Charta Minuta, Esteri

L’intelligence cinese e l’arma confuciana to win

Un’attenta analisi:

– Pechino e la sfida geo-economica all’ordine liberale.
Come ormai universalmente riconosciuto, uno tra gli elementi di maggiore rilievo che concorrono, oggigiorno, alla definizione delle strategie di sicurezza nazionale e alla delineazione del ruolo internazionale di ogni Stato nonché degli obiettivi che contribuiscono a formarne la linea politica, corrisponde all’intelligence economica. Attività che – secondo una delle definizioni più precise riscontrate in letteratura nazionale – «studiando il ciclo dell’informazione necessario alle imprese e agli Stati per effettuare scelte corrette di sviluppo, si prefigge di affinare le abilità cognitive e decisionali applicate alle complessità del contesto competitivo globale».
Le priorità riservate da quarant’anni a questa parte dalla Repubblica Popolare Cinese all’uscita dalla povertà e dal sottosviluppo, con grande accelerazione verso l’acquisizione di uno status di superpotenza economica mondiale spiega – senza in alcun modo giustificare – l’accentuatissima enfasi riposta su ogni forma di spionaggio economico mirato alla aggressiva sottrazione di proprietà intellettuali, di patrimoni imprenditoriali, di ricerche scientifiche e di conoscenze tanto nel settore pubblico quanto in quello privato.
Si tratta, inoltre, di una impostazione spiccatamente ‘duale’, che integra cioè in toto la dimensione civile con quella militare, in una serrata ‘fusione’ di tecnologie, imprese, servizi che abbiano potenzialità dual use e assicurino sempre più alla Repubblica Popolare gli strumenti per affermare in modo preminente e dominante il proprio ruolo globale in ogni ambito della scienza, dell’economia e della forza militare. Il Partito Comunista Cinese ha manifestato ripetutamente – con ancor maggiore chiarezza dall’arrivo al potere del Presidente a vita Xi Jinping nel 2012 – l’obiettivo di esercitare una sua decisiva influenza politica ovunque Pechino ne ravvisi la necessità, o anche solo la mera opportunità per acquisire crescenti piattaforme di influenza, di ricchezza, di affermazione dei propri interessi nazionali e di moltiplicazione dei fattori di potenza. Forti campagne di disinformazione, influenza e propaganda (come quelle attuate, da ultimo, durante le settimane di esplosione della pandemia in Italia), ed in cui tradizionalmente il comparto intelligence ha un ruolo tutt’altro che secondario, rivelano la grande importanza che tali attività di ingerenza hanno assunto nella dottrina e nella prassi operativa elaborate da Pechino. Dottrina e prassi che risultano sempre più efficaci nella misura in cui sono rese più performanti grazie all’aumento delle capacità cinesi nella “quinta dimensione” della sicurezza, quella cyber.
Non deve quindi stupire la dichiarata volontà di Pechino di acquisire entro il 2030 una posizione di superiorità incontrastata nei confronti di ogni altra potenza mondiale nel campo dell’Intelligenza Artificiale, quale ulteriore potenziamento delle capacità operative nel dominio cyber, principale campo di battaglia delle odierne e future infowar. Il fatto che l’accento, nella strategia cinese, sia posto oggi non sul potenziamento dello strumento tradizionalmente militare, bensì sulla acquisizione della superiorità economica e cibernetica (e di altri domini asimmetrici) non deve distrarre l’attenzione da parte di analisti e decisori politici (e dell’opinione pubblica) circa il dato spiccatamente e intrinsecamente offensivo della visione espansionistica degli eredi dell’Impero di Mezzo. Importanti sono certo le considerazioni sull’origine storica del rinnovato, compiaciuto senso di rivincita dell’élite cinese, erede di un passato plurimillenario di grande potenza umiliata dal secolo chiusosi idealmente con la rivoluzione maoista: è piuttosto l’aspetto geoeconomico della competizione mondiale, che evidenzia il carattere offensivo della strategia di potenza coltivata da Pechino. Essa mira fondamentalmente alla scomposizione e revisione del liberal order mondiale imponendo, almeno su una porzione consistente del globo, un proprio assetto.. La peculiarità dell’ascesa cinese risiede nel fatto di aver eletto a terreno privilegiato – e per ora sostanzialmente esclusivo – il terreno non militare, puntando sulla competizione economica, meno “calda’ ma non meno conflittuale della corsa agli armamenti. L’opzione cinese verso lo strumento economico come leva di potenza e sfida all’ordine mondiale, e non come semplice mezzo di crescita e benessere interni, incassa oggi benefici che preoccupano, tardivamente, i sostenitori dello Stato di diritto e della democrazia liberale: ma non si tratta di un’opzione recente. Comprendere la natura, le caratteristiche e gli strumenti con cui la strategia di potenza cinese si dispiega, è impossibile senza sottolineare come Pechino abbia intrapreso molto tempo fa l’obiettivo di assurgere allo status di superpotenza globale.

