Esteri, Geopolitica

Ucraina Russia: cosa cambia dopo il “quasi golpe“

Il tentato golpe posto in essere lo scorso 23 Giugno da Yevgeny Prighozin e dai suoi miliziani ( da lui peraltro sempre definito nulla più che un “marcia della giustizia”, lanciata con il dichiarato obiettivo di scongiurare l’integrazione forzata della Wagner nelle forze regolari russe, con il conseguente paventato passaggio della stessa sotto il comando di quei vertici militari) ha confermato, una volta di più, la fondatezza dell’ aforisma di Churchill secondo il quale “ la Russia è un rebus avvolto in un mistero racchiuso in un enigma”.

Tali e tante sono infatti le chiavi di lettura che gli analisti, anche i più raffinati, hanno dato e continuano a dare dell’accaduto che nutrire certezze circa le cause, le dinamiche e le ricadute della vicenda sui rapporti di forza all’interno della Federazione Russa è dar prova quanto meno di presunzione .

Non a caso le letture della vicenda divergono: vari commentatori propendono per la tesi di un Putin indebolito altri lo vedono, piuttosto, uscire consolidato dall’esito del confronto mentre a me sembra trattarsi di un sostanziale “pareggio” se non appunto di un rafforzamento di Putin che ha retto la sfida e la cui popolarità resta alta a livello di russo medio .

Ciò non toglie che poco dopo l’avvio della marcia su Mosca dei “miliziani” lo zar Putin, nel suo appello alla popolazione, appariva turbato. Perché ovviamente una cosa è additare all’esecrazione collettiva il nemico “esterno” (ad esempio la vicina ”Ucraina in mano a una cricca di filo- nazisti”) ; ben altra, additare un nemico interno pur trattandosi, nel caso di specie, di soldati di ventura non privi peraltro di “appeal “ almeno per una parte del popolo russo come dimostrato dal tributo loro riservato dalla città di Rostov.

Come è stato osservato “le dodici ore che hanno condotto i ribelli, senza incontrare una vera resistenza , a duecento km dalla capitale restano ( e sono probabilmente destinate a restare) un esercizio da cruciverba“.

Dove abbia trovato riparo il “traditore” Prighozin , subito dopo lo stop alla sua “marcia della giustizia”, è ancora un arcano anche se il luogo più gettonato resta la Bielorussia del più fedele alleato di Putin. l’autocrate Lukashenko.

Ma permangono anche altri quesiti. Quali: i termini esatti dell’intesa intercorsa tra Lukashenko e Prighozin che ha portato al termine della sedizione; il ruolo svolto nella vicenda dai servizi segreti russi-FSB, dall’esercito regolare, dagli oligarchi, dallo stesso Lukashenko che aveva accolto la richiesta di aiuto di Putin affermando che “la rivolta della Wagner è un regalo all’Occidente, una provocazione davanti alla quale non possiamo restare indifferenti , saremo la voce della ragione in questi tempi così difficili”; il futuro dei nemici dichiarati di Prighozin: il Ministro della Difesa Shoigu e il Capo di Stato Maggior Gerasimov; la permanenza o meno della Wagner come principale “milizia privata” al servizio degli interessi russi sulla scena internazionale.

Difficile, su tale sfondo , non convenire con Ezio Mauro quando afferma che “dopo l’invasione dell’Ucraina e la sfida all’Occidente per Putin, dopo gli eventi del 23 giugno , si è aperto un terzo fronte: quello interno”. E tuttavia egli continua a mostrarsi sicuro di sé ( come testimoniato anche dal mantenimento nell’incarico di Shoigu la cui rimozione era stata una delle principali richieste di Prighozin per porre fine all’insurrezione) e convinto di poter a breve archiviare l’ammutinamento della Wagner come poco più di un incidente di percorso .

Contribuisce certamente a tale convincimento il rinnovato sostegno ricevuto nei giorni scorsi dai Capi di Stato dell’asse anti-occidentale , o comunque non allineati, riuniti un per il vertice virtuale della “Shangai Cooperation Iniziative” (SCO) ospitato dall’India. A cominciare dal cinese Xi Jinping che si è avvalso dell’occasione per ribadire il proprio sostegno a Putin e l’ opposizione di Pechino alle sanzioni “unilaterali” nei confronti di Mosca “ imposte dall’Occidente”.

