La tanto attesa visita a Washington di Giorgia Meloni, su invito del Presidente Biden, ha infine avuto luogo lo scorso 27 luglio . Si è trattato di missione importante preparata con particolare cura dai rispettivi staff. Al di là dei contenuti dei colloqui sui singoli punti con i suoi autorevoli interlocutori d’oltre-oceano (dal Presidente Biden appunto ai “leader” di maggioranza, rispettivamente repubblicana e democratica, di Camera e Senato) la visita rappresenta il suggello delle scelte di politica estera compiute dal nostro Presidente del Consiglio e dal suo governo dall’ insediamento a oggi.
Si tratta di scelte visibilmente apprezzate dalla Casa Bianca, dal Congresso e, più in generale, dall’establishment statunitense. E non vi è dubbio che Giorgia Meloni abbia saputo toccare corde sensibili dell’animo dei suoi interlocutori come quando – in risposta alle lusinghiere parole nei suoi confronti del leader della maggioranza repubblicana alla Camera, Kevin McCarthy – ha definito il Congresso “il tempio delle democrazia”. Ha ripreso anche, in altro contesto , la definizione della compianta Oriana Fallaci dell’America come “nazione speciale perché nata dall’idea più sublime: quella di libertà sposata con l’idea di eguaglianza”.
La nostra Premier ha ottenuto un apprezzamento tutt’altro che scontato da parte di un’Amministrazione a guida democratica il cui senso è stato ben sintetizzato dall’ambasciatore Volker (diplomatico, già rappresentante del suo paese alla NATO, che gode di stima “bipartisan” ) nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera subito dopo la conclusione della visita. Mi sembra utile riportarne per esteso , a beneficio dei lettori di Charta Minuta, il passaggio saliente: “A Washington c’era un po’ di preoccupazione quando si formò il governo Meloni: c’era il timore che sarebbe stato un governo di estrema destra, che il suo partito arrivasse da una tradizione post-fascista, che potesse simpatizzare con Putin, che avrebbe distanziato l’Italia dalla politica occidentale sulla Cina, sull’Ucraina e così via.
E’ successo il contrario: Meloni ha rafforzato la NATO e il ruolo dell’Italia nella NATO, è stata costruttiva nel lavorare con altri partner del G7, l’Italia ha politiche molto forti nell’appoggio all’Ucraina, ha dato pieno appoggio alle sanzioni contro la Russia, ha gli occhi aperti sulla Cina, non corre nelle braccia di Pechino a spese degli Stati Uniti.
Tutto questo è stato ricevuto molto positivamente a Washington. C’è la sensazione dell’Amministrazione che la Presidente Meloni è qualcuno con cui si può lavorare”. A conferma del clima particolarmente positivo che ha caratterizzato l’insieme dei colloqui anche la durata ( più di un’ora) del faccia a faccia con Biden e il riconoscimento esplicito, da parte del Presidente americano, del fatto che Giorgia Meloni “ è una partner affidabile, capace di una leadership importante per noi americani”. I temi trattati Nel merito l’incontro con Biden, a quanto è dato sapere, ha offerto l’opportunità di passare in rassegna tutte le tematiche di natura geo-politica (ma vi è stato ovviamente modo per i due leader di soffermarsi anche su quelle di valenza più strettamente bilaterale, a cominciare da un interscambio in costante crescita con un ormai storico eccedente per la parte italiana ) intorno alle quali si articola oggi il forte partenariato tra Italia e Stati Uniti.
In primo luogo, i contenuti del G7, che sono sempre più la vera cabina di regia del cosiddetto “Occidente globale”, che spetterà al nostro Paese organizzare il prossimo anno quale presidenza di turno. Si tratta di appuntamento cui , come noto, la Casa Bianca guarda con forti aspettative e marcata attenzione e i cui contenuti verranno condivisi e valutati insieme da Roma e Washington passo dopo passo. Nel comune convincimento che uno spazio particolare dovrà essere riservato al sud del mondo: area cruciale per la tutela dei nostri interessi che non può essere abbandonata ai tentativi penetrazione dell’asse autocratico russo-cinese.
