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Francia, divisi non si vince

Parigi, 23 marzo
C’è un sole splendido a Parigi nei primi giorni di primavera. C’è vita ai caffè di Montmartre, nelle strade del lusso e dello shopping, all’Avenue de Champs Élisèe come a Saint Germain des Prés. Il freddo si allontana e rivedi minigonne e shorts. Si allontana anche l’incubo del Covid o almeno viene rimosso e soppiantato dai lampi di guerra di Putin.
Parigi dimentica. Sembra anche dimenticare che tra due settimane, il 10 aprile, si voterà per eleggere il Presidente della Repubblica. Non c’è traccia di elezioni imminenti sui muri della città. I quotidiani dedicano poche pagine al dibattito politico. Macron non ha tempo per confronti sul programma impegnato com’è con la presidenza di turno francese del Consiglio Europeo e nel ruolo di prestigio che si è ritagliato nei negoziati per fermare la guerra. Formidabile tribuna di immagine senza contraddittorio per volare nei sondaggi quasi al 30% e assicurarsi il primo turno. Tant’acqua è passata sotto i ponti della Senna da quando i gilet gialli bloccavano la Francia tutti i sabati e il gradimento di Macron scendeva a picco. Oggi la sua rielezione al secondo turno viene data per certa dai media. A chi toccherà sfidarlo il 24 aprile? Trai 12 candidati all’ Eliseo la socialista Anna Hidalgo, sindaco di Parigi, e Valerie Pécresse, Repubblicani, il partito un tempo si Sarkozy, non vengono nei sondaggi accreditati per il ballottaggio. La rosa per il titolo di sfidante vede al primo posto Marine Le Pen sotto il 20% poco insidiata a sinistra da Jean Luc Mélenchon al 13% e alla destra estrema da Eric Zemmour al 12%.
Cavallo di battaglia di Zemmour, origine ebraica, è la lotta all’immigrazione, con toni più marcati della Le Pen. Zemmour viene definito come ideologo della destra radicale e apripista a Marion Marèchal giovanissima figlia di una sorella di Marine Le Pen. Quanto basta per far definire dinastica la destra francese.
Macron dunque sembra avviarsi alla riconferma. Poche speranze per la destra divisa tra quella moderata di Pécresse, quella radicale della Le Pen e quella più marcata di Zemmour. Divisi in Francia non si vince. Neppure in Italia.
*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare

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