Più in generale vi è poi da chiedersi se l’accaduto non sia che un un nuovo episodio di quelle ricorrenti convulsioni interne note in Russia come il “periodo dei torbidi “ ( “smutna vremja”), con riferimento – ma lo stesso può dirsi per la fase precedente e immediatamente successiva alla Rivoluzione d’Ottobre – all‘ interregno , dominato da un’anarchia assoluta , successivo alla fine della dinastia dei Rurikidi ( 1598) e precedente l’avvio di quella dei Romanov (1613).

O non rappresenti , piuttosto, il segnale di anticipatore di dinamiche a venire suscettibili di produrre un impatto durevole e di ampio respiro sulla stessa tenuta della Federazione come entità statuale.

Le sue possibili ricadute sulla guerra in Ucraina e sul futuro della Federazione Russa:

Nel breve /medio periodo due mi sembrano – da questa angolazione più ampia di natura – i versanti da considerare in via prioritaria: quello dell’impatto della insubordinazione della Wagner sulle operazioni belliche in Ucraina e quello , cui ho sopra accennato, della tenuta stessa della Federazione Russa. Quesito , quest’ultimo, non dissimile per portata e valenza da quello che ci si era posti in Occidente – alla vigilia della dissoluzione dell’URSS , nel 1991- sul futuro dello spazio ex-sovietico .

Circa il primo versante , merita rilevare che la sollevazione della Brigata non ha, almeno a tutt’oggi, bloccato l’andamento delle operazioni militari in Ucraina. Anzi, dopo un primo momento di confusione, le forze armate di Kyiv risultano aver intensificato le loro operazioni tattiche nell’area di Bakhmut nel tentativo di trarre vantaggio dalla seppur breve crisi interna dell’avversario e per dare maggiore slancio alla controffensiva che sembra ormai essere iniziata anche se i progressi sono più lenti delle attese e l’esito resta incerto anche per la condizione di inferiorità aerea – non ancora colmata dalle promesse forniture occidentale – delle forze di Kyiv rispetto a quelle russe.

Stando a quanto riportato dall’intelligence britannica le unità ucraine starebbero comunque guadagnando terreno sia a nord che a sud della città, in ciò apparentemente aiutate dal fatto che mancherebbero ai comandi russi sufficienti riserve operative per rinforzare proprie linee difensive lungo una parte del fronte di circa 200 km. L’avanzata della Wagner verso Mosca di sabato scorso è quasi certamente responsabile di questo parziale cedimento russo: i combattenti della Wagner erano infatti di stanza proprio in quelle zone , pronti in caso di emergenza ad abbandonare le retrovie e a riprendere i combattimenti ove necessario.

Non solo l’abbandono delle posizioni ha lasciato per qualche tempo un pericoloso vuoto ma, per reagire ai problemi che si stavano verificando all’interno dei confini della Federazione, il Ministero della Difesa russo ha dovuto dirottare uomini e mezzi anche da questi settori del fronte ucraino. La situazione è naturalmente in costante, direi quotidiana, evoluzione e un ritorno della Wagner sulle posizioni occupate precedentemente non è da escludere ma neanche da dare per scontato e le ricadute della dinamica in atto difficilmente prevedibili.

Osserva Lorenzo Piccioli sul periodico Formiche che le milizie di Prighozin potrebbero effettivamente essere in via di ritorno nelle posizioni precedentemente occupate in Ucraina ma potrebbero anche star facendo qualcosa di diverso.

Riposizionarsi cioè non già in Ucraina bensì in Bielorussia: con l’obiettivo non confessabile non già di trovare rifugio quanto, piuttosto, di lanciare da li un attacco terrestre in direzione di Kyiv: particolarmente vulnerabile a partire da Minsk. Scenario, quest’ultimo, non scontato ma tutt’altro che impossibile .

E che permetterebbe – secondo l’ex- Capo di Stato Maggiore dell’esercito britannico Richard Dannat, che ha lanciato l’allarme – di interpretare i fatti degli ultimi giorni , compresa la “marcia verso Mosca” di Prighozin e dei suoi , in chiave radicalmente diversa dall’interpretazione prevalente e secondo una logica tipica della storia russa: quella della “maskirovska” intesa come depistaggio /camuffamento dei propri obiettivi .

Circa il secondo versante – quello della tenuta o meno della Federazione Russa – non vi è dubbio che l’insubordinazione di Prighozin abbia dato corpo , seppur solo per qualche ora, a una prospettiva inquietante: quella di una Russia con poco meno di 6000 testate nucleari precipitata nel caos e nell’anarchia. Scenario da incubo che nessuno auspica salvo forse i polacchi e gli ucraini, per motivi in quest’ultimo caso dopo tutto comprensibili alla luce di quello che stanno subendo per mano del Cremlino.

