Il codice penale, attualmente in vigore, è stato redatto in età fascista (1931) ad opera del ministro della Giustizia e degli Affari di Culto il sassarese Alfredo Rocco. Il codice penale nella prima parte statuisce sul reato in generale, con una prolusione fortemente formalistica e improntata al principio del doppio binario (uno fortemente legalistico con precisione normativa e chiarezza sistematica e un altro fortemente repressivo sotto il principio delle misure di sicurezza).
Questo principio del doppio binario ha passato indenne nei suoi aspetti finalistici l’entrata in vigore della Carta Costituzionale e sia la messa in funzione con precise norme di rango costituzionale della Corte Costituzionale, organo che giudica, tra gli altri conflitti, la costituzionalità delle leggi.
La Costituzione in ambito penale ha previsto particolari disposizioni, esplicitamente l’art. 25 secondo comma della Costituzione: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” e il terzo comma dello stesso: “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge” ; e l’art. 27 primo comma Costituzione: “ La responsabilità penale è personale”.
Da questi due articoli derivano altri corollari, non disciplinati specificatamente dalla Costituzione, quali quelli di determinatezza, tassatività, specificatezza. Nel corso dell’Italia repubblicana si è proceduto alla novellazione di parti del codice penale, ma mai alla revisione organica del testo penale con l’approvazione e la promulgazione di un nuovo codice penale.
Emergenze come quella subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione, proteste di braccianti per le terre da redistribuire, non fiducia nella politica delle ali estreme sempre pronte a moti di piazza violenti che potevano sfociare nella rivoluzione, nella sovversione delle istituzioni repubblicane e nel cambio violento di governo retto sempre, seppur con variazioni, dalla Democrazia Cristiana.
Terrorismo, Mafia e altre organizzazioni hanno impedito l’approvazione di un codice penale che rispettasse il diritto penale minimo, il principio dell’extrema ratio e anche un nuovo principio quello dell’obbligo della motivazione della legge penale.
In Italia il rapporto tra autorità e cittadino è di reciproca sfiducia e questo non fa altro che rendere più accidentato e irto di ostacoli la riforma organica del codice penale, di riflesso anche il nuovo codice Vassalli del del 1989 (riforma del codice di procedura penale) ha risentito della cultura profondamente inquieta del popolo italiano e di alcuni operatori del diritto penale, tant’è che non si può parlare di un codice garantista in senso stretto, perché permeato da reminiscenze inquisitorie e dalla previsione di riti speciali che rendono il codice disatteso nelle sue finalità.
La riforma organica del codice penale con la riformulazione di fattispecie incriminatrici diminuendo le stesse a pochi articoli di modo che il codice sia di più semplice consultazione per tutti i consociati e del diritto penitenziario, la detenzione in carcere non è l’unico modo espiare le proprie condotte antisociali e di tutela e dovrebbe essere limitato a reati gravissimi e di particolare allarme sociale.
Le esigenze di politica criminale che ha il legislatore devono avere come limite preciso il codice penale nei suoi aspetti fondamentali come Magna Charta del delinquente.