Il Mezzogiorno deve dotarsi di un motore di crescita più potente e affidabile; non basta più proporre il “vecchio” sviluppo infrastrutturale anche se necessario.
E’ fondamentale disegnare una strategia più ambiziosa di crescita.
E’ evidente negli ultimi anni che il Sud Italia è diventato davvero strategico per una sua nuova e rinnovata centralità nel Mediterraneo che apre a occasioni connesse a un sistema portuale più moderno e meglio capace di attivare poli di imprenditorialità e innovazione.
La crisi del gas, inoltre, ha fatto emergere anche la possibilità di diventare hub europeo dello stesso e per forza i gasdotti provenienti dal medio oriente e dal Nord Africa devono transitare dal sud Italia.
Le priorità delineate anche dai fondi europei tendono a valorizzare il ruolo e le specificità dell’economia meridionale ma non ci si deve fermare alla logica della resilienza ma provare a porsi obiettivi più ambiziosi.
Il Sud è comunque cambiato anche se molti ne conservano un’idea antiquata.
E’ da cancellare l’immagine del Mezzogiorno come un deserto industriale da tenere a galla verso una economia di mera sopravvivenza (sussistenza) e a basso valore aggiunto.
Dai dati OCSE se il Sud fosse uno stato autonomo della UE sarebbe all’ottavo posto su 27 per presenza di industrie manifatturiere non dimenticando il ruolo che l’industria meridionale svolge all’interno di catene del valore rilevanti su scale europea e nazionale.
E’ ancora presente un differenziale importante di investimenti al Sud che nel resto d’Italia che contribuisce ad accentuare quello che registra l’Italia con altri paesi simili a noi per tessuto industriale (Germania).
Vi sono tuttavia segnali di vitalità; l’alta tecnologia è già un settore molto diffuso che presenta importanti performance di crescita del fatturato e di redditività.
Vi è infatti la presenza di una industria con specializzazioni produttive (Campania, Puglia, Abruzzo, Sicilia) che hanno un peso solo marginalmente inferiore a quelle della media del paese.
Sei poli tecnologici di rilevanza nazionale sono collocati al sud e contribuiscono al buon approvvigionamento delle filiere nazionali.
Da parte delle imprese del sud vi è una spiccata quanto necessaria attitudine a collaborare con altri soggetti, una ulteriore testimonianza di vitalità.
Per quanto riguarda il gap di competenze inoltre con il nord si è notevolmente ridotto anche per quanto riguarda le discipline scientifiche e tecnologiche.
Come confermato in molti casi di successo imprenditoriale è presente un capitale umano di ottima qualità nelle decisioni di investimento.
Un problema purtroppo molto importante è quello di riuscire a trattenere queste risorse.
Ben 132mila laureati infatti sono partiti dal Mezzogiorno nel periodo 2012-2018 verso l’estero o verso altre regioni italiane. La questione della fuga dei talenti ha la sola possibile risposta nell’avvio di un ciclo di sviluppo solidamente fondato sull’innovazione tecnologica.
Al sud le imprese high tech nascono numerose ma non sopravvivono, esse hanno una mortalità del 50% nei primi 3 anni di vita.
L’obiettivo deve essere allora quello di rafforzare la qualità dei progetti imprenditoriali e arricchire il bacino di riferimento degli investitori favorendo il dialogo fra grandi e medie imprese e start up tecnologiche.
Questa alleanza è una delle caratteristiche nuove e decisive del capitalismo contemporaneo.
Essendo l’Italia uno dei principali paesi manifatturieri del mondo potrà dare un enorme contributo ad una economia sostenibile rafforzando al tempo stesso la propria competitività.
Come avvenuto in passato, occorrerà rivoluzionare attività e prodotti soprattutto mantenendo la tipicità del nostro grande brand: il Made In Italy, quindi moda, mobili, packaging, componentistica auto, filiere agro industriali ecc. tutti settori abbondantemente presenti anche nell’industria del sud.
A tal riguardo un grande e proficuo lavoro viene portato avanti dal Ministro delle Imprese e del Made In Italy, Adolfo Urso.