Nulla più del dipinto di Munch rappresenta oggi lo stato di angoscia che pervade lo stato materiale del mondo colpito dall’emergenza covid-19. La paura, l’ansia del contagio e del mondo esterno, l’impossibilità di poter far fronte ad un elemento invisibile ed un evento imprevedibile, l’idea stessa di libertà minacciata trovano accoglienza nel racconto straziante dell’artista Norvegese. Uno dei quadri più celebri della modernità, il grido di Edvard Munch, dipinto nel 1893. Lo stesso Autore cosi sintetizzava la sua Opera “Camminavo per strada con due amici. Il sole era al tramonto e cominciavo a sentirmi avvolto da un senso di malinconia. A un tratto il cielo si face rosso sangue. Mi fermai, appoggiandomi a una staccionata, stanco morto, e fissai le nubi infiammate che gravavano, come sangue e spada, sul fiordo nero bluastro e sulla città. I miei amici continuarono a camminare. Io rimasi inchiodato in piedi, tremante di paura e udii un grido forte e infinito trafiggere la natura”.
Il dipinto traduce in maniera letterale ciò che l’artista descrive con le sue parole: il fiordo nero-blu, le nubi infiammate, i due amici che passeggiano ignari abbandonando il pittore al suo dramma interiore. Il sentimento di angoscia viene trasferito allo spettatore attraverso i colori e alcune peculiarità della composizione: la creatura posta in primo piano, sbarra gli occhi e porta le mani alle orecchie per non udire un urlo che è al tempo stesso suo e del mondo che lo circonda. Questo essere viene rappresentato senza sesso, senza razza, senza età, ridotto ai minimi termini, dilaniato. Il suo stesso corpo, privo di peso, ondeggia.
Dal punto di vista della biografia dell’artista, il quadro potrebbe rimandare alla perdita precoce della madre e si è anche ipotizzato che il cielo rosso rimandi al sangue della madre morente. Dopo aver dipinto l’Urlo, Munch scrisse nel suo diario alcune pagine per spiegare la sua ispirazione e perché ha dipinto il quadro. Per Munch, come per molti altri artisti, l’arte è un mezzo con cui si possono esprimere le proprie emozioni ed espiare i propri dolori. Ecco un testo tratto dal suo diario: “Sì, qui in ospedale, in Danimarca, adesso sto benino. Penso che presto potrò tornare a casa, e ricominciare pian pianino i miei giretti lungo il corridoio, tra la pendola e il letto, tra la poltrona e la veranda. Forse potrò riprendere anche a dipingere: senza fretta, senza ansia, una pennellata dopo l’altra. Sì, le ultime crisi sono state proprio brutte, mi pareva di soffocare. Ho il terrore di rimanere solo. Voi che venite in Norvegia d’estate dite che qui si sta bene, ma io da bambino, a soli cinque anni, ho visto morire mia madre di tubercolosi, poi mia sorella Sofia, quindi, improvvisamente, anche mio padre. Io stesso ho sempre avuto una salute fragile (lo ammetto: col tempo, la vodka e l’acquavite non mi hanno aiutato!), stretto da un’educazione puritana e moralista e le notti del grande Nord, gelido e inospitale. La pittura mi ha aiutato a guardare dentro me stesso, a trasmettere sentimenti ed emozioni […]. Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura. Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata. D’improvviso l’atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. […] Anch’io mi sono messo a gridare, tappandomi le orecchie, e mi sono sentito un pupazzo, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, urlare, urlare… Ma nessuno mi stava ascoltando: ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e allora ho dipinto le nuvole come se fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori. Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io. […] L’intera scena sembra irreale, ma vorrei farvi capire come ho vissuto quei momenti. […] Attraverso, l’arte cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile aiutare anche chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro”.
Munch non specificò mai quale fosse la strada su cui si trovava a camminare assieme ai suoi due amici, ma dalla descrizione è possibile identificare con precisione il luogo: la collina di Ekeberg, attraversata da una via dotata di parapetto (la “staccionata” a cui il pittore si appoggiò), e dalla quale è possibile godere di una bella vista su Oslo (che all’epoca si chiamava ancora Christiania), dove Munch si era trasferito ad appena un anno di età, e sul fiordo sul quale sorge la capitale della Norvegia. Oggi, peraltro, sul luogo è presente una targa che lo indica come fonte d’ispirazione per il dipinto. Si è discusso, ed un po speculato, sul fatto che il “grido forte” che Munch sentì provenisse dall’ospedale psichiatrico di Oslo, che si trovava ai piedi della collina e dove peraltro era degente la sorella del pittore Laura.
Nessuno, fino a quel 1893 in cui Munch dipinse L’Urlo, aveva portato la figura umana a un grado di deformazione tanto profondo. Nessuno era neppure riuscito a fornire un’immagine tanto penetrante dell’angoscia esistenziale che può affliggere una persona.
Si è sottolineato il fatto che il grido che esce dalla bocca del protagonista del dipinto del norvegese potrebbe essere una sorta d’incarnazione del celeberrimo aforisma 125 della Gaia scienza (“Die fröhliche Wissenschaft” il titolo originale) di Nietzsche: “Avete sentito di quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: «Cerco Dio! Cerco Dio!»? […] L’uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: «Dove se n’è andato Dio?» gridò «ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! […] Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!
Non sappiamo se dal nichilismo Nietzscheano, che trova presenza nel dipinto e nell’ispirazione del pensiero dell’Autore, come conseguenza del coronavirus, ci sarà un risveglio spirituale e, forse, cristiano cattolico. Una religione che risponda al bisogno di spiritualità che possa compensare quell’angoscia, quelle ansie e quelle paure che stanno attraversando le nostre interminabili giornate ad un tratto divenute lunghissime.
L’Urlo di Munch venne rubato il 22 agosto del 2004 assieme alla Madonna dello stesso autore, ma il 31 agosto 2006, la polizia norvegese ha recuperata la versione ospitata al Museo Munch, ad Oslo. Nonostante entrambi i dipinti fossero danneggiati dall’umidità, le due opere sono state restaurate e sono tornate in esposizione nel museo.