– Deng Xiaoping e l’avvio dell’opzione geoeconomica cinese.
Il salto di qualità nell’impiego dell’intelligence economica avviene, storicamente, attorno alla prima metà degli anni ’80, come opzione che declina la linea di Deng Xiaoping negli anni che vedevano il Partito Comunista Cinese impegnarsi in una strategia di lungo periodo mirata a sfruttare i benefici dell’apertura diplomatica e delle relazioni instaurate con gli Stati Uniti durante il decennio precedente. Se la competizione tra Est e Ovest rendeva inverosimile l’ipotesi di una collaborazione strategico-militare come moltiplicatore di potenza, appariva evidente che la strada da seguire era quella di favorire una rapida crescita economica della Cina quale mercato di immense prospettive per l’Occidente così come per i Paesi in via di sviluppo; una crescita accompagnata da una graduale integrazione della Cina nella catena produttiva mondiale e più in generale nel novero degli ‘attori responsabili’ di un ordine mondiale governato dallo Stato di Diritto, dal progresso nell’applicazione dei Diritti Umani Universali e delle libertà fondamentali.
La creazione, nei primissimi anni ’80, del Ministero per le relazioni economiche con l’estero e il commercio (MOFERT) non è che l’inizio di una ‘lunga marcia’ verso la conquista di un posto di primo piano sul palcoscenico della geopolitica attraverso la geoeconomia.
A dispetto dei mutamenti avvenuti in quattro decenni nella denominazione delle strutture amministrative e nelle interrelazioni intersoggettive e interorganiche tra le diverse componenti dell’enorme macchina governativa cinese, sono distinguibili alcune costanti, altrettanti elementi chiave nel successo ottenuto dalla strategia di intelligence economica perseguita da Pechino. Essi dimostrano la loro efficacia e, dal punto di vista di chi ne è costante e primario obiettivo oggi più che in passato (l’Occidente, l’Europa e l’Italia), la serietà della minaccia.

– L’Intelligence economica con caratteristiche cinesi, tra tradizione e modernità.
Nonostante la struttura dell’apparato si presenti straordinariamente complessa, difficilmente penetrabile e comprensibile nelle sue interazioni, lo spionaggio cinese è fortemente caratterizzato da una pervasiva ’politicizzazione’. Non si tratta certo di un aspetto assente nell’intelligence nei Paesi occidentali. Sono numerose e fondate le preoccupazioni circa la tendenza, anche nelle democrazie liberali, alla politicizzazione delle strutture di informazione e sicurezza. Il caso, ad esempio, dei rapporti d’intelligence che hanno preceduto e giustificato l’intervento in Iraq nel 2003 è stato ampiamente descritto e stigmatizzato dal Rapporto Chilcot.
