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AGENDA MEDITERRANEO LA FRONTIERA LIQUIDA

“Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. (Fernand Braudel, La Méditerranée. L’espace et l’histoire, Tome I, 1977).
A distanza di quasi cinquant’anni, le parole di Fernand Braudel risuonano quanto mai attuali, in un contesto geopolitico segnato da una rinnovata consapevolezza della centralità del Mediterraneo per la politica europea ed occidentale. Come ‘frontiera liquida’ tra mondi diversi ma indivisibili, e come snodo fondamentale tra i molti mari (dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano) lungo i quali si articolano oggi le sfide cruciali per la tenuta delle società di tutta la regione designata come EMEA (Europe, Middle East, Africa): migrazioni, energia, sicurezza alimentare e cybersicurezza.
In questo quadro, particolarmente feconda appare la prospettiva di un ‘autentico partenariato’ tra i paesi EMEA, delineata dal Presidente Urso nel recentissimo convegno organizzato a Roma da FareFuturo, IRI (International Republican Institute) e Comitato Atlantico Italiano. Un convegno che, come osservato dall’Ambasciatore Checchia in questa stessa rivista pochi giorni fa, corona il lungo impegno di Farefuturo su questi temi e consolida la proiezione europea ed atlantica della Fondazione.
Come sottolineato da Urso, la ricerca un partenariato autentico richiede la capacità di elaborare una nuova visione del Mediterraneo allargato, che apporti motivazioni culturali e valoriali profonde alla collaborazione tra i tanti paesi di un’area così vasta e varia.
In tale direzione, si aprono inediti orizzonti alle forze del riformismo conservatore. Una visione alta e condivisa del Mediterraneo allargato, infatti, non potrà essere fondata sull’ennesima proposta di una omologazione ai modelli dell’Occidente, ma su una sapiente ricerca di zone di dialogo tra ‘storie’ diverse ma profondamente interconnesse, che consenta a ciascuna comunità di delineare percorsi di sviluppo aperti al mondo ma compatibili con le proprie radici culturali e spirituali.
Per la sua storia e la sua geografia, l’Italia è chiamata a svolgere un ruolo cruciale in questo processo, in nuove sintesi dinamiche tra vocazione euroatlantica e vocazione mediterranea. Lungi dal ricadere in tentazioni di equilibrismi tattici, l’Italia può e deve impegnarsi a promuovere, in piena fedeltà e linearità con la sua collocazione internazionale, una ‘costruzione’ politico-culturale sufficientemente flessibile da accogliere le tante diversità che formano il complesso mosaico del Mediterraneo, ma basata su un nucleo di valori condivisi che possano costituire il tessuto connettivo di una duratura alleanza in area EMEA.
In questa logica, contrariamente a quanto vorrrebbe una certa vulgata, le forze conservatrici possono oggettivamente risultare le più ‘titolate’ a dialogare costruttivamente con le sponde meridionali del Mediterraneo, come pure con le sue sponde orientali. Dal mondo arabo ed islamico all’Europa dell’Est, dopo la caduta delle grandi ‘narrazioni’ secolarizzanti di matrice socialcomunista o liberalprogressista, molti Paesi stanno infatti cercando la propria strada per il futuro in un richiamo creativo alla propria storia e nel recupero di radici culturali e spirituali profonde. Come dimostrano importanti casi concreti, dalla Tunisia all’Egitto alla Polonia, la valorizzazione creativa delle proprie radici non conduce necessariamente ad una caduta nelle spire dell’integralismo, islamico o di altro segno, né ad una chiusura al dialogo con l’Occidente. Al contrario, questi processi possono anche condurre ad una più intensa collaborazione con i paesi occidentali, favorendo percorsi di innovazione culturale, politica e religiosa ‘dentro’ e non ‘contro’ la storia delle diverse comunità. Con ricadute significative anche sui fondamentali terreni della libertà religiosa, dell’uguaglianza tra uomini e donne, della cittadinanza inclusiva. Ma ciò sarà possibile solo ad una condizione: che l’Occidente sappia spogliarsi di ogni residuo atteggiamento di ‘colonizzazione ideologica’, secondo l’efficace definizione di Papa Bergoglio, per porsi invece un atteggiamento di rispetto dell’altro senza rinunciare alla propria identità e al tentativo di individuare valori comuni.
Lungi dall’essere un ostacolo al dialogo con le altre sponde del Mediterraneo, la volontà di riaffermare le radici cristiane dell’Europa, nel rispetto di tutte le altre sensibilità filosofiche e religiose, e di riportare i valori spirituali al centro dell’azione politica, può essere la chiave di volta per costruire una solida alleanza politica e culturale non solo con i Paesi cristiani dell’Europa orientale ma anche con i Paesi islamici – o a maggioranza islamica – del Nordafrica e del Medio Oriente. Come dimostrano i molti successi raccolti dall’iniziativa diplomatico-culturale della Santa Sede nel mondo islamico, e come indica lo storico Documento sulla Fratellanza Umana siglato da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar ad Abu Dhabi nel 2019, è proprio nell’individuazione di valori spirituali comuni tra comunità che hanno – e vogliono mantenere – identità differenti, che risiede la possibilità di nuove e feconde relazioni di pace e di collaborazione.
Una nuova ed efficace politica mediterranea richiede quindi una limpida prospettiva interculturale. Bisogna superare definitivamente sia l’esaltazione acritica dei ‘Sud del Mondo’ in chiave sartriano-fanoniana, sia la tentazione di imporre come presunti valori universali gli obiettivi di una agenda biopolitica ‘liberal-progressista’ che risultano profondamente divisivi anche in Occidente. Per ricercare invece un’interazione feconda sulla difesa di quei valori etici e spirituali che, con declinazioni diverse secondo le storie delle diverse comunità, possono costituire un tessuto di riferimenti comuni nella composita realtà del Mediterraneo allargato. Un compito che spetta in primo luogo alle forze del riformismo conservatore: a chi non ha paura di esprimere la propria identità e le proprie radici e perciò sa rispettare le identità e le radici altrui, nella ricerca di superiori armonie.

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