Gli Stati Uniti notoriamente non vogliono che questo scenario possa anche solo adombrarsi ( non è un caso che, terminata la guerra fredda, la prima preoccupazione di Bush padre, allora Presidente degli Stati Uniti, era che l’Unione Sovietica , e quindi anche la stessa Russia, non si disgregasse per divenire un “puzzle” di 50 repubbliche dotate di armi atomiche e in lotta tra loro) .

Quello che l’avanzata verso Mosca della Wagner , seppur poi rientrata, ha riproposto è dunque uno scenario che a oggi non appare realistico. Ma che in Occidente, partendo dagli Stati Uniti e passando per la quasi totalità dei paesi europei, si teme fortemente anche per una ragione di ordine geo-politico e di equilibri di potere su scala globale.

Se questo un giorno dovesse avvenire si creerebbe infatti, nel cuore dello spazio euro-asiatico, un vero e proprio “buco nero” che qualcuno dovrebbe gestire e, per quanto possibile, contenere.

Per Washington – chiunque sieda alla Casa Bianca – sarebbe un problema gigantesco. Prevalentemente assorbiti come già sono ora dalla sfida cinese e dall’Indo-Pacifico , gli Stati Uniti a quel punto si impantanerebbero in Europa sul serio e per un tempo indefinito. E con risvolti imprevedibili avendo a che fare col più grande arsenale atomico del mondo: con un territorio immenso e frammentato, quello dell’attuale Federazione Russa, gestito da signori della guerra, per giunta corrotti, alla testa di Repubbliche sparse e in lotta tra loro.

In sostanza quanto avvenuto lo scorso 23 giugno ha contribuito a far emergere lo spettro di una Russia fuori controllo tanto da indurre molti a Washington e non solo a dare priorità, rispetto a qualsiasi altro obiettivo, all’esigenza di evitare che la Russia piombi nel caos . In base alla considerazione di più di una capitale secondo la quale “ è, dopo tutto, preferibile un Putin a 10 o più sconosciuti in possesso di armi nucleari”.

Senza che ciò debba comportare , ovviamente , cedimenti da parte nostra o sconti al Cremlino sul versante della difesa della sovranità e indipendenza ucraina.

Le sfide per il Il fianco sud dell’Alleanza Atlantica, il ruolo della Wagner in Africa e l’azione dell’Italia

E’ chiaro peraltro che la tentata sedizione della Wagner – alla luce del ruolo di difensore degli interessi geo-politici russi svolto da anni dalla stessa nei più diversi scacchieri a cominciare dall’Africa – pone interrogativi che vanno al di là dei confini della Federazione e dello stesso conflitto in Ucraina .

Infatti, da un lato sul fianco nord-est dell’Alleanza gli indicatori inducono a ritenere che la guerra di attrito in Ucraina sia destinata a durare ancora a lungo e la preoccupazione della NATO cresce cosi come lo schieramento di armi nucleari tattiche russe in Bielorussia. Non è un caso che la stessa Germania contribuirà a sostenere il fianco orientale dell’alleanza dispiegando in permanenza 4 mila soldati aggiuntivi nell’ambito dell’”Enhanced Forward Presence” /EFP in Lituania: una missione istituita dalla NATO già nel 2017, tre anni dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca ,proprio per proteggere il suo confine orientale dalle minacce russe.

Dall’altro, una partita non meno importante – in particolare per i Paesi alleati del fianco sud come l’Italia – si gioca nel continente africano, in particolare nella fascia sub-sahariana.

E’ là infatti che le attività della Wagner – sfruttando le crisi che affliggono l’area e dispiegando lo sforzo espansionistico della Russia di Putin – hanno contribuito ad alimentare, anche attraverso il sostegno a colpi di stato , le instabilità locali. Nonostante la poi rientrata “marcia su Mosca “dei miliziani appunto della Wagner, nulla allo stato induce a ritenere che quest’ultima smetterà di svolgere il ruolo per la quale è nata: quello cioè di principale “ organismo privato di sicurezza “responsabile dei conflitti ibridi della Russia a suo tempo teorizzati, guarda caso, proprio dal generale Gerasimov.

Ed è proprio sul fianco sud che l’Europa e i paesi -alleati del fianco sud ( a cominciare dal nostro, che lo sta peraltro egregiamente facendo ) dovranno a mio avviso porre in essere ogni sforzo per liberare quei territori dal gioco dei miliziani della Wagner.

Intervenire alla radice dei problemi è opera certo non facile ma ormai non più rinviabile.

