Lo scorso 14 Luglio la Commissione Europea ha rilasciato una nota stampa in cui venivano annunciate delle
pesanti modifiche alla strategia di decarbonizzazione che vedrà impegnata l’Unione da oggi al 2030.
Benché l’impianto si allinei sostanzialmente a quanto proposto e perseguito negli scorsi decenni (riduzione
delle emissioni e dei gas serra attualmente in atmosfera) le misure sono decisamente più drastiche, puntando
ad una riduzione del 55% delle emissioni di gas serra sulla base di quelle del 1990 entro il 2030.
Gli assi di intervento mostrano una certa organicità, volendo da una parte affrontare il dumping ambientale con il nuovo
meccanismo di quote carbone (CBAM) e dall’altra quello incentivare misure di efficientamento energetico e
riconversione verso fonti sostenibili, in questo modo si cercherebbe di tutelare la competitività del tessuto
industriale europeo.
Incomprensibile ed estremamente pericolosa per l’interesse nazionale italiano, come sostenuto anche dal
ministro della Transizione ecologica Cingolani, è invece la posizione sulla logistica ed in particolare sul settore
automobilistico.
Nelle intenzioni della Commissione infatti l’intero settore dovrà raggiungere entro il 2035 non la neutralità
carbonica, ma la neutralità emissiva. Ovvero, tutti i veicoli immatricolati a partire da quell’anno dovranno
sostanzialmente fare a meno del motore a combustione interna, quello, per intendersi che attualmente
permette di produrre energia a partire da carburanti come il diesel, la benzina il GPL ed il metano. Questa
posizione rischia di far letteralmente evaporare centinaia di migliaia di posti di lavoro solo in Italia (l’ultimo
dato del 2019 dell’Associazione Nazionale Filiera Automobilistica parla di circa 270.000 addetti) ed un settore
che contribuisce per il 6% al nostro Prodotto Interno Lordo, ovvero 106 miliardi di fatturato e 76 di prelievo
fiscale, oltre alla proiezione fondamentale che industrie di altissimo livello nei segmenti del lusso come
Lamborghini e Ferrari (ma la lista sarebbe lunga) danno al nostro paese contribuendo alla creazione del
brand del made in italy
In questo modo rinunceremmo ad uno degli asset fondamentali della crescita a lungo termine della nostra
nazione, che in un mercato di 7 miliardi di abitanti e di milioni di aziende, ha deciso di scommettere su un
upgrade qualitativo in tutti i propri settori industriali e manifatturieri creando prodotti ad alto valore aggiunto
e facilmente riconoscibili, come riportato dall’ultimo report di Confindustria.
Si può dire senza paura di essere contraddetti che la tutela del motore a scoppio, o a combustione interna è
ad oggi tutela dell’interesse nazionale e non solo italiano e tedesco (noti gli strettissimi legami fra le filiere
automotive due paesi), ma anche europeo.
La tecnologia alla base delle auto elettriche è strettamente legata allo sfruttamento delle cosiddette terre rare
ad oggi importate al 98%, secondo lo stesso studio sulle materie prime critiche condotto dalla Commissione,
dalla Cina.
Sempre la Repubblica Popolare è il primo produttore al mondo di auto elettriche, con una previsione sul
periodo 2018-2023 di circa 14 milioni seguita da Germania e Francia che insieme potrebbero fornirne al
mercato altri 6, con le materie prime prodotte ed importate però dal primo paese, quindi con una potenziale
operazione al più di reshoring parziale della catena produttiva che rimarrebbe comunque dipendente dal
monopolio cinese delle materie prime.
Le criticità non sono finite tuttavia, poiché la strada intrapresa dalla Commissione pone dei seri interrogativi
per tutta la filiera della logistica (strada, mare e aria). Le quote carbone infatti con i relativi sovraccosti
andrebbero ad applicarsi in modo più estensivo sul trasporto aereo e per la prima volta anche su quello
navale che come è noto ad oggi rimane il più difficile da decarbonizzare, con costi aggiuntivi che graveranno sulla logistica Asia-Europa, imprescindibile in uno scenario di mobilità civile completamente elettrica e già oggi segnata da un profonda crisi di prezzi e di affidabilità dopo lo scoppio della pandemia.
Rendere carbon-neutral il settore della logistica è probabilmente una delle sfide più complesse della
transizione ecologica ma dati i presupposti, scegliere di dismettere il motore a combustione interna è una
scelta miope che non tiene conto delle esigenze e delle reali potenzialità del continente.
Le stesse proposte al Green Deal riportano più tecnologie a bassissima o nulla emissione per ridurre l’impatto
del settore sull’ambiente. Vengono ad esempio citati gli e-fuel ovvero i carburanti di sintesi per favorire la decarbonizzazione del settore aeronautico e marittimo, ma inspiegabilmente questi vengono esclusi a priori per quello automobilistico.
Questi ultimi potrebbero essere l’elemento pivotale per conciliare esigenze ambientali ed economiche del
continente europeo.
I carburanti di sintesi infatti, altro non sono che gli stessi carburanti disponibili oggi (diesel, benzina, kerosene,
GPL,…) prodotti però attraverso una reazione di sintesi catalizzata fra anidride carbonica ed idrogeno, due
elementi su cui si sta focalizzando l’attenzione e la ricerca industriale degli ultimi anni: la prima perché un
problema da dismettere ed il secondo perché di difficile utilizzo in forma gassosa.
Scommettendo sulla produzione di idrogeno da elettrolisi (come già sta facendo il nostro campione nazionale
SNAM) e disponendo di grandi quantitativi di anidride carbonica già stoccata (come progetta di fare ENI nei
pozzi esauriti dell’Adriatico o catturandola dall’atmosfera) è possibile ottenere per via catalitica combustibili
liquidi da immettere nell’attuale rete di distributori e che possono alimentare le tecnologie di combustione già
presenti nelle nostre autovetture.
Questo fermo restando gli sforzi necessari per ridurre le emissioni di NOx e particolato dannosi per la salute umana prima che per l’ambiente ma potendo riconvertire molto più facilmente la forza lavoro e gli impianti industriali legati all’indotto dell’ oil and gas già presenti sul continente.
Inutile illudersi sulla maturità della tecnologia: i costi sono ancora elevati (circa 8 eur/l con una previsione
potenziale per il 2030 di 1,7 eur/l) e la produzione non pronta per lo scale-up industriale, ma lo stesso si può
dire della mobilità elettrica e dell’intero settore delle energie rinnovabili, reso forzosamente competitivo con
onerose sovvenzioni statali e ad oggi gravato dal pericoloso monopolio del gigante asiatico.
La transizione ecologica sarà un successo se sapremo declinarla su scala regionale e nazionale, trovando
soluzioni adatte all’economia del vecchio continente come è spontaneamente avvenuto in tutte le precedenti
rivoluzioni industriali altrimenti non solo sarà un fallimento ma segnerà anche la fine dell’Europa industriale.
*Vittorio Casali De Rosa, ingegnere Chimico