E tuttavia la ’politicizzazione’ dell’intera organizzazione di intelligence in Cina – inclusa in particolare la componente economica – è di segno decisamente diverso. In primo luogo, l’intelligence è funzione vitale di un’organizzazione dello Stato basata, diretta, posseduta interamente dal Partito Comunista Cinese. E’ il Partito con il suo Vertice, senza alcun contrappeso istituzionale (parlamentare, ad esempio), o capacità esterna di verifica, di indagine o di dibattito (di stampa o di opinione pubblica) ad avere poteri assoluti e diretti su linea, operazioni, uomini e donne che sono parte dell’amministrazione degli apparati di informazione. Si tratta di una situazione del tutto peculiare per un grande paese contemporaneo.
Il mix di tradizione (cultura e filosofia) e contemporaneità (attuale assetto statuale) fanno sì che l’impostazione dell’intelligence cinese possa essere definita ‘verticistica’, ‘ideologica’ ed ‘olistica’. Verticistica poiché, nonostante la rete di entità statali dell’intelligence, le fila dell’intera strategia e operatività sono tenute nelle salde mani del Partito Comunista Cinese e dei suoi vertici centrali; ideologica, perché l’intero comparto assume la propria parte di lavoro come contributo fondamentale all’obiettivo comune della superiorità dominante a livello globale del sistema Paese quale missione imprescindibile; olistica, perché, nonostante il perimetro istituzionale del comparto sia definito giuridicamente da fonti normative precise, la dottrina cinese pone forte enfasi sul ‘reclutamento’ di persone sia giuridiche (imprese, enti economici, accademici) che fisiche (singoli individui) in un grande schema di intelligence collettiva, con ruoli e obiettivi definiti caso per caso. Si tratta di uno sforzo gigantesco, effettuato con enorme dispendio di risorse umane e finanziarie, ma la cui efficacia è ben visibile, anche analizzando fatti e vicende recenti in territorio europeo (e nazionale).
Un’intelligence quindi verticistica, ideologica, olistica, proiettata nel mondo e attualmente molto concentrata sull’Europa e su quelli che Pechino ritiene essere gli ‘anelli deboli’ della costruzione europea. Proprio perché investito della cura degli interessi economici di un Paese che ha deliberatamente scelto la strada della competizione asimmetrica, lo spionaggio cinese- e in particolare quello economico – è lo strumento ideale per combinare la propaganda sul ‘modello cinese’ di governo e di sviluppo, con disinformazione, campagne anche aggressive di influenza, discredito e infodemia. Tattiche operative variamente utilizzate e calibrate a seconda dell’obiettivo specifico, ma tutte ugualmente rientranti in una complessiva politica che mira a generare opportunità e a contenere, laddove ve ne siano, pericoli per la proiezione e moltiplicazione di potenza fuori dai confini nazionali.

– Intelligence umana e cibernetica: il braccio androide della potenza cinese.
Tra le più tipiche costanti della strategia cinese, v’è da annoverare sicuramente una forte enfasi posta sul reclutamento del personale destinato alla più antica, e spesso sottovalutata in Occidente, fonte di informazioni: l’intelligence ‘umana’ o HumInt, settore che la Repubblica Popolare continua a coltivare, ben conscia della potenzialità enormi di questa modalità di spionaggio. La Cina ha l’indubbio ‘vantaggio’ di non dover rendere conto a nessuna opinione pubblica interna circa i suoi costi, in termini di vite umane, di risorse impiegate e di riflessi legali, nel reclutamento di agenti, doppi agenti, agenti di influenza, collaboratori, informatori, fonti. Né l’apparato centrale ha alcun problema a servirsi di attori sia istituzionali che ‘tecnici’, quali docenti universitari e personale dei centri di ricerca. Nessun ostacolo ‘democratico’ impedisce infatti a Pechino di ricorrere a soggetti esterni al perimetro del comparto intelligence come braccio operativo, e spesso offensivo, nella sottrazione di conoscenze e nella sua ingerenza e influenza negli affari interni di altri Paesi.