Le crisi in atto nell’area mediterranea e centro/nord africana sono infatti troppo importanti per la sicurezza dei nostri Paesi, senza parlare degli aspetti umanitari legati alle inaccettabili violenze sui civili nell’area sovente spinti anche da questo fattore a cercare rifugio e una nuova vita in Europa.

Bene fa dunque il nostro Governo ad agire al riguardo (più di qualsiasi altro esecutivo in Europa) in maniera pro-attiva e bene ha fatto la Presidente Meloni a coinvolgere la Von der Leyen nella gestione della drammatica crisi tunisina nelle sue diverse angolazioni: da quella economica a quella energetica a quella migratoria.

Solo un approccio europeo e occidentale innovativo , non predatorio e corale (come quello che sta appunto promuovendo il nostro Governo, e che ha ricevuto l’avallo dell’ultimo Consiglio Europeo) può infatti davvero aiutare i Paesi africani più esposti a liberarsi dalla pressione russa (e cinese…) e dalle milizie della Wagner.

Per creare infine quelle condizioni di sicurezza che sono precondizione per quello sviluppo economico – sociale di cui quel Continente ha bisogno e dal quale dipende anche il nostro futuro.

Il vertice NATO di Vilnius

Un’ultima notazione: la NATO ha tenuto a Vilnius l’11 luglio il suo vertice. Un appuntamento particolarmente importante per l’Alleanza ancor più dopo i recenti eventi nella Federazione Russa .

Si è discusso tra i 31 Stati membri – oltre che della sfida cinese e di come assicurare all’Alleanza un capacità di deterrenza a 360 gradi – di Russia , di andamento della guerra in Ucraina, di garanzie di sicurezza di lungo periodo da fornire a Kyiv nonché di un suo possibile futuro ingresso nell’Alleanza in tempi e modi da definire, e comunque non prima della fine del conflitto. Gli Stati Uniti paiono da qualche tempo ben più prudenti riguardo a una Ucraina nella NATO più prudenti di taluni alleati europei – quali la Polonia, gli Stati Baltici e il Regno Unito – probabilmente nel timore che un Putin che si sentisse con le spalle al muro possa davvero ricorrere a un certo punto all’utilizzo di armi nucleari tattiche (e non rassicurano al riguardo le recenti minacciose esternazioni dell’ex- Presidente Medvedev ampiamente riprese dai “media “ occidentali ). L’Ucraina ha palesato il suo risentimento per il vistoso rallentamento del suo ingresso nell’Alleanza. Ma la ragion politica spesso si sposa l’esercizio di prudenza e trova in questa motivazioni che la legittimano quale scelta saggia e quasi obbligata.

Il nostro Paese sta svolgendo un ruolo di primo piano anche quale facilitatore di compromessi sui temi maggiormente sensibili come quelli accennati. Lo riesce a fare per tutta una serie di motivi: dal prestigio indiscusso di cui godiamo in ambito atlantico, alla credibilità acquisita dal nostro Governo, a cominciare dalla Presidente Meloni , in termini di applicazioni delle sanzioni alla Russia e di convinto sostegno alla causa ucraina, al ruolo centrale che stiamo svolgendo per stabilizzazione dello scacchiere mediterraneo e dell’area nord-africana (tanto che il tipo di dialogo con la Tunisia avviato da Giorgia Meloni in raccordo con la Commissione è stato definito un modello dalle conclusioni dell’ultimo Consiglio Europeo).

Né è da trascurare l’eccellente rapporto stabilito dal nostro Primo Ministro col Presidente Biden, che c’è da augurarsi possa fessere confermato e confortato dalla visita a Washington fissato a fine luglio.

Come confermato proprio in questi giorni dal richiamo Primo Ministro britannico, in un suo messaggio a Giorgia Meloni, “al ruolo centrale dell’Italia nel sostenere la difesa dell’Ucraina e nel difendere i principii della Carta delle Nazioni Unite”. Non è riconoscimento scontato da parte di una potenza che si vuole globale come il Regno Unito né , mi sembra, una notazione da poco.

Autore

  • Gabriele Checchia

    È Presidente del Comitato Strategico del Comitato Atlantico Italiano e Direttore per le relazioni Internazionali della Fondazione Farefuturo. Già Ambasciatore italiano n Libano, presso la Nato e presso l’OCSE/ESA/AIE a Parigi.

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È Presidente del Comitato Strategico del Comitato Atlantico Italiano e Direttore per le relazioni Internazionali della Fondazione Farefuturo. Già Ambasciatore italiano n Libano, presso la Nato e presso l’OCSE/ESA/AIE a Parigi.

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