzioni repubblicane e nel corso del quale compiti e funzioni descritti nella Carta hanno preso forma non senza contraddizioni e paradossi. Napolitano non è stato solo testimone diretto di questo cambiamento. Grazie ad una longevità politica senza precedenti ha potuto contribuire in prima persona alla definizione di quei ruoli, sino a plasmare l’essenza stessa della prima carica dello Stato.
La lunga carriera politica di Napolitano inizia con il tramonto della parabola di De Gasperi e termina con la fine del renzismo. Entrato alla Camera nel 1953 tra le fila del Pci, fa parte di quella generazione successiva ai costituenti che ha impresso un nuovo ritmo al sistema parlamentare, instaurando per la prima volta nella storia una dialettica tra maggioranza e opposizione sconosciuta all’Italia risorgimentale.
Tra i comunisti Napolitano rimane sempre un uomo di partito, ma è all’interno di quei confini novecenteschi, in apparenza indelebili, che avviene una lenta maturazione politica. Nel 1956, da giovane deputato, manifesta il suo convinto appoggio all’intervento sovietico in Ungheria, una scelta che non mancherà di esporlo a commenti di dura riprovazione in futuro. Vent’anni dopo, da parlamentare di lungo corso, è il primo comunista a recarsi negli Stati Uniti per un inedito ciclo di conferenze. Nel mezzo la morte di Togliatti, l’eurocomunismo di Berlinguer e il dibattito interno al partito, specchio di un’Italia che cambia, proprio come Napolitano. Con i miglioristi guida la lenta transizione del Pci dall’ortodossia massimalista ad un orizzonte riformista e – in prospettiva – socialdemocratico. Un percorso che risultava ancora incompiuto dopo il crollo dell’Unione Sovietica e che si concluse sulle rovine del partito socialista travolto da mani pulite.
Dopo la morte di Berlinguer la capacità attrattiva del Pci inizia inesorabilmente a calare. Il nuovo corso inaugurato da Alessandro Natta, all’insegna di un illusorio ritorno al passato, si risolve in un insuccesso elettorale. Napolitano si impegna in prima persona per la svolta della Bolognina e partecipa alla formazione del neonato Pds. Tesse inoltre con lungimiranza la sua tela e diventa il comunista italiano più noto a livello internazionale, organizzando il celebre viaggio di Achille Occhetto da Bush nel 1989. Alla prospettiva europea si aggiunge quella americana ormai consolidata, ma per la stanza dei bottoni occorrerà ancora attendere.
La svolta arriva nel 1992. Napolitano ormai post-comunista a tutti gli effetti è un veterano dell’emiciclo. La nuova legislatura appare da subito travagliata e la consuetudine di riservare la presidenza della Camera all’opposizione non viene rispettata, l’elezione di Scalfaro al Quirinale cambia i giochi. Napolitano gli succede alla guida di Montecitorio e si avvia a compiere lo stesso percorso di Nilde Iotti e Pietro Ingrao. La deflagrazione di Mani Pulite consegna un Parlamento balcanizzato e incapace di reagire. Alla delegittimazione popolare si aggiunge l’indebolimento seguito alla riforma dell’immunità parlamentare. Dallo scranno più alto Napolitano assiste impotente al blitz della polizia giudiziaria, incaricata dalla Procura di Milano di sequestrare i bilanci dei partiti custoditi alla Camera. Il respingimento delle autorizzazioni a procedere nei confronti di Craxi scatena le dimissioni dei ministri comunisti dal governo Ciampi. Napolitano reagisce imponendo il voto palese ribaltando una lunghissima prassi consolidata.
La fine anticipata della legislatura e la vittoria del centrodestra alle elezioni del 1994 frustrano ancora una volta i tentativi dei post-comunisti di guadagnare la vetta. Il governo Berlusconi avrà però vita breve e, nel 1996, con l’arrivo di Prodi a Palazzo Chigi, Napolitano approda al Viminale. A più di 70 anni di età è il primo ministro dell’interno proveniente dalle fila del Pci. È l’inizio di un periodo di continuità per il Viminale, Napolitano stringe un intenso rapporto con il Capo della polizia Masone che si concretizza in importanti successi nella lotta alla criminalità organizzata. C’è anche lo spazio per intervenire sul Sisde, infondendo nuova linfa dopo anni di scandali e inefficienze con la nomina del prefetto Stelo.
Con la caduta del governo Prodi anche la carriera di Napolitano sembra volgere alla fine. Non riconfermato da Massimo D’Alema, si avvia verso un ruolo di secondo piano lasciando spazio ad una nuova generazione di figure del centrosinistra. Nel 2005 arriva la nomina a senatore a vita destinata a coronare una lunga carriera parlamentare.
Dopo l’esito incerto delle urne del 2006, il ritorno di Prodi a Palazzo Chigi porta inaspettatamente all’elezione di Napolitano a presidente della Repubblica. Il centrosinistra riesce ad imporre con successo la sua candidatura al quarto scrutinio, permettendo al primo post-comunista della storia di diventare capo dello Stato, con percentuali di voto tuttavia inferiori a numerosi suoi predecessori.
È l’inizio di una lunga stagione politica che non appartiene ancora alla storia e le cui conseguenze si riflettono ancora oggi sugli equilibri istituzionali. Come osservato da più parti, Napolitano è appartenuto alla schiera dei presidenti “interventisti”. Da Gronchi a Scalfaro sono numerosi gli esempi in cui i poteri del capo dello Stato sono stati spinti al limite, spesso avvicinandosi al punto di rottura. Con Napolitano il Quirinale torna a far sentire la propria voce, in modo più deciso rispetto a Ciampi.
La presenza di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi acuisce il conflitto istituzionale, che si materializza per la prima volta nel 2009: dal caso Englaro al cosiddetto lodo Alfano, passando per la crisi interna del centrodestra, non mancheranno le occasioni di recriminazioni per la mancanza di terzietà del capo dello Stato. Il drammatico peggioramento delle condizioni economiche e l’assenza di una maggioranza parlamentare portano alla arcinota sostituzione di Berlusconi con Mario Monti. Un’operazione che vede l’interventismo del Colle spinto al massimo grado. La ritrosia a concedere le elezioni da parte di Napolitano si scontra con le ambizioni di Bersani pronto a guidare il paese e la scelta di un tecnico alla guida dell’esecutivo porta con sé inevitabili conseguenze sul piano del consenso elettorale: fioriscono i movimenti populisti, con l’ascesa dei 5 Stelle e il centrosinistra manca clamorosamente l’appuntamento col voto.
Dopo diversi tentativi infruttuosi per eleggere il suo successore, il Parlamento incorona nuovamente Napolitano conferendogli un inedito secondo mandato, questa volta a larghissima maggioranza. Seguirà un biennio che darà poche soddisfazioni e tanti grattacapi, con un tentativo fallito di riforma costituzionale e il tramonto delle larghe intese.
Nel frattempo, ci sarà spazio per un conflitto di attribuzione con la “libera” Procura di Palermo, impegnata in attività di captazione a supporto del noto filone trattativista.
Se da presidente della Camera Napolitano aveva assistito inerte all’onta di mani pulite, con i magistrati di Palermo la vicenda assume connotati caricaturali e il Quirinale si trova a subire persino l’assalto del partito delle procure. Finirà con l’epurazione di Ingroia e un incredibile interrogatorio del capo dello Stato da parte di una squadra di pubblici ministeri in trasferta insieme all’avvocato di Riina. Una vicenda quest’ultima, che sembra riassumere il contenuto di un noto adagio marxista, secondo il quale la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. E chissà se il giovane Napolitano sarebbe stato d’accordo.