Charta Minuta

Le priorità dell’Intelligence nell’era del coronavirus

La crisi pandemica taglia trasversalmente tutti i settori della società, sconvolgendoli radicalmente; tuttavia un attenzione particolare deve essere riservata agli effetti sulla sicurezza nazionale sia diretti che indiretti, perché su di essa finiscono inevitabilmente per scaricarsi le tensioni di ogni altro ambito. La sicurezza nazionale però è un settore estremamente ampio e complesso ed è fondamentale segmentarlo nei suoi diversi livelli e stabilire le diverse priorità tra essi.

Se non si fa questo passaggio di prioritatizzare la sicurezza nazionale rispetto ad altri valori e di gerarchizzarne i vari livelli il rischio è di una dispersione delle risorse, di una incapacità di mettere a fuoco una strategia e sopratutto si corre il rischio di vedere alcuni aspetti settoriali della sicurezza cannibalizzarne altri, danneggiando così la sicurezza nazionale.

La mia posizione è dunque quella di scegliere un approccio di sicurezza nazionale alla pandemia e di suddividere questo livello in 4 sublivelli di uguale importanza, nessuno dei quali dovrebbe prevalere sull’altro. A ciascun livello della sicurezza nazionale dovrebbe corrispondere un livello specifico dell’intelligence nazionale che dovrebbe tutelarla.

Il primo è quello della Sicurezza economica, (con le sue diverse sub-componenti, che ruotano attorno alla diversa e crescente vulnerabilità degli assetti economici nazionali da acquisizioni, ingerenze e manipolazioni predatorie di settori economicamente o strategicamente importanti, come le infrastrutture critiche (fisiche e dati). La sicurezza economica sui cui la pandemia sta impattando non riguarda solo le aziende ma arriva alla stessa sostenibilità finanziaria dello stato italiano e la mera sopravvivenza delle famiglie e dunque la tenuta sociale del Paese.
Un ambito particolare nella sicurezza economica è rivestito dalla sicurezza dei flussi commerciali e di IDE in entrata ed in uscita. Questo è un livello a cui si presta poca attenzione ma è evidente che la postura commerciale internazionale, più di quella militare, sarà ciò che determinerà i nuovi blocchi internazionali; e che la gestione strategica del sistema del commercio internazionale, al tempo stesso sempre più restrittivo ma sempre più vitale, sarà determinante, cosi come le necessità di protezione delle supply-chain strategiche sia medicali/umanitarie che logistico-industriali; questo aspetto della sicurezza dei flussi commerciali in entrata ed in uscita unito allo screening degli investimenti esteri diventerà un livello sempre più rilevante. Mai come oggi la sicurezza nazionale è anche una sicurezza dei nostri scambi con l’estero.

Il secondo livello, quello per il momento più tattico del contrasto, è quello della sicurezza biologica e medicale. Esso va però inquadrato non solo nella dimensione della cura e del contrasto alla pandemia per consentire di recuperare l’agibilità del Paese sottratta dal virus; questo livello va affrontato anche con la consapevolezza che ci stiamo muovendo su un terreno ibrido, non solo sanitario. I coronavirus rappresentano, come molti altri virus, una minaccia non solo sul piano della sanità pubblica ma possono essere equiparati ad un arma non convenzionale e di fatti molti virus e le loro colture in laboratorio sono considerate, da un punto di vista merceologico, dei beni a duplice uso, esportabili al di fuori della UE solo con delle autorizzazioni specifiche delle autorità nazionali.

Il terzo livello è quello della sicurezza-cyber. Nel contesto della lotta alla pandemia, essa va intesa non solo come la protezione del cyber-spazio da manomissioni, alterazioni o trasferimento indebito di dati ma anche la costruzione di un perimetro di indisponibilità dei dati sensibili dei cittadini. Non tanto per la pur centrale questione della tutela della privacy che attiene ai diritti individuali, ma nel tracciamento di massa della popolazione (spostamenti, relazioni sociali, dati sanitari) essa pone una delicata questione valoriale che va oltre il semplice livello dei diritti individuali e rischia di minare lo stesso ordinamento costituzionale dello Stato e la forma di governo.