Altra costante della strategia di Pechino è il controllo e l’influenza – attraverso acquisizione di quote azionarie o il coinvolgimento dissimulato di loro dirigenti o azionisti – su complessi industriali e tecnologici di rilevanza strategica. E’ ben nota la prescrizione ex. art.7 della legge della Repubblica Popolare Cinese sull’Intelligence Nazionale : una clausola ‘extraterritoriale’ che assicura alle agenzie cinesi di intelligence una cooperazione illimitata delle aziende cinesi operanti all’estero.
Non è un caso che la struttura dell’apparato di intelligence cinese apra alla ‘collaborazione’ con realtà esterne al perimetro stretto del comparto, propriamente inteso; né deve sorprendere che una forte compenetrazione sia possibile tra apparati di spionaggio strettamente intesi e realtà accademiche e scientifiche e/o attori economico-industriali, campioni nazionali cinesi dell’high tech (anche qui, per citare solo il più conosciuto, Huawei). E non è un mistero che la strategia di lungo periodo perseguita almeno negli ultimi vent’anni dalla Repubblica Popolare, e con slancio enormemente accresciuto dalla presidenza di Xi Jinping, abbia sempre più fortemente mirato a realizzare un’industria nazionale tecnologicamente avanzatissima e competitiva. Se infatti la crescita economica della Repubblica Popolare è iniziata e proseguita per molti anni grazie allo sfruttamento di vantaggi competitivi da offrire agli investitori esteri (costi e condizioni del lavoro e dimensione demografica), è pur vero che Pechino ha da tempo maturato la consapevolezza che un ruolo di potenza globale non fosse acquisibile semplicemente mediante un progressivo ingresso nella supply chain produttiva globale, bensì giocoforza attraverso la conquista di un ruolo di prim’ordine nella intera catena di produzione e distribuzione mondiale: obiettivo oggi, più che in qualsiasi altra epoca della storia, impensabile senza il conseguimento di una posizione di eccellenza nella classifica dei sistemi nazionali a più alto contenuto tecnologico. La crisi evidentissima nella disponibilità in America e in Europa non solo dei prodotti farmaceutici a basso costo, ma anche dei devices tecnologicamente sofisticati per affrontare la pandemia del CoronaVirus ha rivelato che la Cina ha intenzionalmente realizzato una propria capacità di quasi-monopolio nell’offerta globale di risorse essenziali in una situazione di questo tipo. Si calcola che l’80% dei prodotti farmaceutici vengano o comunque dipendano sostanzialmente da produzioni localizzate nella Repubblica Popolare Cinese. Vieppiù si è rivelata, sempre nell’ambito della presente emergenza sanitaria globale, l’importanza cruciale per Pechino di non accontentarsi delle pur fondamentali mascherine o delle basi chimiche necessarie per la sintetizzazione dei farmaci. Il core business, in termini di strategia geo-economica, sarebbe rappresentato dalla parte elettronica dell’offerta cinese, ben presente nella abbozzata Health Silk Road, dove la Cina si presenterebbe come partner in grado di fornire alle strutture di cura, chiavi in mano, servizi tecnologici e informatici (stoccaggio di dati, elaborazione degli stessi, intelligenza artificiale, internet di quinta generazione). Se insomma il fattore determinante anche in questa situazione di crisi è rappresentato più dai beni digitali che da quelli analogici, Pechino si sente del tutto pronta a competere con le principali potenze.
E’ evidente come la Cina comunista oggi possa mettere in campo una poderosa macchina ‘androide’, in cui spionaggio-controspionaggio umano e cibernetico sono perfettamente complementari e bilanciati: un vettore e collettore di informazioni e controinformazione in grado di operare con straordinaria efficacia lungo le arterie -anch’esse sempre meno materiali- dell’intelligence digitale in ogni suo campo e settore di applicazione, con indubbi vantaggi in termini di disinformazione, infowar, cyberwar, ingerenza, influenza. Nonché, naturalmente, di approvvigionamento informativo .