In secondo luogo, lo stato e le prospettive della guerra lanciata contro l’Ucraina dalla Russia di Putin: con una Casa Bianca che sa di avere nel nostro Paese e nell’esecutivo Meloni un alleato di prima fascia nel contrasto senza ambiguità all’aggressività del Cremlino e nel sostegno all’Ucraina aggredita.
E’ certamente anche questo che ha indotto Biden a sottolineare, a margine del colloquio, che “i rapporti tra Italia e Stati Uniti restano solidi al di là dei colori politici“ e il fatto – giustamente considerato da Washington elemento cruciale – che “ dopo l’aggressione russa all’Ucraina Italia e Stati Uniti hanno deciso entrambi di difendere il diritto internazionale“. In terzo luogo, l’Africa e le sue problematiche ancora una volta con un’amministrazione Biden e, più in generale, con un “establishment” statunitense che conoscono e apprezzano quanto l’Italia sta facendo (da ultimo con il decisivo contributo alle iniziative UE per evitare il collasso della Tunisia di Saied e con la conferenza internazionale su migrazione e sviluppo tenutasi nei giorni scorsi alla Farnesina) per costruire un nuova relazione con l’Africa.
Una nuova relazione su basi non egemoniche – per usare una felice espressione della stessa Meloni – che consenta, da un lato, di contenere le citate mire di Mosca e Pechino; dall’altro, di combattere l’immigrazione illegale. E non è certo un caso se Biden idea si è voluto spingere sino a un esplicito apprezzamento, con quella che è parsa ai più una implicita promessa di sostegno anche finanziario, “ per il lavoro eccellente, sorprendente che il governo italiano sta svolgendo nel Mediterraneo e verso l’Africa”. Non è dato sapere se nel colloquio della Presidente Meloni con Biden, improntato a una visibile cordialità, vi sia stato spazio anche per uno scambio di vedute sulla situazione in Niger: l’ultima democrazia dell’area sub-sahariana (il Niger è per giunta ricco di uranio) a cadere nei giorni scorsi in mano ai militari con la rimozione del filo-occidentale e democraticamente eletto Presidente Bazoum. Ma – a prescindere dal fatto che il tema sia stato o meno evocato – si tratta di sviluppo inquietante che ancor più legittima le nostre preoccupazioni per un’Africa sempre più esposta alle manovre di destabilizzazione di Mosca (destabilizzazione che l’accordo sul grano non rinnovato da Vladimir Putin non mancherà di acuire) in un’area che è vero e proprio crocevia nei flussi migratori verso il Mediterraneo. La questione cinese Da ultimo (last but not least…) la postura verso la Repubblica Popolare Cinese e il tema dell’investimento nelle catene industriali “strategiche” indispensabili per far riacquistare all’Occidente nel suo complesso un’autonomia che, nel corso degli ultimi anni si è persa in omaggio a una globalizzazione non regolata.
