La fine del ‘900, del secolo della piena occupazione; l’avvento vorticoso della tecnologia e dei social che hanno dato una nuova dimensione all’ io, all’essere; la pandemia che ha accelerato ogni processo; hanno messo l’uomo, la società e le sue rappresentanze davanti ad un nuovo concetto di lavoro.
Perciò un governo che avesse l’obiettivo di difendere il lavoro, di garantirlo, di dargli una nuova dignità ed una “dimensione etica” non può non tenere conto che le garanzie e le misure dovranno indirizzarsi sia verso il vecchio sia verso l’attuale concetto di lavoro e verso ciò che è in mutazione ed in parte si è già affermato: un nuovo mercato del lavoro.
Il vecchio mercato del lavoro porta con sé le sue problematiche strutturali: la distruzione di posti lavoro con grande velocità e quindi la precarietà del “posto”, la polarizzazione tra altre e basse qualifiche, l’inestricabile mismatch tra domanda e offerta di lavoro.
Le misure di contrasto sono sorrette dal Jobs Act del 2015 ed abbondantemente finanziate dalla misura 5 del PNRR.
Il nuovo mercato del lavoro porta con sé approcci sociologici e comportamentali che mettono in discussione il termine stesso di “posto” di lavoro, in ossequio ad un atteggiamento più dinamico della società, più un “ruolo” che un “posto” statico, più il soddisfacimento di aspettative economiche e di vita che un contratto a tempo indeterminato che addirittura puo’ intimorire i più giovani nel suo essere “per sempre”.
I nuovi concetti devono fare conto con la nuova fluidità sociale, con le nuove esigenze di conciliazione tra vita e lavoro e con un’atomizzazione dell’individuo sempre più marcata, forse più nel male che nel bene, ma è un dato di fatto ineludibile.
Un governo che ha in rampa di lancio i nuovi decreti sul lavoro, simbolicamente approvati il 1 maggio, deve avere la capacità di osare, andando oltre la contingenza delle pur necessarie determinazioni economiche.
Un governo che guarda ad una dimensione etica e sociale del lavoro, volto a dare una nuova dignità al lavoro, deve fare entrare nella propria agenda l’affronto delle problematiche ataviche del mondo del lavoro nel contesto del mutamento dello stesso, sebbene non abbia ancora preso una traiettoria definita.
Lo stesso “Statuto dei Lavoratori” dovrà aprirsi ad uno “Statuto dei nuovi Lavori” gemmati dalle tecnologie, se non vuole essere una conquista allo stato di enunciato.
Ci sono dunque le questioni storiche del cuneo fiscale, della sicurezza sul lavoro, del gap scuola/lavoro, delle differenze geografiche e di genere. Ma non possiamo agire col martello pneumatico sull’acqua finendo per non incorrere sulla fluidità delle attuali dinamiche.
Vanno coniugate le misure contingenti dei nuovi decreti con nuove visioni.
Le nuove misure previste dai nuovi decreti sul contenimento del cuneo fiscale, sul reddito di cittadinanza, sulle nuove causali del tempo determinato, sulla conciliazione, sulla situazione familiare, sui NEET devono confrontarsi con il fattore di “C” di competenze e col fattore “T” di territorio.
Una nuova visione deve valorizzare di più le “Competenze” che servono al mondo produttivo e che possono soddisfarlo indipendente dall’età e perfino dalla capacità di lavoro residuale, recuperando per questa strada anche la disabilità, se essa non limita le attesa del datore di lavoro, valorizzando in tale maniera il servizio del collocamento mirato offerto dai Centri per l’Impiego.
Va valorizzato ciò che sai fare più di ciò che hai fatto, più delle tue esperienze e da qui va ridotto il mismatch.
Ciò che sai fare va immesso ovviamente nel tuo contesto lavorativo di riferimento, incrociando il fattore “Competenze” col fattore “Territorio”.
Se la società scappa perché corre più in fretta delle riforme del mercato del lavoro mondiale, non la può fermare nemmeno con uno Stato etico e sovrano: la società va stimolata, incentivata, orientata, con strumenti più taylor made sul lavoratore che sul datore, sintonizzando di volta in volta l’una e l’altra parte affinché si incontrino.
La sommatoria di questo approccio e di queste visioni dovrebbe porre fine alle visioni stereotipate del mercato del lavoro del tipo che un contratto a tempo indeterminato ed un posto fisso sono sempre la risposta migliore, ponendo fine alla visione stereotipata che i giovani non vogliono lavorare, agli stereotipi sul gender gap, sui “divanisti” del RdC che non spiegano da soli il fenomeno.
Intervenire sul mercato del lavoro deve mettere d’accordo terapia intensiva e riabilitazione, abolendo gli stereotipi, adeguando le categorie del mercato del lavoro per specificare che dentro a chi non lavora non c’è solo la disoccupazione, ma c’è tutto un mondo di scoraggiati e di attese, di disorientamento e di nuove competenze in cerca di nuove applicazioni.
Una nuova complessità che può tuttavia ancorarsi ancora all’art. 4 Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.