– I target (anche scientifici) dell’intelligence economica di Pechino.
Da circa quarant’anni, quindi, la dottrina cinese dà quindi forma e sostanza ad un apparato che oggi rappresenta un sistema di intelligence economica proiettato al raggiungimento di obiettivi chiave nella strategia di conquista di ulteriori mercati, di investimento-produzione-vendita-acquisizione di materie prime, di consolidamento dei mercati esistenti o di nuova acquisizione (tramite una aggressiva diplomazia commerciale che risulterebbe arma spuntata senza il costante supporto dello spionaggio), di espansione delle capacità di tecnologia avanzata della propria industria nazionale e di erosione di quote di mercati mondiali a scapito dei concorrenti. Tutto questo riveste primaria importanza per le finalità politiche e strategiche che la Cina pensa di poter ottenere sganciando i ‘Paesi target’ dalle esistenti alleanze politico-militari. Obiettivi prioritari per Pechino sono i Paesi strategici per posizione geografica, capacità tecnologiche, dimensioni economiche; magari con affiliazione politiche o simpatie di loro élites verso il Partito Comunista cinese. Ed è in questo quadro che si colloca il conflitto, solo apparentemente commerciale ma soprattutto tecnologico, sviluppatosi negli ultimi anni, e che ha visto come contendenti dichiarati e frontali Washington e Pechino . Al centro della competizione, sta una sigla ormai familiare per tutti: il 5G, rete ICT di ultima generazione in via di dispiegamento su scala mondiale, che preoccupa Stati Uniti e parimenti tutti i Paesi e Governi consapevoli dell’importanza senza pari dell’Alleanza Atlantica per la sicurezza dei loro cittadini, saldamente agganciata al paradigma della democrazia liberale. Aldilà delle posizioni che si fronteggiano, è dovere e interesse del nostro Paese sottolineare come la battaglia sulla rete di quinta generazione sia il caso più emblematico e rilevante nella strategia di potenza di Pechino E’ il caso in cui gli elementi fondamentali della sua dottrina di intelligence economica trovano tutti insieme riscontro: definitivo consolidamento in mercati esteri; erosioni di fette di mercato nel segmento high-tech; approfondimento indiretto delle capacità nazionali nell’ ICT (grazie alla possibilità di testare le proprie strutture tecnologiche su quantità sempre più enormi di dati, dando alimento essenziale alla tecnologia di high performance computing, anche quantistico); potenzialità di impiego in chiave anche offensiva del mezzo informatico-comunicativo (con utilizzi ad ampio spettro, dallo spionaggio-controspionaggio economico a quello più tradizionale ma non meno importante, nel campo cioè politico e militare). Al settore dell’ICT quale branca di primaria importanza nel mondo odierno, fa da specchio idealmente un’altra branca la cui rilevanza, in termini duali, di potere geoeconomico e di capacità di intelligence: il settore dello Spazio. Come l’informatica e la comunicazione, infatti, anche lo spazio può essere presentato – come astutamente è riuscita a fare da anni Pechino- come un territorio tutto sommato soft, non conflittuale, di cooperazione, collaborazione, scambio di esperienza, dialogo, tra la Repubblica Popolare e il resto del mondo. Lo spazio, pensano ancora oggi alcuni, ha oramai più le caratteristiche del pacifico che del bellicoso, più del civile che del militare. E’ tuttavia, questa, convinzione completamente erronea ed estremamente pericolosa. Le attività spaziali e gli asset che materialmente concorrono a rendere un Paese una potenza spaziale non possono in alcun modo separare l’utilizzo puramente ‘pacifico’ di tali tecnologie da quelle militari: ancor più se riflettiamo sulla ‘fusione civile-militare’ di ogni fattore rilevante per le ambizioni di dominio globale nutrite dalla Cina comunista. La dualità civile- militare nello spazio convive perfettamente. In coerenza con la sua strategia dual use, Pechino da decenni sfrutta a fondo questa strada con