Charta Minuta, Speciale elezioni

Europeismo e Atlantismo per una visione Italiana

Identificare quelli che dovrebbero essere oggi i tratti qualificanti della postura italiana in Europa ( in altri termini quale visione debba sottendere il nostro “ stare in Europa”) è esercizio che non può prescindere da alcune considerazioni basate sulla constatazione di dinamiche in atto:

1) la prima, mi sembra, è quella di una necessaria consapevolezza del fatto che – come la cronaca anche di questi ultimi mesi si incarica di dimostrarci – tutti gli Stati europei (a cominciare da Germania, Francia e Paesi Bassi) antepongono ormai gli interessi strategici e politici nazionali a quelli dell’Unione Europea in quanto tale : in una sorta di sovranismo di fatto sovente ammantato di retorica europeista;

2) la seconda risiede nella correlata necessità di prendere atto degli importanti ostacoli che continuano a rendere difficilmente percorribile, se non proprio impraticabile, la strada verso gli Stati Uniti d’Europa: in sostanza verso quell’”Europa di tipo federale” che il Trattato di Roma si limitava saggiamente a prefigurare senza fissare scadenze. E’ dato di fatto – del quale ci si può ovviamente rammaricare, ma questo poco cambia nella sostanza – che ha trovato la più compiuta espressione nel rigetto nel 2005 , da parte del popolo francese e olandese, della così faticosamente negoziata Costituzione europea;
3) la terza considerazione è quella del successo, per contro, della integrazione economica e dei mercati: via dalla quale chi scrive ritiene auspicabile non recedere pur potendosi (e anzi dovendosi) rinegoziare per quanto possibile alcuni degli aspetti che regolano la moneta unica e il Patto di stabilità , ovviamente lavorando per tempo alle necessarie “alleanze”;
4) la quarta e ultima constatazione è quella della necessità di avviare quanto prima in ambito UE – magari proprio su iniziativa italiana e se del caso attraverso un trattato “ad hoc”- un percorso di progressiva separazione delle istituzioni comunitarie cui gli Stati hanno ceduto – forse al di là del dovuto – sovranità sul terreno economico da un nuovo assetto politico-costituzionale non più a 27 ma di pochi Stati geo-politicamente omogenei. E proprio per tale motivo in grado di insieme elaborare e mettere in atto strategie politiche di lungo termine in una prospettiva di Europa “media potenza” quanto meno su scala regionale (Balcani, Mediterraneo, Medio-Oriente, continente africano).

Il tutto in una prospettiva di “Europa confederale” , rispettosa delle identità nazionali (una sorta di “ Europa delle Patrie” di matrice gollista, rivisitata e adattata ai tempi) e basata su valori condivisi che consentano al nostro Continente di ritrovare, infine, quella “identità e missione per l’Europa“ auspicata dal papa emerito Benedetto XVI.

Deficit politico
Nel perseguimento di quest’ultimo obiettivo certo di medio/lungo periodo l’Italia – anche nella sua veste di paese fondatore dell’Unione Europea – ha il diritto/dovere di svolgere un ruolo di primo piano, in paritario raccordo con altri Stati fondatori e / o di prima fascia ( Germania, Francia, Olanda, Polonia, Spagna per non citarne che alcuni). Temo infatti che, in assenza di uno sviluppo di tale natura, il nostro Continente (portatore di una cultura millenaria della quale sembra a volte provare vergogna, come testimoniato dalla incomprensibile rinuncia alla menzione delle nostre “radici cristiane” nel Preambolo della mai decollata Costituzione europea, nonostante proprio in queste ultime già nel 1924 Paul Valéry identificasse uno dei tratti qualificanti dell’identità europea) si condannerà, ancor più di quanto non stia già avvenendo, all’irrilevanza . Il “deficit” di cui soffre l’Europa è infatti essenzialmente politico.
E’ carenza grave alla quale va posto rimedio e che un futuro Esecutivo italiano di matrice moderata, popolare e conservatrice dovrebbe porre tra le sue priorità. Riservando la dovuta attenzione anche al contrasto, da parte di un’Europa maggiormente coesa pur se numericamente ridotta, dei tratti più disumanizzanti dei processi di globalizzazione in atto. Nel segno della difesa della dignità della persona in quanto tale, in opposizione a quanti ritengono (e, come sappiamo, si tratta di lobby trasversali e potenti) che tutto, ma proprio tutto, debba essere subordinato alla logica del profitto.
Lo scenario che ho sopra evocato di una possibile ulteriore perdita di peso del nostro continente sulla scena mondiale appare ancor più difficile da accettare in una fase “epocale” della vita internazionale come quella che stiamo vivendo sull’onda di una pluralità di fattori. Fattori che vanno dal solco che si è aperto tra l’Europa e la Federazione Russa alla luce della brutale aggressione di quest’ultima all’ Ucraina (crisi relativamente alla quale l’Unione Europea si è peraltro sinora ben comportata mai facendo mancare il proprio appoggio alla coraggioso e martoriato popolo ucraino e alla sua dirigenza); delle perdurante tensioni nell’Indo-Pacifico anche, ma non solo, con riferimento alle minacce cinesi alla democrazia taiwanese nonché, last but not least, della diffusa instabilità che sta attraversando il continente africano con correlata forte probabilità di nuove massicce ondate migratorie verso i Paesi europei del versante meridionale, a cominciare dal nostro.
Tutte sfide impossibili da affrontare con efficacia da parte di un’Unione Europea a 27, obbligata dai Trattati vigenti a operare sulla base dell’unanimità in aree di cruciale rilevanza in termini geo-politici (come quelle della politica estera e della difesa) e nella quale, per riprendere una felice formula del Professor Tremonti, a partire dal Trattato di Maastricht è il mercato il vero “dominus “ della vita dei suoi cittadini. Nonostante, va detto, gli apprezzabili sforzi posti in essere dalla Commissione a guida von der Leyen per pervenire a un’Europa maggiormente “politica”: da ultimo attraverso l’adozione lo scorso marzo, da parte del Consiglio europeo, della Bussola Strategica (Strategic Compass) con correlate decisioni sul terreno della istituenda difesa europea.