Infine, trattandosi di una pandemia, cioè di un fenomeno globale che sta ridisegnando gli equilibri internazionali, è evidente che la dimensione della sicurezza internazionale è centrale nella gestione della pandemia. Anche perchè essendo uno dei Paesi maggiormente colpiti al mondo, è chiaro che l’Italia non ce la farà ad uscire da sola dalla crisi pandemica e a recuperare il suo status È evidente che dobbiamo far leva sul nostro sistema di alleanze, che però è in profonda trasformazione e si sta dimostrando inadeguato alla prova dei fatti. Questo vuol dire che la partita forse più importante è quella di come stabilizzare e e rinnovare il sistema delle alleanze internazionali dell’Italia per non venire sopraffatti dal virus ma anche per mantenere il nostro ruolo nella gerarchia internazionale. In questo delicato binomio pandemia-gerarchia le scelte che saranno compiute a livello tattico porteranno conseguenze notevoli nella futura postura internazionale dell’Italia: come ci muoviamo, su chi ci appoggiamo per uscire e ripartire, quali accordi commerciali manterremo in vita dopo la pandemia saranno tutti fattori determinanti per la collocazione geopolitica e per tutti gli altri aspetti non sanitari della Sicurezza nazionale.

Una questione specifica è invece rappresenta dagli effetti del COVID sul comparto dell’intelligence.

Non bisogna difatti dimenticare gli effetti che il COVID sta producendo e produrrà sui sistemi di intelligence nazionali, sulla loro rilevanza nei processi decisionali, sul rapporto tra essi ed il mondo della politica e degli altri stakeholders decisionali. Anche qui si possono distinguere alcuni sub-livelli che saranno interessati:

Un primo livello è quello che ruota attorno all’origine del virus, sulle eventuali responsabilità umane, omissioni e mancate collaborazioni nel condividere i dati di intelligence medicali necessari per agire tempestivamente ed isolare il virus. Ma le intelligence del mondo sono anche concentrate sul gioco strategico che si è creato attorno alla diffusione/contenimento del virus, che apre il campo ad un inedito livello della competizione tra le diverse intelligence nazionali (ma anche alla loro collaborazione).
Un secondo livello riguarda invece la questione – apertasi ad esempio negli USA – sul potenziale fallimento delle intelligenze a prevenire questa sorpresa strategica non avendo anticipato l’arrivo della minaccia (o avendolo fatto, non aver fornito sufficienti elementi per attivare una reazione preventiva) pandemica che hanno trovato l’Italia, così come la grande maggioranza dei Paesi, totalmente impreparata.
Questi due livelli apriranno inevitabilmente la discussione sugli effetti trasformativi che la pandemia può produrre sui sistemi di intelligence, in un contesto di grande trasformazione della sicurezza nazionale. Riprendendo la classica tripartizione dell’intelligence fatta dal padre dell’analisi di intelligence moderna, Sherman Kent, l’intelligence è sostanzialmente tre cose diverse: è un sistema di conoscenza; è un organizzazione; è un attività (e dei prodotti correlati). Qui ci appare evidente che gli effetti più immediati dei cambiamenti che interesseranno l’intelligence come conseguenza della crisi del Covid-19 saranno prima sull’intelligence intesa come complesso di conoscenze, ossia come sapere necessario e strumentale alle decisioni politiche. Questo sapere dovrà ora includere una quantità sempre maggiori di informazioni ed analisi sanitarie, aumentando significativamente il peso della medical intelligence così come della bio-intelligence, cyber-intelligence e dell’intelligence economico-commerciale dei prodotti divenuti strategici a causa della pandemia. Nel medio lungo periodo l’ampliamento e trasformazione della base del sapere dell’intelligence potrebbe produrre cambiamenti nelle stesse strutture organizzative dell’intelligence.
Un processo quest’ultimo che in Italia è in qualche modo anticipato dal ruolo pro-attivo che sta assumendo il COPASIR e che potrebbe portare approdare ad una maggiore consapevolezza politica e dell’opinione pubblica di investire maggiormente negli apparati e nei prodotti di intelligence, come assicurazione per la turbolenta fase per la sicurezza nazionale del Paese in cui stiamo entrando, in buona parte impreparati.
E’ forse anche il momento di pensare a come riconfigurare il sistema dell’intelligence nazionale rafforzandone mezzi, strumenti, risorse ed aumentandone il ruolo nella vita politica ed economica del Paese. Si tratta di un salto anche culturale che potrebbe prevedere una riorganizzazione del sistema stesso di intelligence, ad esempio nelle parte mancante nel nostro sistema, con la creazione di un Consiglio per la Sicurezza Nazionale.

Paolo Quercia, Docente di Sistemi di Intelligence e Sicurezza Collettiva, Università di Perugia

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