Politica

Opposizioni in crisi impaurite dal futuro

Questa può essere davvero la volta buona per la Grande Riforma che serve all’Italia. Tanto “necessaria e urgente” che verrebbe voglia d’invocare un decreto legge e un veloce dibattito parlamentare perchè si approvi in fretta…. Ma, ovviamente, non si può. E allora è giusto fissare l’orizzonte della presente legislatura perché tutto si compia.

L’impresa è impegnativa, soprattutto se – come sarebbe giusto – governo e maggioranza volessero (e riuscissero) a far marciare assieme, con percorsi paralleli, nuovo assetto istituzionale, autonomia differenziata e riforme importanti come quelle della giustizia e del fisco. La posta in gioco è altissima e non riguarda il destino della coalizione di centrodestra; e nemmeno la conferma o meno della leadership di Giorgia Meloni. Sono in gioco il futuro dell’Italia, la stabilità dei suoi futuri governi legittimati dall’elezione diretta del premier. Un nuovo patto fondativo per una Nuova Repubblica: ecco quel che serve all’Italia. E per tutti noi: un fisco più equo, una giustizia più giusta, Ogni potere, nei suoi diversi gradi, ispirato al principio di sussidiarietà: governatori regionali vicini ai rispettivi governati e un esecutivo centrale stabile, capace di affrontare i problemi della Nazione e di rappresentarla al meglio nel contesto internazionale.

C’è un rischio concreto, nell’immediato. E cioè che, forse con l’eccezione dei parlamentari centristi (vicini a Renzi o a Calenda) le opposizioni di sinistra, pur divise tra loro, si confermino fortemente, irriducibilmente contrarie ad ogni innovazione. Lo faranno con ostruzionismi e azioni dilatorie. Attueranno campagne di stampa gridando al pericolo incombente di totalitarismo o di democratura modello-Putin. Forse è il caso di chiedersi le ragioni profonde di tale atteggiamento, così refrattario a qualunque innovazione. A spiegare ogni cosa non basta la retorica, recitata con sincera o fasulla convinzione, sull’intoccabilità della Costituzione più bella del mondo.

Per provare a capire bisogna fare ricorso ad altre motivazioni, più profonde e meno visibili. È molto probabile che le forze politiche che si oppongono al governo Meloni abbiano anche un problema psicologico. Dal voto del settembre 2022 con il suo chiaro responso, soffrono di crisi d’identità, non credono in se stesse, nelle loro capacità di contrasto, disperano di poter vincere alle prossime occasioni elettorali. Lo si capisce dalla diffidenza con cui seguono i primi passi della riforma istituzionale che il governo ha in animo di realizzare. Da una parte c’è Giorgia Meloni che spiega e ripete: l’elezione diretta del presidente del Consiglio serve a dare stabilità, autorevolezza e credibilità all’esecutivo. E ricorda che, dopo 70 anni di precarietà, una vera Grande Riforma gioverà davvero all’Italia, sicché i prossimi governi dovranno ringraziare chi oggi assume questa iniziativa e getta le premesse di una democrazia forte, matura ed efficiente. Il messaggio è chiaro: quanti oggi sono minoranza potranno esprimere, col voto degli italiani, il futuro governo della Nazione. Invece,  i diretti interessati – PdElly e Movimento Cinque Stelle contizzato – rispondono picche. Accusano Giorgia Meloni di volere una riforma tagliata su misura per se stessa. Sospettano che stia cercando un plebiscito popolare che la consacri leader per almeno dieci anni. E qualcuno – con voce tremante e cuore in gola – fatti un po’ di conti (con la storia e con l’anagrafe) teme che l’attuale premier possa governare per il prossimo… ventennio.

Insomma, siamo di fronte a forma di grave auto-disistima. È un sintomo allarmante soprattutto in politica, ché se non credi in te stesso, non puoi nutrire nessuna speranza che gli altri possano darti credito. Prendi i Cinque Stelle. Dopo dieci anni di consensi alti e poi altissimi (alle stelle, per l’appunto) devono fare i conti con una realtà complicata, che sarà ancor più ostica una volta archiviato il reddito di cittadinanza quando (c’è da sperarlo davvero) ci saranno nuove garanzie per i meno abbienti e, soprattutto, occupazioni dignitose per chi il rdc aveva impigrito ed escluso, avvilito e relegato ai margini. Quanto al Pd, la nuova gestione pare spaesata (meglio: spatriata) avvoltolata in un lessico astruso, impaludata in un radicalismo scioccamente elitario (elllytario…) che esclude cattolici e riformisti, ma resta  confusionario e inconcludente. Il solo pensiero di dover affrontare in mare aperto una sfida alta sulle regole del gioco (quando ancora non è dato sapere quale sia il suo gioco) genera ansia e angoscia.

In assenza di opposizioni incalzanti e attrezzate, quasi si arriva a giustificare una certa dose di competizione dialettica, anche asprigna, dentro la maggioranza di centrodestra. In effetti, tra un anno esatto, la conta delle rispettive truppe sarà impietosa e inequivocabile, nelle elezioni europee con il loro rigoroso conteggio proporzionale.

Per curare le opposizioni forse ci vorrebbe uno psicologo, un mental-coach. Anche se perfino il più navigato dei motivatori (un tipo alla Julio Velasco, quello che, per vincere,  pretendeva dai suoi giocatori gli occhi di tigre) trovandosi di fronte Giuseppe Conte ed Elly Schlein… Beh, probabilmente rinuncerebbe all’incarico. Direbbe: no grazie, per i miracoli non sono attrezzato.

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Mauro Mazza è direttore editoriale di FareFuturo. Ha diretto Tg2 e RaiUno. Ha scritto numerosi libri. Il romanzo più recente è “Diario dell'ultima notte. Ciano Mussolini lo scontro finale” (La Lepre) e l'ultimo saggio “Lo Stivale e il Cupolone. Italia-Vaticano, una coppia in crisi” (Il Timone) Nel giugno '23 è stato nominato Commissario straordinario per l'Italia, che sarà ospite d'onore alla Buchmesse di Francoforte 2024

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