La guerra in terra ucraina continua nonostante gli incontri tenutosi a Brest per negoziare la pace, o per lo meno una duratura tregua dei combattimenti, e siamo ormai tutti a conoscenza della scelta dell’Unione Europea innanzi all’invasione russa, ossia l’imposizione di una serie di sanzioni economiche a partire dal 22 febbraio, giorno in cui Putin comunicò al mondo intero la scelta di riconoscere l’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. A tanti, anzi tantissimi, compreso il sottoscritto, le sanzioni sembravano l’unico modus operandi che avrebbe evitato un’entrata in guerra di alcuni paesi europei in difesa dell’Ucraina, o peggio la Terza Guerra mondiale con la partecipazione degli Stati Uniti e la NATO tutta. Si tratta di un ampio pacchetto di sanzioni imposte a livello individuale, come quelle rivolte ai membri della Duma russa che hanno votato a favore del riconoscimento suddetto e agli oligarchi vicini a Putin, colpito lui stesso insieme al Ministro degli Esteri Lavrov, ma anche a livello economico, bancario, tecnologico, mediatico e altro. E’ facilmente intuibile dalle parole che emergono in questi ultimissimi giorni da parte dei leader europei, compreso il premier italiano, che il primo pacchetto di sanzioni non rimarrà solo: l’unica arma del mondo occidentale è quella di bloccare i mezzi attraverso i quali la Russia, forse meglio dire la cricca di oligarchi vicina a Putin, aumenta la propria competitività internazionale, quindi in primis tutto l’export degli idrocarburi, che nel 2019 hanno rappresentato il 59% delle esportazioni russe per un totale di 240 miliardi di dollari.
Non possiamo qui elencare tutte le sanzioni, ma alcune meritano una precisa e concreta menzione perché influiscono pesantemente sulla nostra Italia, che, nonostante meritatamente si sia schierata insieme a tutti i paesi europei in difesa dell’indipendenza e della libertà ucraina, è stata una delle più restie a imporre determinate sanzioni, prevalentemente quelle che riguardano il settore energetico. È qui che sorge il vulnus di queste sanzioni per il quale dobbiamo chiederci: l’urgenza delle sanzioni che danno crea all’economia italiana? Le sanzioni europee impongono il divieto di esportazione di beni e tecnologie relativi alla raffinazione del petrolio e hanno introdotto delle restrizioni alla prestazione dei servizi connessi. È inevitabile che l’imposizione del divieto di export di tali materie, uno dei vari fattori dal quale sta conseguendo un aumento del tasso di riferimento della politica monetaria russa dal 9,5% al 20%, ha determinato un aumento dei tassi di interesse imposto dalla Banca Centrale russa. Ciò conduce la Federazione Russa in una grave recessione economica per la quale, secondo Alessandro Terzulli, chief economist di Sace (durante il talk “Ucraina, prove di resistenza” organizzato da ISPI), inevitabilmente il prezzo del gas schizzerà alle stelle, determinando nell’area euro circa -0,25 punti percentuali del PIL.
Guardando esclusivamente a casa nostra, forse siamo il Paese che soffrirà maggiormente dei rincari del costo del gas dato che circa il 45% del nostro fabbisogno energetico è colmato dalle esportazioni russe. Ma se noi importiamo gas, allo stesso tempo esportiamo beni strumentali in Russia, che è il 14esimo mercato di destinazione per il Made in Italy. Contiamo circa 660 imprese italiane in Russia, che si dislocano prevalentemente nei settori agroalimentari, automobilistici e dell’energia. Già la guerra in Crimea causò un declassamento molto grave dell’export italiano perché, come ricordiamo bene, le sanzioni europee non nascono “ieri” e nemmeno “oggi”, bensì si tratta ormai di svariati anni, durante i quali i rapporti economici son caratterizzati da pesanti sanzioni. Tra il 2013 e il 2021 le nostre vendite sul mercato russo hanno accumulato perdite per 24.712 milioni di euro, pari a 3.089 milioni di euro medi all’anno.
Non dimentichiamo tutto l’apporto economico derivante dal turismo russo nelle nostre coste italiane e nelle nostre città: Banca d’Italia sostiene che nel 2019 la spesa dei viaggiatori provenienti dalla terra di Vladimir Putin si aggira attorno ai 984 milioni di euro, vale a dire circa il 2,2% dei circa 44 miliardi spesi dai turisti in Italia. Si vedranno ridotti il proprio lavoro, di conseguenza gli ingressi economici soprattutto nella stagione estiva, i lavoratori italiani impiegati nei porti che ospitavano i lussuosi yacht dei magnati russi, anch’essi destinatari delle sanzioni europee perché vicinissimi a Putin.
Saremmo stolti se dimenticassimo che perdiamo anche gran parte degli effetti positivi derivanti dall’interscambio con l’Ucraina, dove l’export italiano era cresciuto del 20% rispetto al 2019, toccando il valore di poco più di 2 milioni di euro (dati ConfArtigianato 2021). Come abbiamo visto in questi giorni, tanti italiani si sono spostati nelle città ucraine, dove lì hanno ricostruito la propria vita. Chiaramente, i settori dove siam più apprezzati sono quelli che ruotano intorno al comparto alimentare, alla moda, ai mobili, al legno e ai metalli.
Conseguenze positive dalla guerre non ne vedremo, soprattutto data la globalizzazione moderna e del mercato (appunto) globale che viviamo nella nostra epoca. Allo stesso tempo le sanzioni sembrano ai più, e al sottoscritto pure, l’unico mezzo per frenare l’avanzata russa su Kiev a danno dell’indipendenza del popolo ucraino. Putin sa bene che sia i suoi fedelissimi sia il popolo non vivranno effetti positivi degli eventi odierni scaturiti dallo stesso Presidente russo, ma è necessario un distinguo perché a Putin interessa esclusivamente la solidità della sua base politica ed economica, mentre al popolo russo non credo proprio dia importanza. Si, gli oligarchi non potranno utilizzare le loro ville nelle nostre colline toscane o le loro imbarcazioni nei mari cristallini italiani, d’altra parte gran parte dei loro fondi sono depositate su banche non europee, lontane dagli occhi inviperiti che abbiamo in queste settimane noi occidentali. L’unica strada da percorrere si chiama diplomazia: concedere qualcosa per garantire la pace e la stabilità, facendo accordi, il mezzo col quale poi attaccare l’avversario qualora quest’ultimo non rispetta i patti.
Non dimentichiamo mai da che parte stiamo: come ha ricordato il Senatore Urso in un’intervista di lunedì (7 marzo, n.d.r.), gli ucraini hanno scelto l’Occidente, la pace e la libertà. Garantiamo a loro questa libera scelta, garantiamo il loro diritto di auto-determinarsi e garantiamo all’Occidente pace e benessere economico.
*Jacopo Ugolini, studente di Scienze politiche, Università di Parma