iniziative di collaborazione scientifica e tecnica molto intense, che solo l’ingenuità e la sottovalutazione (o la complicità) possono far credere abbiano scopi puramente “pacifici”. Al contrario, ogni avanzamento in termini di capacità spaziale affina gli strumenti che Pechino intende padroneggiare quanto prima possibile per aggiungerli al proprio arsenale, anche di intelligence. Basti pensare ai satelliti dedicati alle comunicazioni, fondamentali per l’ottenimento di una rete ICT autonoma e sicura, imprescindibile nella competizione asimmetrica, o ai sistemi anti satellitari –ASAT. E quand’anche, come nel caso delle attività spaziali a fini scientifici, il payload di un satellite non portasse con sé, fuori dall’atmosfera, alcuna tecnologia direttamente duale, è più che doveroso interrogarsi sulla delicatezza degli asset scientifici che, in caso di collaborazioni internazionali, vengono condivisi con un paese non-atlantico, nonché sulle ripercussioni negative sulla collocazione politico-scientifica e tecnologica del nostro Paese. La tradizionale, assai proficua collaborazione in corso da decenni tra l’Agenzia Spaziale Italiana e la NASA (con, in mezzo, un consistente ed apprezzatissimo indotto scientifico e industriale nazionale a beneficiarne consistentemente), potrebbe essere messa seriamente in discussione a causa della collaborazione instauratasi proprio in questo campo tra Roma e Pechino, e giudicate a buon diritto eccessivamente intense dai partner atlantici.
Le collaborazioni con Pechino nei settori delle scienze di base, in precedenza un po’ fuori dai radar delle agenzie di informazione e sicurezza alleate, vengano fatte oggetto di più attenta considerazione da parte dei decisori politici nazionali, dei sistemi di intelligence e degli stessi operatori scientifico-accademici coinvolti. Seguitare nella illusione che la scienza, e le STEM in particolare, costituiscano terreno di incontro e cooperazione all’insegna della pacifica amicizia e del mutuo beneficio, a prescindere dalla natura e dagli obiettivi politici ed economici del sistema in cui vive ed opera la controparte, corrisponde ad una concezione imperdonabilmente naïf non solo e tanto della scienza, quanto piuttosto delle dinamiche del potere politico, e dell’intelligence che ne è la prima interprete.

– Non c’è spazio per illusioni: i rapporti con Pechino, tra sicurezza nazionale e valori euroatlantici.
Cruciale è pertanto la presa di coscienza della dimensione non pacifica né amichevole dell’articolato sistema informativo agli ordini di Pechino: sembra giunto davvero il momento di sgombrare il campo del dibattito politico da ingenui equivoci sul reale significato dell’espressione ‘win-win’, cui tradizionalmente la diplomazia cinese ricorre per convincere l’interlocutore circa la natura pacifica, ‘armoniosa’ di un grande affare che accontenterà tutti in parti uguali .
A scanso di equivoci: nulla di nuovo, né di sorprendente se si sottolinea che le amministrazioni segrete sono corpi essenziali nella vita di ogni organizzazione statuale, che persegue il raggiungimento dell’interesse nazionale e strategico. L’importante è tenerlo costantemente a mente, e realizzare che vi è ormai urgenza di rendere il nostro sistema Paese edotto circa le attuali minacce provenienti dagli apparati che rispondono al Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, e oggi al Presidente Xi Jinping.
Siamo dinanzi a una sfida per la quale sembra necessario ricordare il monito di Luigi Einaudi a ‘conoscere per deliberare’, ed il suo impulso a compiere già nel 1948 la scelta atlantica; oggi come allora, nelle decisioni politiche e strategiche dell’Italia, devono soprattutto valere i principi fondamentali di riferimento sanciti dalla Costituzione Italiana, dal Trattato di Washington e dai Trattati dell’Unione Europea.

(Testo di Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri ed Andrea Merlo, analista e consulente di politica e relazioni internazionali)

Autore