Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, tra pochi giorni gli italiani saranno chiamati alle urne. È un passaggio delicato, tra pandemia Covid 19 e guerra in Ucraina. Il nuovo parlamento e il nuovo governo si troveranno di fronte ad una grave crisi, non solamente economica. Quali sono le aspettative della Chiesa Cattolica?
In effetti, il periodo che stiamo vivendo, non solo in Italia, ma nel mondo, è davvero difficile. Papa Francesco ci aveva avvertiti: siamo in un cambiamento d’epoca, non in un’epoca di cambiamento. Abbiamo vissuto prima la pandemia e poi la guerra in Ucraina, che non solo si aggiunge alle altre già presenti, ma sta diventando sempre più “mondiale” per le tragiche conseguenze (la fame, l’inquinamento, la corsa alle armi, alle tensioni come quella cino-taiwanese, e altro ancora). Certo, le elezioni in Italia si sarebbero potute svolgere tra alcuni mesi in un clima meno vacanziero… In ogni caso, il problema centrale, a mio avviso, ruota attorno alla mancanza di visione sul Paese che vogliamo costruire. Nel secondo dopoguerra l’avevamo, eccome. Ed era trasversale ai partiti. Questo permise la scrittura di una Costituzione frutto della dialettica tra tutti. Un giovanissimo Aldo Moro, nell’Assemblea Costituente, affermava giustamente che la democrazia presuppone “una casa comune”. Ecco, c’è bisogno di questa visione. E non spetta alla Chiesa delinearla. Ma certo ai cristiani contribuire a disegnarla.
Guardando al futuro, il presidente della CEI Zuppi invitato a esprimere un parere sull’eventualità di Giorgia Meloni premier, ha risposto che “la Chiesa non ha preclusioni verso nessuno”. Cosa si aspetta la Chiesa Cattolica nell’eventualità di una vittoria della coalizione di centro-destra?
Mi pare che la risposta del cardinale Zuppi – di cui lei riporta una frase – sia sufficientemente chiara: è ovvio che la Chiesa e, ovviamente, tutti i cittadini cattolici sono chiamati ad accogliere il responso che esce dalle urne e del conseguente governo che verrà istituito. Come è altrettanto ovvio che la Chiesa si aspetti – in verità assieme a tutti i cittadini italiani – un governo che abbia come obiettivo il bene comune del Paese. E questo a me pare comporti l’attuazione di politiche che tutelino, in modo congiunto sia la persona che la società ed anche la natura (come si afferma con vigore nella Laudato Sì). Tutelare la persona comporta l’adozione di provvedimenti volti ad assicurare il lavoro anche ai meno dotati e il rispetto congiunto sia dei valori etici che sociali con la riduzione pertanto delle scandalose diseguaglianze sociali e territoriali (penso al dualismo Nord-Sud); è altresì urgente un governo che si impegni per una più efficace transizione ecologica, oggi sempre più invocata soprattutto dalle giovani generazioni. Altre prospettive si potrebbero indicare. Ma senza alcun dubbio c’è bisogno di un governo che renda più salda l’Europa come soggetto anche “politico” in vista di una politica internazionale che aiuti la promozione di un “governo” planetario, ovviamente all’interno della indispensabile pluralità dei popoli.
I cristiani sono parte integrante del tessuto sociale italiano, però si ha l’impressione che talvolta vengano considerati come un “target” da raggiungere per conquistarne la fiducia e strumentalizzare fede e religione. Lei cosa ne pensa, si corre questo rischio?
Certo, i cristiani sono parte integrante e quindi responsabili della “casa comune” di cui sopra. Farebbero un errore i partiti a considerarli semplicemente come “target” o come una controparte. E farebbero un errore anche i cristiani se si lasciassero considerare come tali. I cristiani – con il prezioso bagaglio della sapienza del Vangelo – sono chiamati ad offrire il loro contributo di cittadini per edificare una “casa” ove la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, siano patrimonio di tutti coloro che la abitano. Va bloccata perciò quella cultura iper-individualista che, come un virus, la sta infettando. I cristiani hanno la grave responsabilità di promuovere quel “Noi” che fa degli italiani un popolo che fermenta l’Europa e il mondo di quella “fraternità” di cui ha parlato papa Francesco.
Il sociologo Bauman ha descritto la società attuale paragonandola ad un mondo liquido, senza quei pilastri ideologici che avevano caratterizzato il secolo scorso. Parliamo di “unità” della Chiesa, che a differenza di altre religioni e confessioni è caratterizzata dal “sacerdozio” e dalla “verticalità”. Tale “edificio di Pietro”, per fare riferimento alle parole del Vangelo, può offrire un punto di riferimento e una forma di orientamento nel contesto sociale?
Alla riflessione di Bauman si può aggiungere quella di Edgard Morin che parla di un mondo complesso e conflittuale. La sfide che abbiamo davanti sono enormi. La Chiesa – è importante sottolinearlo – in quanto comunità plurale, ossia fatta di realtà diversificate ma unite da uno “spirito”, può aiutare a far crescere nel Paese la coscienza di una responsabilità verso quel “bene comune” che lega l’Italia sia all’Europa che al mondo. Ogni “Io” – quindi qualsiasi tipo di sovranismo, ogni autoreferenzialità – deve in realtà lasciare lo spazio ad una energia di solidarietà che umanizzi la globalizzazione. E la Chiesa, anzi le Chiese cristiane, hanno un compito importantissimo. Ricordo l’affermazione di un grande patriarca orientale, Atenagora, il quale diceva: “Chiese sorelle, Popoli fratelli”. E’ un programma sia per le Chiese che per i popoli .