Italia, ruolo centrale
Se questa è la tela di fondo, l’impegno prioritario per una possibile prossima maggioranza di centro-destra non potrà che essere quello di fare il possibile – sottraendosi alla trappola di chi si sta quotidianamente adoperando per trascinarla in sterili dibattiti di natura “teologica “ (del genere “europeismo versus sovranismo ”) – per assicurare al nostro paese, anche a Trattati costanti, un ruolo centrale nelle dinamiche e nei processi decisionali europei in tutti i settori di prioritario interesse nazionale.
Da quello appunto migratorio – continuando in particolare a battersi per una seria riforma del datato e per noi penalizzante “Regolamento di Dublino” – a quello energetico, con una prosecuzione dell’opera di diversificazione delle fonti e di progressiva sottrazione del nostro paese al ricatto energetico di Stati terzi; a quello della tutela di un effettivo regime di concorrenza tra imprese in primis nei settori strategici (con un’ azione determinata di difesa dei nostri “gioielli” industriali a fronte degli appetiti di altri Stati membri – o, ancora peggio, di potenze ostili come la Repubblica Popolare Cinese – facendo ricorso ogniqualvolta necessario all’utilizzo del golden power); a quello del rilancio del “principio di sussidiarietà “; a quello, infine , del contrasto al terrorismo in tutte le sue forme. Senza dimenticare l’apporto che il nostro Paese potrà /dovrà arrecare al perseguimento dell’ “autonomia strategica” europea prefigurata dal già citato Strategic Compass.
Un’autonomia strategica che dovrà, però, svilupparsi in raccordo e in spirito di complementarietà ( come sosteneva, già all’ inizio degli anni ’50 del secolo scorso , il compianto Alcide De Gasperi in sede di dibattito sulla “Comunità Europea di Difesa”) con la nostra irrinunciabile appartenenza alla comunità atlantica – e vengo così al secondo dei temi evocati nel titolo – a fronte di minacce comuni . Minacce che vanno appunto dal terrorismo ( a cominciare da quello di matrice islamista) a quelle portate all’Occidente nel suo complesso dai regimi autocratici ( Russia, Cina, Iran, Corea del Nord..) . Si tratta di sfide alle quali nessun Paese alleato, per quanto influente, può far fronte da solo.
In positivo va registrato il fatto che la coesione “atlantica” è uscita fortemente rafforzata dal vertice Nato di Madrid dello scorso giugno – svoltosi nel pieno della crisi ucraina – sia sul fondamentale terreno dei valori che della messa a punto di partenariati mirati con altre democrazie ( di area indo-pacifica e non solo ), oltre che di strumenti e tecnologie all’altezza delle sfide in atto. Un bene prezioso da non disperdere al cui consolidamento il nostro Paese, collocato nel cuore del cruciale scacchiere mediterraneo, potrà fornire ( e sta già fornendo) un contributo di primario rilievo da valorizzare, in primis con i nostri alleati statunitensi..
Concludo con una riflessione sul cruciale versante della sicurezza cibernetica e delle tecnologie innovative e dirompenti (Emerging and Disruptive Technologies/EDT” nel lessico NATO) avendo le conclusioni del citato summit di Madrid inserito il contrasto agli attacchi cyber tra gli obiettivi da perseguire in via prioritaria per l’Alleanza. Si tratta di un traguardo fondamentale – anche in termini di difesa dalla malevola crescente invasività dei regimi autocratici nel nostro spazio cibernetico e digitale – il cui raggiungimento non potrà però prescindere da un previo rafforzamento delle capacità di difesa a livello nazionale sia sul fronte del rischio cyber che di quello tecnologico.
Sotto tale profilo il recente salto di qualità nella architettura nazionale di sicurezza cibernetica (cui ha dato un significativo contributo la costituzione dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale guidata dal Professor Baldoni) è un passo importante nella giusta direzione favorendo tra l’altro una sempre più dinamica interazione con i nostri alleati atlantici , a cominciare dagli Stati Uniti. Raccordo del tutto compatibile, a mio avviso, con il perseguimento di quella “autonomia strategica “ nel settore della sicurezza cibernetica – e dell’ accelerazione dello sviluppo tecnologico – da promuovere sia a livello nazionale che europeo in cooperazione con i partner e gli alleati più avanzati in materia: dai già evocati Stati Uniti al Regno Unito per non citarne che alcuni.
Presupposto per fare fronte a quest’insieme di sfide è , però, quello di un salto di qualità “culturale” nella definizione delle nostre politiche a livello nazionale e internazionale . Nella consapevolezza – che la nostra opinione pubblica e il nostro prossimo Esecutivo dovranno avere – del fatto che i prossimi anni vedranno un sempre maggiore e multiforme approfondimento dei processi di cambiamento “strutturale” derivanti dai fenomeni trasformativi legati alla rivoluzione tecnologica in atto.

di Gabriele Checchia

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