I distretti industriali italiani stanno dimostrando una capacità di reazione alla crisi in termini di ripresa delle esportazioni e del valore aggiunto che per molti aspetti è maggiore di quelle espressa da imprese che operano fuori dalle aree distrettuali.
Il capitalismo distrettuale che valorizza i rapporti di prossimità e la conoscenza informale derivante dall’apprendimento pratico ha avuto i suoi anni d’oro nel periodo 1970-1990 quando è riuscito a rispondere alla crisi economica mettendo in campo un’offerta creativa di flessibilità e rapidità di risposta che le imprese non distrettuali non erano in grado di fornire; al tempo la logica adottata dalle grandi imprese non era in grado di rispondere in modo rapido ed economico ad eventi improvvisi negativi ed esterni tanto potenti da far saltare i piani di produzione e vendita decisi con largo anticipo.
Le piccole imprese distrettuali in particolare quelle dei distretti italiani erano invece in grado di farlo mobilitando le risorse di un’auto organizzazione emergente dal basso che metteva progressivamente al lavoro migliaia di persone intraprendenti e di micro imprese ordinate in filiere locali flessibili specializzate nei diversi settori; grazie a questa organizzazione auto generata le filiere di ciascun distretto sono state in grado di fornire alla clientela componenti, merci, beni e servizi attraverso relazioni on demand rispondendo a esigenze di volta in volta mutevoli attraverso questa mobilitazione industriale che arruolava nelle imprese distrettuali forza lavoro proveniente dall’agricoltura, dall’artigianato e dal terziario tradizionali.
Molti piccoli imprenditori entravano in campo sfruttando i vantaggi della prossimità territoriale che consentiva di stabilire relazioni interpersonali affidabili nelle filiere locali e imparare dall’esperienza propria partendo da zero.
Questi imprenditori erano in grado di competere grazie a due specificità fondamentali: la focalizzazione del proprio business in singole operazioni riconnesse nella filiera locale, lo sfruttamento del cosiddetto capitale sociale ossia della conoscenza generata da esperienze locali di successo.
Il capitalismo distrettuale si è così affermato rapidamente nella pratica delle imprese.
La forza delle imprese distrettuali si è affermata nella fornitura di componenti e servizi verso clienti esteri anche importanti, nella moltiplicazione di prodotti di nicchia qualitativamente elevati in settori chiave come la moda, l’alimentare, la meccanica e l’arredamento dimostrando come l’auto organizzazione distrettuale fosse in grado di fornire al sistema industriale internazionale una prestazione di grande valore.
Si è sviluppata inoltre la capacità di elaborare idee e soluzioni creative in risposta a esigenze richieste sempre meno programmabili e standardizzate, una capacità di servizio al cliente molto apprezzata dai grandi produttori italiani ed esteri che ne avevano urgente bisogno. Ciò ha consentito ai distretti italiani di crescere in quantità e qualità fino a industrializzare una parte importante dell’economia italiana come il Nord-Est, l’Emilia Romagna, il centro Italia, la Puglia che in precedenza erano rimasti esterni rispetto al triangolo Lombardia Piemonte e Liguria in cui si era concentrata la grande industria.
Anche ora negli anni 2020 i distretti non scompariranno lasciando il posto a grandi e grandissime organizzazioni; queste ultime sono prive di rapporti organici con il territorio nel capitalismo delle filiere.
La carta vincente è infatti rappresentata non dalla dimensione aziendale di per sé ma dalla divisione del lavoro che consente di integrare rapporti differenziati cosicché le PMI possano avere un ruolo rilevante grazie alla reciproca specializzazione e alla condivisione del contesto.
Certo è che i distretti dovranno trasformarsi radicalmente diventando sistemi aperti nella generazione del valore nelle filiere delle eccellenze italiane per la vendita sul mercato interno ed internazionale.
È essenziale che il territorio sia anche ben connesso in termini comunicativi on-line e logistici con l’insieme delle altre localizzazioni in cui operano le filiere di appartenenza; i distretti industriali godono di una innata capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali.
Questo si realizza grazie alla “elevata mobilità professionale e sociale” degli stessi, che consiste nella capacità di effettuare un continuo processo di riallocazione delle risorse, sia fisiche che umane, alla ricerca della soluzione più efficiente per la sopravvivenza del distretto stesso.
Questo processo di riallocazione può avere durata variabile e può portare a fasi di crisi dell’intero distretto che, tuttavia, nella maggior parte dei casi, come ci insegna la storia, possono essere superate.
Le crisi delle imprese manifatturiere e dei distretti industriali non sarebbero, dunque, imputabili alle caratteristiche “naturali” dei distretti, ma solo ad una temporanea difficoltà di adattamento che potrà essere superata attraverso un processo di riorganizzazione delle attività.
In sintesi, il sistema industriale italiano, nonostante nei decenni sia stato attraversato da varie crisi (poi sempre superate) è popolato, nel suo complesso, da alcune realtà imprenditoriali, soprattutto di media dimensione, altamente competitive, in grado di esprimere leadership a livello internazionale e capaci di realizzare rilevanti e frequenti salti innovativi.
Questi sono elementi che possono fare in modo che le nostre imprese siano pronte a fronteggiare la concorrenza internazionale e a realizzare il rinnovamento a cui si è fatto cenno poco fa.
Come evidenziato più volte anche dal nostro Ministro delle Imprese sen. Adolfo Urso, possiamo infine ritenere che i distretti e le relative filiere contribuiscano in modo preponderante alla diffusione e al rafforzamento del Made In Italy nel mondo.