Il ruolo e l’impegno dei laici, anche delle donne, è diventato fondamentale nelle diocesi e nelle parrocchie, faccio riferimento anche alla Dottrina sociale della Chiesa. C’è bisogno di una “morale cristiana” anche nell’operatività dei governanti?
Sì, credo che la morale cristiana sia indispensabile anche per la società contemporanea. Occorre però intendersi su cosa si intende con “morale cristiana”. Va però superata anzitutto quella prospettiva secondo cui la politica ha il compito di elaborare scelte giuridiche dedotte da una legge naturale accessibile a tutti, ma di cui i credenti (e il magistero in particolare) avrebbero il privilegio della corretta interpretazione. Ritengo invece che tra la sfera giuridica (giusto) e quella etica (buono) ci sia una relazione reciproca, che implica e trova la sua mediazione costitutiva nella cultura. Sì, la cultura! Potremmo anche dire nell’ethos condiviso, che storicamente caratterizza le forme concrete, pratiche e teoriche, della vita di un popolo. In tale orizzonte, il giuridico è una delle forme della cultura e la cultura è il primo accesso all’esperienza della vita buona (etica). In sintesi, il buono è implicato nel giusto, ma il giusto regola situazioni differenti, relative alla comune vita sociale, nella ricerca condivisa del bene comune, che è il compito della politica.
Data la sua esperienza nella Santa Sede, cito il suo incarico precedente nel Pontifico Consiglio per la Famiglia e quello attuale come Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ritiene che il collegamento e la collaborazione tra religiosi e laici (intellettuali, economisti, scienziati e politici) sia di fondamentale importanza per costruire il futuro?
Certamente, perché proprio nella cultura si attua la presenza e la testimonianza anche della Chiesa poiché anch’essa partecipa all’arena del dibattito pubblico, intellettuale, politico, economico e giuridico. Il contributo dei cristiani si dà all’interno delle differenti culture: né sopra, come se essi possedessero una verità data a priori; né sotto, come se i credenti fossero portatori di un’opinione, rispettabile, ma parziale, dogmatica, dunque valida solo per i fedeli. Tra credenti e non credenti si dà piuttosto una relazione di apprendimento reciproco, di mutuo contagio. Il contributo dei cristiani riguarda la testimonianza delle forme dell’umano implicate nel vangelo di Gesù. In tal senso, essi sono chiamati a rendere ragione a tutti del senso etico (universale) cui la fede cristiana consente di accedere e a vivere personalmente le loro convinzioni.
Il problema degli aiuti umanitari, del soccorso e dell’accoglienza con spirito cristiano è una questione che va gestita “politicamente” da tutte le nazioni con accordi chiari e precisi? Senza girare lo sguardo e far finta di niente o rimpallando il problema tra una nazione e l’altra?
Certamente i due temi oggi al centro dell’attenzione internazionale dovrebbero darci il coraggio – e la forza – per un cambio di passo per tutta l’umanità. Ho accennato al Covid-19 ed anche al conflitto in Ucraina: stiamo rischiando il fallimento della politica come unica risorsa sia per uno sviluppo sostenibile del pianeta, sia per una composizione pacifica e concordata dei conflitti. Serve un cambio di passo per costruire un mondo diverso, più umano e più giusto, che includa risposte anche sul tema dei profughi e in generale su tutte le tematiche che ci fanno toccare con mano la gravità delle ingiustizie. E’ indispensabile riprendere la via di un governo globale. Papa Francesco con le due encicliche, Laudato sì (sulla casa comune) e Fratelli tutti (sull’umanità che la abita), ci ha delineato la visione che dovrebbe vederci tutti, governi, chiese, religioni, intellettuali, artisti, uomini e donne, uniti nel perseguirla. È il momento di superare divisioni, rancori, rivalità, conflitti, riscoprendoci fratelle e sorelle tra di noi, cioè parte di un’unica umanità che è chiamata ad abitare e curare l’unica casa comune che abbiamo.
Il dialogo interreligioso e la formazione culturale dei diplomatici, sia religiosi che laici, devono essere considerati elementi fondamentali da sviluppare per il bene dell’umanità?
La risposta è sicuramente positiva. Sappiamo – lo vediamo ogni giorno – quanto la religione sia parte integrante dell’identità delle persone e dei popoli. Non a caso la Chiesa si è impegnata, già dagli anni Ottanta, all’incontro tra le religioni, sia per ottenere la pace, sia per sostenere i diritti di tutti alla dignità. Purtroppo, oggi accade anche il contrario: uomini di religione che strumentalizzano la fede per la violenza. Va combattuto ogni fondamentalismo per sostenere e promuovere il dialogo e l’incontro in vista del bene comune di tutti. Le religioni possono, anzi debbono svolgere il loro ruolo perché si giunga verso un “nuovo umanesimo”. In questo senso dobbiamo auspicare, come lei dice, sia la conoscenza delle religioni e delle culture, sia una nuova comprensione della spiritualità. Mi ha sempre fatto riflettere questa affermazione di Bonoheffer: “Essere cristiano non vuol dire essere religiosi ma essere uomini”: E’ il compito che papa Francesco chiede a tutti i cristiani: essere fermento di nuova umanità nel mondo.
di Stefano Girotti Zirotti