E che (cosa di cui l’Occidente si è purtroppo accorto con colpevole ritardo) troppo spazio ha lasciato alle spregiudicate manovre di Pechino fatte anche di massicci aiuti di stato oltre che di dumping sociale e ambientale. Tre mi sembrano, sulla base di quanto a oggi noto, gli elementi salienti emersi dal colloquio alla Casa Bianca con riferimento alla questione Cina ( che è stata peraltro dai due leader evocata , nei contatti con la stampa, solo in maniera indiretta probabilmente per non irritare oltre misura Pechino oggetto, nel corso di queste ultime settimane, di diverse seppur non troppo pubblicizzate visite ad alto livello da parte statunitense) : 1) la conferma della percezione americana – pur nel dichiarato rispetto delle decisioni che il nostro esecutivo sarà chiamato ad adottare entro la fine dell’anno , qualunque esse siano – che il governo italiano stia prendendo in seria considerazione le inquietudini di Washington per un nostro eventuale rinnovo del memorandum italo-cinese del 2019 sulla Vita della Seta. Percezione che l’influente leader della minoranza repubblicana al Senato Mitch McConnell aveva così riassunto alla vigilia: “ siamo incoraggiati dal fatto che il governo italiano stia sciogliendo il suo coinvolgimento nella cosiddetta Via della Seta” , definendo lo sviluppo in parola “un’altra indicazione del fatto che gli alleati europei stanno adottando provvedimenti per proteggersi dalla coercizione economica della Cina”; 2) la non scontata disponibilità americana, – frutto verosimilmente degli intensi scambi di vedute in materia tra la Casa Bianca e Palazzo Chigi / Farnesina nel corso di questi ultimi mesi- a inquadrare la problematica in un contesto che va al di là del semplice prendere o lasciare .
E’ quanto ha lasciato intendere la stessa Presidente Meloni allorché, rivolgendosi alla stampa italiana a al seguito, ha osservato : “Con Biden abbiamo parlato anche della Via della Seta. Ma se voi immaginate che l’approccio degli USA sia chiedere o pretendere qualcosa dall’Italia, non è così. Si fidano dell’Italia , della nostra postura e quindi il ragionamento sui rapporti con la Cina è più ampio”. Mi sembra risultato per noi tutt’altro che irrilevante del quale va dato merito al Presidente Meloni e alla nostra diplomazia; 3) la apparente disponibilità americana a far rientrare nel citato ragionamento più ampio anche il tema di eventuali compensazioni da riconoscere all’Italia in caso di mancato rinnovo del Memorandum.
E’ in tale ambito che si colloca con ogni probabilità anche la aspettativa manifestata a più riprese dal nostro Presidente del Consiglio di uno sforzo maggiore da parte di Washington per la stabilizzazione dell’Africa, per esempio – ma non solo – spingendo l’FMI a sbloccare il noto prestito di 1,9 miliardi alla Tunisia in cambio delle riforme richieste a Saied anche sul terreno del rispetto dei diritti civili Sono tutte percezioni che dovranno, naturalmente, trovare conferma nei fatti ma è un dato di fatto che i colloqui nella capitale americana di Giorgia Meloni abbiano fornito un impulso importante, forse decisivo, alla rimessa in moto tra Roma e Washington di dinamiche di reciproco ascolto e attenzione dalle potenzialità più che promettenti ( che dovranno essere affinate, ai livelli appropriati, nei mesi a venire).
Quel che resta
In termini squisitamente politici, mi sento di dire che la visita a Washington ha rappresentato: 1. Un ulteriore successo dell’azione diplomatica ad ampio raggio portata avanti, sin dal momento della sua formazione nei più diversi scacchieri, dal dal nostro governo e dal nostro Presidente del Consiglio confermando al più alto livello la ritrovata autorevolezza del nostro Paese sulla scena internazionale; 2. Una ulteriore testimonianza del ruolo centrale che Giorgia Meloni (e i diversi Ministri di riferimento ) ha saputo ritagliarsi all’interno delle principali istanze nelle quali è chiamata ad esprimersi la comunità occidentale : dalle Nazioni Unite , alla NATO ( basti pensare al rilievo che siamo riusciti a conferire allo scacchiere mediterraneo e nord-africano in occasione dell’ultimo vertice dell’Alleanza), alla UE, al G7. Non possono dunque sorprendere le aspettative con le quali i nostri partner all’interno di tale ultima istanza guardano alla nostra ormai imminente presidenza e al vertice dei Capi di Stato e Governo G7 del prossimo anno. Vertice che spetterà proprio a Giorgia Meloni presiedere e indirizzare con una marcata attenzione, che possiamo sin d’ora dare per acquisita, alle tematiche del sud globale e alle sfide e opportunità che scaturiscono da tale scacchiere per noi decisamente cruciale